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7. I dinieghi non consentiti

Dato che, nei primi mesi di applicazione dell’istituto dell’accesso generalizzato, sono emersi casi di rifiuto fondati su motivazioni non riconducibili ai commi da 1 a 3 dell’art. 5-bis, oggetto delle Linee guida A.N.AC., è opportuno richiamare le amministrazioni al rigoroso rispetto delle previsioni normative esistenti a riguardo e a fornire i seguenti chiarimenti.

Innanzitutto, è necessario ricordare che, data la natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato, non tutti gli interessi pubblici e privati possono giustificarne una limitazione: l’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 ammette il rifiuto dell’accesso ai dati o documenti richiesti soltanto quando ciò sia «necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela» degli interessi espressamente individuati dallo stesso articolo, ai commi da 1 a 3. Nell’applicare questi limiti, le amministrazioni possono tener conto della giurisprudenza della Corte di giustizia sui limiti all’accesso previsti dall’art. 4 del regolamento CE n. 1049/2001, in larga parte coincidenti con quelli indicati dai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis (v. anche Linee guida A.N.AC.).

Inoltre, poiché le amministrazioni possono fondare i dinieghi esclusivamente sulle base dei limiti posti dall’art. 5-bis, ne deriva, come già evidenziato, che le amministrazioni non possono precisare la portata delle eccezioni legislativamente previste, né tantomeno aggiungerne altre, mediante atti giuridicamente vincolanti, ad esempio di natura regolamentare. La riserva di legge, in questa materia, va intesa come assoluta.

Le amministrazioni devono tener conto anche delle seguenti indicazioni e raccomandazioni operative. a) Risposte parziali

Le pubbliche amministrazioni sono tenute a rispondere a ciascuna richiesta nella sua interezza. Quando con un’unica domanda si chiede l’accesso a una pluralità di dati o documenti, è necessario che la risposta sia esaustiva e che, nel caso di diniego parziale, sia fornita adeguata motivazione in relazione a ciascun gruppo di dati o documenti. Una risposta parziale che non indichi le ragioni dell’omessa trasmissione di una parte dei dati o documenti richiesti equivale a un diniego parzialmente illegittimo. b) Risposte differite

Il differimento dell’accesso – previsto dall’art. 5-bis, c. 5, d.lgs. n. 33/2013 – è ammesso soltanto quando ricorrano cumulativamente due condizioni:

  • che l’accesso possa comportare un pregiudizio concreto a uno degli interessi pubblici o privati di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis;
  • che quel pregiudizio abbia carattere transitorio, in quanto i limiti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5bis si applicano «unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato».

Nel caso in cui ricorrano queste condizioni, l’accesso non deve essere negato: per soddisfare l’interesse conoscitivo è «sufficiente fare ricorso al potere di differimento» (art. 5-bis, c. 5) e, quindi, il differimento dell’accesso è imposto dal principio di proporzionalità (v. anche Linee guida A.N.AC.).

L’inutilizzabilità del potere di differimento ad altri fini è confermata dall’art. 5, c. 6, d.lgs. n. 33/2013, secondo cui il differimento dell’accesso deve essere motivato, appunto, «con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti dall’art. 5-bis». Pertanto, tale potere non può essere utilizzato per rimediare alla tardiva trattazione della domanda e alla conseguente violazione del termine per provvedere. Vi si può ricorrere, invece, a titolo esemplificativo, per differire l’accesso a dati o documenti rilevanti per la conduzione di indagini sui reati o per il regolare svolgimento di attività ispettive (art. 5- bis, c. 1, lett. f e g), fino a quando tali indagini e attività siano in corso. Una volta conclusi questi procedimenti, quei dati o documenti diverranno accessibili, qualora non vi si oppongano altri interessi pubblici o privati indicati dall’art. 5-bis.

c) Altre ipotesi di rifiuto non consentite

Come ribadito nelle Linee guida A.N.AC., sono impropri e, quindi, illegittimi i dinieghi fondati su motivi diversi da quelli riconducibili ai limiti indicati dall’art. 5-bis.

Ad esempio, non è legittimo un diniego di accesso in base all’argomento che i dati o documenti richiesti risalirebbero a una data anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013 o del d.lgs. n. 97/2016: ferme restando le norme sulla conservazione dei documenti amministrativi, la portata generale del principio di conoscibilità dei dati o documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni non ammette limitazioni temporali, del resto, non previste da nessuna previsione legislativa.

Per le stesse ragioni, l’accesso non può essere negato – come invece è accaduto qualche volta– perché la conoscibilità del dato o documento potrebbe provocare un generico danno all’amministrazione o alla professionalità delle persone coinvolte; oppure per generiche ragioni di confidenzialità delle informazioni; o ancora per ragioni di opportunità, derivanti dalla (insussistente) opportunità o necessità di consultare gli organi di indirizzo politico.

d) Richieste «massive o manifestamente irragionevoli»

Come precisato a riguardo nelle Linee guida A.N.AC., «L’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Tali circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rifiuto, devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, ed in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione».

Sulla base dei primi riscontri applicativi, è opportuno chiarire che la ragionevolezza della richiesta va valutata tenendo conto dei seguenti criteri:

  • l’eventuale attività di elaborazione (ad es. oscuramento di dati personali) che l’amministrazione dovrebbe svolgere per rendere disponibili i dati e documenti richiesti;
  • le risorse interne che occorrerebbe impiegare per soddisfare la richiesta, da quantificare in rapporto al numero di ore di lavoro per unità di personale;
  • la rilevanza dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare.

L’irragionevolezza della richiesta è manifesta soltanto quando è evidente che un’accurata trattazione della stessa comporterebbe per l’amministrazione un onere tale da compromettere il buon andamento della sua azione. Il carattere palese del pregiudizio serio e immediato al buon funzionamento dell’amministrazione va motivato in relazione ai criteri sopra indicati.

Qualora tale pregiudizio sia riscontrabile, l’amministrazione, prima di decidere sulla domanda, dovrebbe contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità. Soltanto qualora il richiedente non intenda riformulare la richiesta entro i predetti limiti, il diniego potrebbe considerarsi fondato, ma nella motivazione del diniego l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad asserire genericamente la manifesta irragionevolezza della richiesta, bensì fornire una adeguata prova, in relazione agli elementi sopra richiamati, circa la manifesta irragionevolezza dell’onere che una accurata trattazione della domanda comporterebbe.

I medesimi principi sono applicabili all’ipotesi in cui uno stesso soggetto (o una pluralità di soggetti riconducibili a un medesimo ente) proponga più domande entro un periodo di tempo limitato. In questo caso, l’amministrazione potrebbe valutare l’impatto cumulativo delle predette domande sul buon andamento della sua azione e, nel caso di manifesta irragionevolezza dell’onere complessivo che ne deriva, motivare il diniego nei termini sopra indicati. Se il medesimo richiedente ha già formulato una richiesta identica o sostanzialmente coincidente, l’amministrazione ha la facoltà di non rispondere alla nuova richiesta, a condizione che la precedente sia stata integralmente soddisfatta.