Docs Italia beta

Documenti pubblici, digitali.

Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale

image0

Versione n.1 – in consultazione 2022-2023

Crediti

Il presente documento è stato redatto dall’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library, nell’ambito di tavoli tecnici composti da rappresentanti degli istituti e degli uffici centrali e periferici del Ministero della cultura. Nello specifico hanno contribuito:

Diego Aprea, Martina Bagnoli, Francesco Baldi, Stefania Baldinotti, Alessandra Barbuto, Luca Bellingeri, Stefano Benedetto, Angela Benintende, Carlo Birrozzi, Valeria Boi, Simonetta Buttò, Vassili Casula, Laura Ciancio, Alessandro Coco, Valentina Conticelli, Alfredo Corrao, Chiara Cundari, Fabio De Chirico, Martina De Luca, Andrea De Pasquale, Grazia De Rubeis, Eva Degl’Innocenti, Maria Luisa Desiderio, Fabio Fichera, Emanuela Fiorletta, Monica Grossi, Egidio Incelli, Luigi La Rocca, Costantino Landino, Fabrizio Laria, Anna Lucarelli, Maria Letizia Mancinelli, Tiziana Mancinelli, Claudio Maurizi, Sabrina Mingarelli, Mirco Modolo, Paola Musollino, Oscar Nalesini, Maria Teresa Natale, Antonella Negri, Pasquale Orsini, Roberto Palermo, Guglielmo Papi, Giovanni Pescarmona, Ivano Pescosolido, Stefania Piersanti, Stefano Pilato, Federica Pitzalis, Elisabetta Reale, Enrico Rinaldi, Valentina Rossetti, Marco Scarbaci, Michela Sediari, Lino Traini, Silvia Trani, Chiara Veninata, Leandro Ventura, Stefano Vitali, Gabriel Zuchtriegel.

Coordinamento: Laura Moro.

Introduzione

Il patrimonio culturale è un fondamentale generatore di valori all’interno della società: lo abbiamo ereditato dal passato per costruire il senso del presente e proiettare i nostri valori verso il futuro. In tal senso, i musei, gli archivi, le biblioteche e i luoghi della cultura in generale garantiscono la preservazione nel tempo degli oggetti materiali che consideriamo beni culturali, promuovendo lo sviluppo del pensiero critico, della crescita individuale, dell’inclusività generazionale, etnica e confessionale e della partecipazione attiva della cittadinanza.

La rete internet, le piattaforme web, le tecnologie digitali hanno determinato, e determinano quotidianamente, la configurazione di inediti scenari di comunicazione, condivisione e scambio: impattando direttamente sulle capacità e le percezioni individuali, ridisegnano i bisogni delle comunità nella creazione di nuovi scenari valoriali e di nuove forme di funzione del patrimonio culturale. Gli strumenti e le metodologie informatiche se correttamente impiegati, costruiscono e potenziano le relazioni tra le persone, le espressioni del patrimonio e le attività culturali, aumentando, dunque, le capacità di elaborare nuove prospettive di senso per il futuro.

La pandemia Covid-19, diminuendo drasticamente la possibilità di intrattenere relazioni fisiche con il patrimonio culturale e i suoi fruitori, ha evidenziato la necessità di accelerare i processi di trasformazione digitale già in atto nei luoghi della cultura; inoltre, ha dimostrato che per traguardare la straordinarietà dell’emergenza occorrono strategie lungimiranti. Superata la fase più acuta della crisi sanitaria, rimane la consapevolezza che il digitale non è solo un’alternativa congiunturale ma rappresenta una grande opportunità per creare un ecosistema della cultura capace di incrementare la domanda potenziale e ampliare l’accessibilità per diversi segmenti di pubblico, raggiungere target generazionali e geografici difficilmente coinvolgibili e tessere nuove relazioni fra i beni culturali e le persone.

Per realizzare tale processo, è necessario dotarsi di strategie che armonizzino la dimensione culturale con quella manageriale e tecnologica con lo scopo di determinare un cambiamento della visione, una verifica e un’innovazione sia dei processi interni sia di quelli rivolti all’utenza esterna, un’evoluzione dei sistemi con cui operare nell’ambiente digitale. In tale prospettiva, l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library del Ministero della cultura - ha avviato la redazione del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (di seguito PND).

Nota

Le parole evidenziate in grassetto trovano un approfondimento nel capitolo “Parole chiave” posto in coda al documento. Le parole sono evidenziate solo nella prima occorrenza.

Scopo del Piano e destinatari

Il PND costituisce la visione strategica con la quale il Ministero della cultura intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026, rivolgendosi in prima istanza ai musei, agli archivi, alle biblioteche, alle soprintendenze, agli istituti e ai luoghi della cultura pubblici che conservano, tutelano, gestiscono e/o valorizzano beni culturali; per questo costituisce il contesto strategico - intellettuale e professionale - di riferimento per la realizzazione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). È il frutto di un processo di condivisione e confronto con diverse istituzioni culturali, al fine di creare un documento i cui assunti siano chiari e comprensibili sin dalle fondamenta della sua struttura logica e progettuale.

Per tali caratteristiche, il PND può costituire un utile riferimento metodologico e operativo per tutte le istituzioni e per gli operatori culturali, sia in ambito pubblico che privato, che si riconoscono nei valori qui enunciati.

Il PND è dunque un documento:

  • Aperto: liberamente accessibile per tutte le istituzioni culturali e aperto a evoluzioni nel tempo;
  • Dinamico: periodicamente aggiornato in ragione degli sviluppi, dell’obsolescenza di metodologie e tecnologie o dei contesti socio-culturali da cui prende forma;
  • Condiviso: frutto di un processo di partecipazione articolato in più livelli e suscettibile di gradi differenti di applicazione e scalabilità.

A partire dalla cornice qui tracciata, ciascun ente è chiamato a declinare – in accordo con le normative nazionali e di settore vigenti - la propria “strategia digitale” lungo traiettorie di cambiamento condivise in termini di principi e metodologie. Lo scopo del PND è dunque quello di promuovere e orientare il processo di cambiamento degli istituti della cultura verso una trasformazione digitale consapevole, partecipata, condivisa e sostenibile.

Contesto di riferimento

Il patrimonio culturale, da sistema basato prevalentemente sui beni materiali, sta diventando un ecosistema digitale fondato sulle relazioni; occorre quindi condurre un’attenta analisi della domanda e delle aspettative generate dall’opportunità che il digitale offre nel creare nuovi servizi [1], assistere e favorire la nascita di imprese innovative e intercettare bisogni emergenti, sia dal punto di vista dei visitatori/utenti (i.e. ridisegnando le modalità di interazione interne ed esterne) che dal punto di vista dei luoghi della cultura (i.e. ottimizzando le logiche di lavoro). Si tratta di un mutamento profondo, che mette al centro il concetto di cultura digitale, intesa come potente sistema di relazioni capace di attivare nuove prospettive di senso e coinvolgere ampie fasce di pubblico che in passato, per ragioni diverse, sono rimaste escluse dalla fruizione culturale. In tale scenario gli attori non sono più solo gli istituti culturali sin qui operanti in autonomia, ma le persone: quelle che custodiscono il patrimonio (i rappresentanti di istituzioni, enti, luoghi della cultura), che lo studiano e lo mantengono vivo con la ricerca, che lo valorizzano, reinterpretano e ripensano secondo nuovi linguaggi, ovvero tutti gli operatori della cultura, le imprese e i professionisti presenti nelle aree di dominio dell’ecosistema.

In base a tale lettura, il patrimonio culturale, con il suo portato di storia, legacy e memoria, può essere inteso come una risorsa utile per interpretare il mondo che ci circonda; spingendoci oltre possiamo affermare che, se abbiamo ereditato il patrimonio culturale attraverso le sue testimonianze fisiche, ci prepariamo a trasmetterne il futuro attraverso le relazioni digitali che a partire da esse sapremo costruire.

[1]La parola “servizio» verrà utilizzata in contesti molto diversi dei vari componenti che andranno a costituire il piano nazionale di digitalizzazione (cfr. sezione “Parole chiave”). In questo caso, con l’espressione “nuovi servizi” si fa riferimento alle diverse tipologie di attività o prestazioni erogabili in formato digitale da parte dei luoghi della cultura, nell’ambito dello sviluppo della strategia di digitalizzazione del patrimonio culturale elaborata nel presente documento.

Struttura del documento

La presente versione del PND #2022-2023 ha l’obiettivo primario di definire un contesto comune d’azione, ponendo le basi attorno a cui consolidare l’ecosistema culturale sul piano teorico, metodologico e operativo; con le successive versioni saranno definite più puntualmente le azioni specifiche da intraprendere su base pluriennale in relazione ai diversi temi e obiettivi. È articolato in tre sezioni, tra loro collegate (Figura 1):

  • “Visione”, che prefigura la trasformazione e le opportunità del cambiamento, indicando gli obiettivi a lungo termine (cap.1);
  • “Strategia”, che definisce il percorso per implementare e conseguire gli obiettivi (cap. 2);
  • “Linee guida”, quali strumenti operativi che supportano la pianificazione e l’esecuzione delle attività legate alla digitalizzazione del patrimonio e alla trasformazione digitale dei luoghi della cultura (cap. 3).

image0

Figura 1. Schema della struttura del PND

Visione

Il PND poggia su fondamenta costituite da valori condivisi e da obiettivi di cambiamento correlati alle fasi del processo di trasformazione digitale, da cui scaturiscono opportunità per l’intero ecosistema culturale. I progetti di digitalizzazione sin qui realizzati dalle singole istituzioni culturali potranno rafforzarsi confluendo in un’azione collettiva basata su una visione comune, declinata secondo una chiara cornice fatta di politiche pubbliche (policy) e regole, cogliendo le occasioni offerte dagli sviluppi dei processi di innovazione tecnologica.

Per descrivere tale processo, sono state individuate tre traiettorie di cambiamento - interpretative delle dinamiche in atto - che pongono in un rapporto di reciproca interdipendenza i valori, gli obiettivi e le opportunità della trasformazione digitale.

I contenuti della sezione sono organizzati su una struttura concettuale a matrice, che come tale può essere letta orizzontalmente, per enfatizzare la dimensione processuale (le traiettorie), oppure verticalmente, per identificare i diversi piani di lettura (gli ambiti omogenei) (Figura 2).

image0

Figura 2. Schema a matrice dei contenuti della sezione Visione del PND

1.1 Valori

I valori fondativi della visione del PND ruotano attorno ai concetti chiave di paesaggio culturale, patrimonio culturale digitale e relazioni. Questi valori creano un terreno comune su cui operare e costituiscono la premessa per il raggiungimento di specifici obiettivi di cambiamento all’interno di un progetto di ampio respiro. In questa prospettiva, la pubblica amministrazione ha un ruolo fondamentale nel preservare l’eredità culturale, comunque essa venga declinata, e nel renderla accessibile a tutti nel lungo periodo.

1.1.a. Contesti come paesaggi culturali

Il patrimonio culturale è oggi contraddistinto da due letture prevalenti: la prima, di stampo tecnico-amministrativo, è incardinata nel sistema statale - e latu sensu “pubblico” - di tutela dei beni culturali; l’altra, incentrata sulle pratiche sociali, è stata sviluppata da organismi sovranazionali (Unesco e ICOM prima, Commissione Europea poi). La prima lettura si focalizza sui beni culturali, sulla loro selezione, gerarchizzazione e legittimazione; la seconda si fonda sui processi di riconoscimento sociale e patrimonializzazione condivisa operati dalle comunità locali e globali. L’Italia ha recepito la convenzione di Faro solo nel settembre del 2020 [2], a testimonianza delle difficoltà incontrate nell’armonizzarne l’inquadramento giuridico con la gestione dell’espansione dei processi di patrimonializzazione intrapresi a livello territoriale dalle amministrazioni locali e dai soggetti privati senza finalità di lucro. La costruzione di un patrimonio culturale digitale composto da oggetti collocabili in una infosfera, al di fuori quindi delle coordinate spazio/temporali del patrimonio tradizionale, può rappresentare per l’Italia l’occasione per recuperare e interpretare un ruolo rilevante sulla scena culturale globale, senza rinunciare alla propria storica tradizione di tutela.

Il patrimonio culturale è frutto di un processo di riconoscimento critico, attribuzione di senso e gerarchizzazione che sempre si rinnova, in funzione delle mutate sensibilità intellettuali, politiche e disciplinari; per questo fronteggia interpretazioni e letture plurime derivanti dalle opinioni e dalle attitudini di generazioni, gruppi sociali e individualità differenti, che mutano nei diversi contesti storici. Nell’attuale cultura globalizzata, i confini del patrimonio culturale, finora marcati in modo netto per effetto del processo di individuazione dei beni in funzione della tutela, tendono a sfumare nello scenario del “paesaggio”, costituito da luoghi in cui coesistono narrazioni e relazioni. La nozione di paesaggio culturale appare dunque più appropriata per integrare la visione istituzionale del patrimonio culturale con gli apporti che derivano dall’interazione fra territori, luoghi, cose e sguardi soggettivi, dunque suscettibile di potenziamenti e valorizzazioni grazie alle contaminazioni occorrenti nell’ecosistema digitale. All’interno di questo paesaggio culturale, il patrimonio italiano si contraddistingue per le seguenti caratteristiche:

  • Eredità culturale: è presente nei contesti territoriali e nelle tradizioni locali, formando il cosiddetto “patrimonio diffuso”, spesso declinabile sia in termini di “radici” (identità), sia in termini di “trasmissibilità” (i beni sono ancorati ai territori e vengono trasmessi di generazione in generazione);
  • Capillarità: vi è un nutrito presidio di istituzioni culturali disseminate su tutto il territorio (monumenti, siti archeologici, musei, archivi, biblioteche, istituti culturali), che insieme costituiscono una rete di competenze che detiene conoscenze rilevanti, che non vanno disperse nei passaggi intergenerazionali;
  • Conoscenza: le istituzioni esprimono una solida e antica tradizione catalografica;
  • Riconoscibilità: i prodotti della creatività italiana vantano forti radici storico-culturali, tanto da essere riconoscibili e apprezzati a livello internazionale.

In questo contesto, la digitalizzazione del patrimonio culturale deve assicurare vitalità narrativa e pluralismo interpretativo, affinché gli “oggetti culturali”, nei loro corrispettivi digitali, possano convivere con una pluralità di visioni e costruzioni di senso rispondenti a diversi usi sociali, a partire da una corretta ricostruzione del contesto di provenienza. (cfr. par. 1.3.a).

1.1.b. Patrimonio culturale digitale

Il Consiglio dell’Unione Europea [3] ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali, nella duplice accezione di nativamente digitali e prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica/copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili e non solo “pensabili”.

Il patrimonio culturale digitale è costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base di alcune qualità accertate. Essi sono collegati ai beni culturali fisici, ma possiedono un’autonomia ontologica. Sono disponibili e accessibili, non ponendo alcuna barriera geografica e temporale alla libera fruizione. Sono dispositivi di potenziamento: il patrimonio, nelle società contemporanee, è strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra diversità, alterità e pluralità. Gli oggetti del patrimonio culturale digitale, inoltre, saldano tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione. Infine, uniscono tempi, beni (materiali o immateriali), luoghi e persone, perché l’originale significato patrimoniale di cui sono latori si situa sempre all’interno di percorsi concettuali e di senso.

D’altronde, è ormai acquisito dagli esperti di settore che il digitale non debba essere considerato un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo. Per sfruttare le potenzialità del digitale, occorre quindi comprenderne le logiche, i modelli, le funzionalità e i dispositivi, evolvendo da una rappresentazione limitata alla fruizione passiva tipica delle piattaforme commerciali, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività. L’ambiente digitale è dunque un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione. L’oggetto culturale rischia infatti di perdere significato nella decontestualizzazione, come sa chiunque si sia confrontato con le problematiche poste dai limiti intrinseci degli spazi espositivi tradizionali; nello spazio della rete la frattura con i contesti originari può essere parzialmente sanata dalla ridefinizione di significato derivante dalle relazioni tra risorse digitali. In questo percorso, peraltro, nulla va perduto: la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa infatti uno degli elementi salienti del patrimonio digitale.

Tuttavia, questa complessa operazione non può essere affidata solo alla tecnologia. La descrizione e il racconto attribuiti agli oggetti del patrimonio, anche nella loro dimensione sociale, necessitano di esperti di dominio che possano pensare i contenuti e valorizzarne la rappresentazione attraverso il corretto trattamento dei dati correlati e lo sviluppo di prodotti interattivi (interaction design). Il patrimonio culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse. In questo scenario, la cultura digitale è una pre-condizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale: è possibile immaginare il futuro come un ecosistema nel quale tutti gli attori e le professionalità del settore possono relazionarsi.

1.1.c. Il capitale semantico delle relazioni

L’ambiente digitale trova la propria essenza costitutiva nelle relazioni, ovvero nella possibilità di generare e rigenerare connessioni reciproche tra le informazioni, producendo nuovi significati. Accettare il valore delle relazioni comporta la transizione verso nuovi modelli di rappresentazione della conoscenza, non più coincidenti con la visione generata dall’istituzione che ha in consegna il bene culturale, ma integrati e potenziati da una pluralità di punti di vista, spesso inediti e originali. Il web è il luogo in cui si manifestano le relazioni semantiche fra le risorse digitali dei diversi domini del patrimonio culturale: i beni culturali diventano così i nodi di una rete di relazioni alla cui costruzione tutti possono contribuire. I dati dovranno quindi essere organizzati e modellati secondo metodi che esaltino la possibilità di essere correlati ad altri dati, anche in modo automatizzato.

Non si tratta di una questione esclusivamente tecnologica: le entità dell’ecosistema del patrimonio culturale che popolano l’ambiente digitale sono molteplici, e solo in parte delimitate e delimitabili nell’acronimo MAB (Musei, Archivi, Biblioteche) o GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museum); all’interno di questo universo possiamo infatti individuare in modo schematico:

  • Un segmento “consolidato”, rappresentato dagli istituti che detengono il patrimonio culturale e producono dati e informazioni su di esso.
  • Un segmento “operativo”, costituito dagli studiosi e dai diversi operatori che a vario titolo agiscono attorno al patrimonio culturale.
  • Un segmento “aperto”, cioè un universo dinamico e mutevole di utenti generalisti, studenti, associazioni, turisti e imprese culturali e creative operanti nella filiera produttiva.

Ciascun segmento è in grado di produrre ambiti di conoscenza differenti, ma ciò che tiene insieme l’ecosistema è la possibilità di creare valore a partire dai dati del patrimonio culturale, sfruttando la potenzialità generativa delle relazioni.

[2]La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005, è stata ratificata con la legge 1° ottobre 2020, n. 133 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, Anno 161° - Numero 263).
[3]Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti - materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo”; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014XG0614(08)&from=PL

1.2 Obiettivi

Il percorso di trasformazione digitale del patrimonio e delle istituzioni culturali persegue obiettivi specifici:

  • Ampliare le forme di accesso al patrimonio digitale per migliorare l’inclusione culturale.
  • Ampliare le pratiche di digitalizzazione dai beni ai servizi all’utenza con processi end-to-end, in modo da monitorare i processi stessi verificando l’efficacia e l’efficienza delle singole funzioni o attività nonché dell’organizzazione nel suo complesso, ed implementare azioni di tempestiva risoluzione di problemi e di miglioramento continuo di processi.
  • Ampliare le forme di cooperazione e interdipendenza nell’ecosistema.

Il percorso per raggiungere questi obiettivi esige la disponibilità delle istituzioni a incrementare e migliorare le prassi operative e organizzative impiegate sino ad oggi.

Le azioni strategiche ad esso collegate sono sviluppate nel capitolo 2.

1.2.a. Ampliare le forme di accesso al patrimonio culturale

Richiamando nuovamente le Conclusioni del Consiglio europeo del 2014, il patrimonio culturale svolge un ruolo importante nella crescita degli individui e nella creazione del capitale sociale. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la qualità dell’esistenza e il benessere degli individui e delle loro comunità, il dialogo interculturale, l’inclusione sociale, lo sviluppo della conoscenza e della creatività sono le parole chiave del documento sopra citato, che hanno caratterizzato - e caratterizzano tuttora - le politiche europee riguardanti il patrimonio culturale.

Questi obiettivi possono essere raggiunti garantendo un accesso al patrimonio culturale più ampio e stabile; l’accessibilità, quindi, non rappresenta solo un diritto dei cittadini ma il dovere di ogni istituto culturale, esprimendosi su un doppio fronte:

  • a livello orizzontale, ampliando la quantità di risorse digitali disponibili online, organizzate in modo da essere facilmente raggiunte, consultate e condivise;
  • a livello verticale, migliorando la qualità dell’accesso e delle modalità di fruizione e di riuso, per rendere il patrimonio culturale una risorsa sempre a disposizione di singoli, gruppi e comunità.

La pandemia da Covid-19 ha dimostrato che l’ambiente digitale non si limita solo a raccogliere, selezionare e conservare le informazioni o a surrogare la mancanza di poter fisicamente fruire i beni materiali, ma permette di ridefinire il rapporto con i pubblici, creando spazi di inclusione, coinvolgendo attivamente gli utenti, rendendoli partecipi, dando loro voce. L’accessibilità sul web diviene un potente motore di coinvolgimento attraverso le diverse forme di trasmissione dell’informazione. La tecnologia può fornire perciò la chiave per abbattere le barriere derivanti dalla lingua, dalla diversità dei background educativi e dalla presenza di svariate disabilità. Per conseguire tale obiettivo sarà dunque necessario:

  • Rendere liberamente disponibili online i patrimoni informativi secondo formati standard dei dati.
  • Associare alle risorse digitali licenze d’uso chiare e in grado di garantire il riuso dei contenuti.
  • Consentire la riproducibilità dei dati per poterli combinati con altri dati, al fine di creare nuovi contenuti.
  • Garantire la permanenza nel tempo dei dati resi accessibili.

Si tratta di utilizzare metodi e tecnologie concepiti per produrre risorse digitali significanti, interdipendenti e accessibili tramite l’associazione a metadati adeguati.

Per gli aspetti tecnico-operativi correlati a questo obiettivo si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (cfr. par. 3.2) e nelle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (cfr. par. 3.3) alla terza sezione del presente documento.

1.2.b. Digitalizzare per operare una trasformazione digitale

La Commissione Europea ha riconosciuto la transizione verde e quella digitale quali pilastri dell’evoluzione socio-economica comunitaria [4] . La trasformazione digitale coinvolge i diversi settori del Paese in modo differente; in ciascuno di essi si sta investendo in tecnologie capaci di adeguare in modo significativo il funzionamento degli istituti non limitandosi ad adottare strumenti di lavoro più efficienti, ma elaborando un nuovo “pensiero” capace di generare valore.

In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni, come si è osservato in precedenza. La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è quindi un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, etc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento. Per avviare questo processo sono necessari:

  • Un approccio coerente, valorizzato da idonee competenze digitali.
  • La capacità di valutare l’attuale livello di maturità digitale e l’adeguatezza delle tecnologie da utilizzare.
  • La riconsiderazione dei rapporti da instaurare con i differenti segmenti di pubblico, in qualità di co-creatori di contenuti culturali;
  • L’adeguamento conseguente dei canali informativi utilizzati.

Nel nostro paese gli istituti che gestiscono il patrimonio culturale sono molteplici e differiscono in modo significativo per aree di dominio, tipologia di collezioni e grado di apertura all’uso delle tecnologie. Le esperienze di transizione digitale che i singoli enti hanno conosciuto sino ad ora possono così distinguersi tra:

  • L’utilizzo di metodi e processi di produzione di risorse digitali a partire da beni analogici (riproduzione digitale).
  • La creazione di contenuti e risorse culturali nativamente digitali.
  • La digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione, delle Istituzioni culturali e delle imprese fornitrici.

Queste azioni vengono genericamente denominate processi di digitalizzazione, pur essendo concettualmente diverse. Si tratta di un’ambiguità semantica che ha portato le Istituzioni ad applicare ciascuna una particolare forma di conoscenza digitale, aumentando il divario tra gli approcci e determinando uno scenario estremamente frammentato. Nel tentativo di strutturare e omogeneizzare i processi di digitalizzazione, l’Unione europea ha ripensato tale impostazione, uniformando il significato espressivo della “trasformazione digitale” contemporanea. Infatti, agli inizi del 2020 la Commissione europea, attraverso i programmi Horizon, ha chiarito che i requisiti alla base della digitalizzazione del patrimonio culturale devono:

  • Restituire l’aspetto “visivo” dei singoli oggetti, collezioni o siti culturali.
  • Costruire storie, esperienze e contesti culturali.
  • Produrre risorse digitali interconnesse, ricercabili con differenti domini o linguaggi.

Gli istituti culturali dovranno essere posti nelle condizioni di assimilare i cambiamenti tecnologici che matureranno nel tempo; il grado di maturità digitale di un istituto culturale sarà pertanto definito dalla dimensione dello scarto registrato tra l’adozione di singole tecnologie con specifiche finalità operative e l’impiego di tecnologie digitali nella trasformazione dei processi interni per il raggiungimento di tali obiettivi. Per questo il concetto di trasformazione digitale è dinamico e va costantemente riesaminato e adattato alle mutevoli istanze del patrimonio culturale, degli istituti e degli utenti, nel duplice ruolo di co-narratori e fruitori.

Per gli aspetti tecnico-operativi connessi a questo obiettivo si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale (cfr. par. 3.1) e nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. 3.4) della sezione terza del PND.

1.2.c. Abilitare ecosistemi interdipendenti

Per produrre valore nell’ambiente digitale è necessario superare la soglia minima al di sotto della quale l’operato degli istituti non è rilevante, sia in termini di produzione e qualità dei contenuti che di capacità di esercitare impatti positivi e duraturi nei contesti di riferimento. L’azione pubblica non può ridursi a mera sommatoria di iniziative individuali, ma deve porre le basi di un progetto collettivo; laddove questo è avvenuto, ad esempio in ambito biblioteconomico, i risultati hanno tenuto nel tempo. Ciò non significa interferire con l’autonomia di ciascuna istituzione nella gestione del proprio patrimonio digitale, ma creare le condizioni ideali affinché si affermi un ambiente condiviso, dove ognuno possa mettere a disposizione le proprie risorse specialistiche e il proprio know how.

Per conseguire questo obiettivo occorre abilitare ecosistemi interdipendenti, capaci di abbattere le barriere informative fra i database di settore e indirizzare i sistemi organizzativi al perseguimento di uno scopo comune. Porre in comunicazione gli istituti e i loro dati è un obiettivo significativo, che comporta il superamento di schemi operativi e prassi organizzative consolidatisi nel tempo, muovendo:

  • Dai sistemi verticali indipendenti e auto-conclusi - i cosiddetti silos di dati - a un’infrastruttura comune distribuita, costituita da servizi e sistemi federati, con l’obiettivo di far evolvere progressivamente i tradizionali sistemi integrati verticali verso nuovi sistemi orizzontali e stratificati, che coinvolgono una pluralità di enti, ben oltre il perimetro statale.
  • Dai database chiusi ai sistemi aperti, sviluppando sistemi gestionali relazionabili e interoperabili, a prescindere dalle tipologie culturali dei beni. Questi criteri consentono un duplice risultato: eliminare i lock-in settoriali, dal momento che i dati non sono più legati indissolubilmente all’applicativo che li ha prodotti, e ampliare le potenzialità di ricostruzione dei contesti attraverso l’interconnessione tra più banche dati.
  • Dall’autosufficienza alla logica dell’interdipendenza fra gli istituti, abbandonando l’idea dell’indipendenza tecnologica e funzionale dei singoli istituti e riconoscendo l’interdipendenza dell’ecosistema e dei relativi membri come valore fondante, non solo in virtù dell’evidente convenienza economica, organizzativa e gestionale, ma per la superiore capacità di generare valore per le parti: il digitale è una sfida che trascende le capacità progettuali e realizzative dei singoli operatori.

L’ecosistema interdipendente crea una rete che abilita scambi, non solo di risorse, ma anche di tecnologie e saperi, processi e buone pratiche. Questa rete, che collega utenti, produttori di dati, erogatori di servizi e fornitori di infrastrutture, deve avere al centro le risorse digitali. Un simile cambio di paradigma comporta un rilevante efficientamento delle procedure gestionali: l’autosufficienza è molto onerosa in termini di investimenti e impieghi di risorse, mentre l’interdipendenza è più sostenibile, perché riduce o elimina sprechi e ridondanze e accorcia i tempi di intervento.

[4]A European Green Deal, 2021: <https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en> (consultato il 11/01/2022); si veda anche, per gli obiettivi che legano il patrimonio culturale allo sviluppo ecosostenibile, il Cultural Heritage Green Paper (2021), https://www.europanostra.org/our-work/policy/european-cultural-heritage-green-paper/

1.3 Opportunità

I valori alla base della trasformazione digitale del patrimonio culturale si concretizzano in obiettivi e azioni che offrono opportunità di cambiamento. Il consolidamento dell’ecosistema digitale consente infatti ai diversi pubblici di partecipare al processo creativo del patrimonio digitale, grazie al valore creato dalle relazioni generate dalle interdipendenze. Tale modalità operativa permette la progettazione di servizi basati sulle esigenze degli utenti, abilitati a partecipare al processo di sviluppo in qualità di co-creatori di contenuti, servizi e valori. In tale scenario è naturale ipotizzare l’evoluzione dell’attuale paradigma organizzativo verso nuovi modelli gestionali.

1.3.a. Estensione del patrimonio culturale per nuovi pubblici

Il patrimonio culturale digitale è una risorsa che incorpora storia e memoria (cfr. par. 1.1.b), e che per questo è in grado di originare informazioni sulle interazioni che gli utenti sviluppano con esso. Se adeguatamente promosso all’interno di piattaforme digitali progettate sulle necessità dei fruitori, può testimoniare e storicizzare l’evoluzione della società nell’era digitale, ridefinendo il valore culturale nello spazio virtuale.

La rete permette fruizioni plurime, gratuite e simultanee delle risorse digitali ed è una sorgente inesauribile di storie che possono essere lette, interpretate e rielaborate da coloro che vi accedono, anche al di fuori dei confini e dei saperi disciplinari. Un patrimonio dai confini aperti e l’ampliamento delle forme di accesso alla cultura, accompagnati dalla moltiplicazione degli “usi” delle risorse legate al patrimonio stesso, non potranno che favorire il concetto di “nuovi pubblici”: la piattaforma digitale di accesso prevista dall’investimento PNRR (cfr. par. 2.3.b) darà l’opportunità a qualsiasi utente di partecipare, sperimentare, interagire, diffondere e riutilizzare il patrimonio culturale pubblico. Se da una parte la piattaforma si rivolge verso tutti i soggetti proprietari e/o produttori di contenuti digitali, agendo come aggregatrice, dall’altra parte esplica la funzione di erogatrice di contenuti, resi accessibili ad un bacino di utenti molto ampio, siano essi consumatori finali, imprese interessate alla creazione di prodotti o servizi oppure qualsiasi altro utilizzatore della piattaforma. Il fenomeno dell’auto-pubblicazione, ad esempio, favorisce la produzione di user generated stories (storie generate da utenti), in cui gli utenti figurano come autori o co-curatori dell’opera. Man mano che la storia prende forma, è possibile chiedere al lettore/osservatore un giudizio attivo, così da modificarne la traiettoria in corso d’opera in un processo di co-creazione che rende concreta la prospettiva della trasformazione digitale.

Le nuove logiche di produzione contenutistica investono anche le attività di crowdsourcing, quali forme di collaborazione generativa di comunità d’interesse (cfr. par. 2.3.c). Esse si caratterizzano non solo per la partecipazione proattiva del pubblico, ma anche perché esplicitano il processo attraverso cui si realizzano. Le piattaforme aggregano, raccontano e razionalizzano in categorie definite le informazioni, stimolando la comunità a compiere azioni simili; esse hanno un ruolo determinante nella diffusione e visibilità dei contenuti, poiché permettono di collegare utenti animati da diversi interessi.

La disintermediazione nelle catene di produzione e distribuzione dei contenuti e l’assenza di barriere all’ingresso che caratterizzano l’ambiente digitale consentono agli utenti di produrre, modificare e proporre non solo nuove classificazioni dei contenuti, ma anche rinnovate forme di documentazione della cultura materiale e immateriale attraverso linguaggi nuovi o interventi creativi. L’opportunità offerta dal processo di innovazione decentralizzata, va incontro al segmento meno noto (segmento “aperto”) dei fruitori del patrimonio culturale digitale (cfr. par. 1.1.c. Il capitale semantico delle relazioni), consolidando nuovi pubblici e con essi il potere di generare visioni ulteriori del patrimonio culturale.

1.3.b. Processi per il design di nuovi servizi

La gestione di una crescente quantità di dati riguardanti i beni culturali rappresenta una sfida per gli operatori del patrimonio. L’obiettivo perseguito sino ad oggi è stato rendere visibile e accessibile l’imponente messe di informazioni prodotte negli anni dalle istituzioni culturali relativamente ai patrimoni conservati; un approccio basato evidentemente sui dati intesi come prodotto offerto (data as a service). La trasformazione digitale dei luoghi della cultura offre l’opportunità di invertire la prospettiva basata sulla quantità delle risorse pubblicate online, per concentrarsi invece sulla qualità degli oggetti culturali digitali e sulle possibili modalità di accesso e di fruizione. Infatti, la rapida evoluzione del web - che ha ridefinito i modelli dell’interazione sociale - e il contesto democratico e inclusivo di internet, hanno determinato nuovi bisogni degli utenti, ancora non del tutto indagati in modo sistematico ma percepiti come riflessi di altri ambiti. All’interno dell’ecosistema digitale, è fondamentale progettare servizi capaci di offrire agli individui processi di conoscenza intesi come un’autentica esperienza di crescita culturale (knowledge as a service).

Un design esperienziale, dunque, deve soddisfare il desiderio degli utenti di sentirsi protagonisti attivi e non spettatori passivi, secondo criteri di efficacia (raggiungendo con velocità, accuratezza e completezza ciò che stanno cercando) ed efficienza (con il minor dispendio di risorse possibili).

Progettare servizi basati su questi criteri significa sviluppare processi generativi capaci non solo di accogliere e indicizzare i contenuti ma di valorizzarne le relazioni, che rappresentano la vera ricchezza del patrimonio informativo del sistema dei beni culturali. In un’ottica di co-design e partecipazione attiva, gli utenti dovranno avere la possibilità di personalizzare e condividere le proprie esperienze di fruizione.

In questo contesto, l’erogazione di servizi progettati secondo le evidenze delle tecniche di studio dei percorsi che l’utente fa nell’esperire un servizio (user journey) e fruibili indifferentemente su diversi dispositivi, offre ai singoli istituti potenzialità infinite per rinnovare le modalità di relazione con i propri pubblici.

L’interazione di questi parametri permetterà di individuare, costruire, monitorare e migliorare i servizi sviluppati e le tipologie di utenza, con l’obiettivo di offrire un’esperienza fluida e soddisfacente; un approccio, dunque, non solo tecnologico ma ispirato alla qualità dei servizi, verificata sull’intero percorso di fruizione dell’utente - prima, durante e dopo l’esperienza d’uso -, sulla base di processi pensati end-to-end (dal gestore al fruitore e viceversa). Per un approfondimento della relazione tra servizi, processi e modelli di gestione si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. 3.4) nella terza sezione del presente documento.

L’opportunità offerta da questo approccio consiste nel coinvolgimento nella catena di produzione del valore di soggetti esterni agli istituti culturali: le imprese nazionali e internazionali del settore delle imprese culturali e creative e della filiera turistica potranno operare in sinergia con le istituzioni culturali al fine di aumentare la quantità e la qualità dei servizi messi a disposizione della collettività. Affinché tale processo sia duraturo e sostenibile, è necessario che le risorse digitali siano prodotte in una filiera certificata e mantenute nel tempo, rimanendo stabilmente accessibili nel lungo periodo (cfr. par. 2.2.a). In particolare, come evidenziato nelle stesse Linee guida sopracitate, le risorse digitali potranno essere impiegate da utenti e imprese per la creazione e la produzione, sia offline che online, di prodotti e servizi a valore aggiunto di forme molto diverse (testi, video, visite virtuali, documentari, film, installazioni, mostre multimediali, audioguide, quiz, trivial, workshop, corsi di formazione online, soluzioni di gamification, edizioni digitali in serie limitata, NFT, siti, portali, app, podcast, audiolibri, chatbot, modelli tridimensionali, etc.).

1.3.c. Modelli di conoscenza per nuove organizzazioni

La traiettoria che muove dagli oggetti alle relazioni ha l’obiettivo di abilitare un ecosistema interdipendente capace di valorizzare il capitale semantico, la vera ricchezza del patrimonio informativo pubblico. Questo cambiamento offre la possibilità di creare nuovi modelli di conoscenza, collocati nel cuore dell’organizzazione degli istituti della cultura. Portare il patrimonio culturale al centro delle politiche per i cittadini, ponendo al cuore dell’ecosistema digitale non più le risorse, ma gli utenti e le relazioni che essi instaurano con gli oggetti digitali, è un processo che riscrive la catena del valore culturale e ridefinisce i modelli organizzativi delle istituzioni, affermando il primato della conoscenza e della rilevanza sociale della diffusione dei saperi.

Se si intende rendere fruibile la complessità, occorre trovare i linguaggi, le forme comunicative e le soluzioni tecnologiche capaci di rappresentare la stratificazione semantica degli oggetti digitali, limitando il potere dispersivo della rete. Il principale rischio connesso alla veicolazione di informazioni complesse e di dati collegati reciprocamente, è quello di disorientare gli utenti e disperdere i nessi logici fra le risorse nell’oceano informativo del web. Arginare tale pericolo è il compito di un sistema organizzativo costruito attorno a nuove figure professionali che possiedano le competenze necessarie per guidare le traiettorie di cambiamento dell’innovazione digitale.

Le tecnologie informatiche, inoltre, permettono di fare leva sulla funzione istituzionale degli enti di tutela in un’ottica collaborativa e non concorrenziale. Il presidio delle fasi dei progetti di digitalizzazione palesa la necessità di definire una struttura organizzativa interna composta di diverse unità operative [5], che possono anche non essere permanentemente internalizzate, ma che devono comunque essere attivate all’avvio dei progetti di innovazione. Di fronte a un quadro tecnologico in costante e rapido mutamento, i nuovi modelli organizzativi devono rispondere dinamicamente alle sollecitazioni dell’ambiente; ciò rappresenta la più grande sfida, ma anche una straordinaria opportunità per gli istituti culturali.

[5]In riferimento agli enti coinvolti e al team di progetto connessi alle attività di digitalizzazione, si veda l’Allegato tecnico “Linee guida per la Digitalizzazione del patrimonio culturale”, sezione C e l’allegato tecnico “Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati”, sezione Data Governance interna.

Strategie 2022-2026

Per raggiungere gli obiettivi del PND è necessario individuare una strategia di attuazione che sappia cogliere le opportunità offerte dal processo di transizione digitale e tradurle in azioni concrete.

Le azioni strategiche descritte di seguito rappresentano ciò che il Ministero della cultura intende mettere in campo per innescare, facilitare e accelerare i cambiamenti strutturali che l’innovazione tecnologica abilita in tutto il settore culturale. Ciò deve accadere in un’ottica di cooperazione di lungo periodo, allargata a tutte le componenti dell’ecosistema, per avviare un percorso di crescita capace di alimentare un processo di rinnovamento degli istituti culturali, chiamati a ripensare il proprio ruolo sociale in funzione delle possibilità offerte dall’ambiente digitale.

Le azioni strategiche delineate nel PND #2022 saranno progressivamente attuate nel prossimo quinquennio, secondo fasi che verranno affinate negli aggiornamenti del Piano e che definiranno per ciascun settore gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, identificando gli indicatori di performance e impostando le metriche di valutazione dei risultati raggiunti e il monitoraggio delle azioni programmate. Le strategie del PND concorrono infatti al conseguimento degli obiettivi di digitalizzazione previsti dalla “Raccomandazione della Commissione EU sulla creazione di uno spazio dei dati europeo per il patrimonio culturale” del novembre 2021 [6] nei termini cronologici indicati.

In questo contesto, l’investimento M1C3 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [7] è una grande occasione per attuare un progetto organico e strutturato con l’obiettivo di:

  1. sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali nella direzione esplicitata nella Visione del PND, riconducendo la frammentazione attuale a una prospettiva che restituisca l’unitarietà e la complessità del patrimonio culturale nazionale;
  2. garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine degli archivi digitali e dei prodotti di digitalizzazione del patrimonio culturale, adottando le nuove strategie di conservazione (approccio cloud) e capitalizzando i vantaggi che offrono in termini di sicurezza e durata nel tempo;
  3. semplificare i rapporti con i cittadini e le imprese, ridisegnando le procedure di settore e portando i servizi in rete;
  4. facilitare la crescita di un mercato complementare dei servizi culturali aperto alle piccole e medie imprese e alle start-up innovative, finalizzato a innovare le modalità di fruizione del patrimonio culturale;
  5. accrescere il capitale umano degli operatori e dei fruitori, attraverso azioni formative finalizzate alla crescita delle competenze e allo sviluppo consapevole delle potenzialità della co-creazione.

Pertanto, data l’ampiezza del programma PNRR e il potenziale trasformativo delle azioni che saranno messe in campo in tale contesto, la strategia digitale del Ministero per il prossimo quinquennio si identifica con gli obiettivi PNRR e con le azioni che troveranno un compimento, diretto o indiretto, nei progetti in cui si articola l’investimento “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale”, che sinteticamente può essere riassunto nel seguente schema logico (Figura 3):

image0

Figura 3. Sistema di relazioni tra gli stream progettuali del PNRR. Gli Stream 1, 6 e 7 sono trasversali ai restanti Stream. Lo Stream 10 rende fruibili attraverso la Digital Library le collezioni digitalizzate, che vengono valorizzate attraverso piattaforme specifiche (Stream 11 e 12).

Le linee di azione strategica sono suddivise e descritte secondo tre ambiti: le tecnologie abilitanti, i processi e le persone. Le tecnologie infatti abilitano i processi, che sono governati dalle persone affinché sulle medesime producono i loro effetti. Su questi parametri può dunque essere misurata la maturità digitale di una organizzazione.

Nello schema seguente è riassunta la mappa di navigazione della sezione (Figura 4).

image1

Figura 4. Schema dei contenuti della sezione Strategie del PND

[6]Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione del 10 novembre 2021 relativa a uno spazio comune europeo di dati per il patrimonio culturale (OJ L 401 12.11.2021, p. 5, CELEX: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:32021H1970)
[7]Per un approfondimento dell’investimento PNRR 1.1 “Strategie e piattaforma digitali per il patrimonio culturale” si rimanda ai seguenti link: https://pnrr.cultura.gov.it/

2.1 Tecnologie

La prima serie di azioni strategiche è volta alla creazione di un contesto tecnologico abilitante, su cui fondare il processo di digitalizzazione, inteso non solo come riproduzione digitale dei singoli beni del patrimonio culturale, ma soprattutto come trasformazione digitale delle modalità con cui le istituzioni gestiscono sia i servizi interni, sia quelli destinati a soddisfare i bisogni degli utenti (cfr. par. 1.2.b). Il grado di maturità digitale di un’istituzione culturale sarà definito dalla sua capacità di impiego di tecnologie per una trasformazione digitale trasversale:

  • Lato strategico, adottando tecnologie digitali per ottenere un vantaggio competitivo.
  • Lato produttivo, rendendo lo user journey più interattivo per l’utente finale.
  • Lato applicativo: favorire la produzione, il trattamento, la conservazione, la sicurezza e lo scambio dei dati.
  • Lato operativo: impiego di tecnologie digitali per rendere più efficienti i processi interni.
  • Lato culturale: creazione di una cultura organizzativa per un ambiente digitale integrato, ricettivo e aperto.

Al centro del nuovo contesto si colloca la necessità di disegnare una strategia per la gestione dei dati e delle risorse digitali del patrimonio culturale, coerenti con le direttive comunitarie e nazionali [8]. I dati rappresentano il fulcro della trasformazione digitale; essi definiscono il modo in cui produciamo e beneficiamo della cultura, come di qualunque altro ambito della nostra esistenza. L’accesso alla crescente mole di dati e la capacità di utilizzarli criticamente e consapevolmente sono essenziali per l’innovazione e la crescita, dal perfezionamento del processo decisionale al miglioramento della qualità dei servizi pubblici. Le indicazioni della Commissione europea a riguardo sono chiare e applicabili anche al dominio dei beni culturali: in una società in cui gli individui genereranno quantità crescenti di dati, il modo in cui saranno raccolti e utilizzati deve assumere prioritariamente gli interessi dell’individuo, in conformità con i valori, i diritti fondamentali e le normative europee, oltre ai dettami di quella nazionale. Allo stesso tempo, il volume crescente di dati prodotti dagli istituti e dai cittadini nelle loro interazioni con il patrimonio culturale, combinato con il cambiamento tecnologico delle relative modalità di archiviazione ed elaborazione, costituirà una fonte di crescita e innovazione che sarebbe colpevole non sfruttare. Questo significa che i dati dovrebbero essere disponibili per tutti, siano essi soggetti pubblici o privati, con o senza finalità di lucro, grandi o piccoli, start-up o over the top. Ciò aiuterà la società a capitalizzare l’innovazione e la crescita della concorrenza e a garantire che tutti beneficino di un “dividendo digitale”, nel senso di assicurare un utilizzo corretto dei dati sia sotto il profilo giuridico che etico nella prospettiva di una crescita equa delle comunità.

La Commissione europea auspica dunque che le istituzioni culturali comprendano con fiducia, convinzione e sicurezza le potenzialità promananti dalla raccolta, elaborazione e condivisione dei dati e delle risorse digitali culturali.

Le azioni strategiche di seguito descritte e attuate dal Ministero nell’ambito dell’Investimento PNRR “Strategie digitali e piattaforme per il patrimonio culturale” si basano sul presupposto di superare la logica dei silos-database chiusi in favore di un sistema aperto capace di valorizzare la rete delle relazioni fra i dati per lo sviluppo di nuovi servizi; per questo possono avere una valenza metodologica che può essere utilizzata in qualunque progetto di trasformazione digitale delle istituzioni culturali, non solo di quelle statali.

2.1.a. Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale

Nell’ambito delle azioni finanziate con il PNRR, il Ministero ha avviato la realizzazione di una “Infrastruttura software del patrimonio culturale” (sub-investimento M1C3 1.1.4, periodo di realizzazione 2022-2024) quale spazio nazionale per la gestione e conservazione dei dati del patrimonio culturale, in coerenza con le citate strategie europee e nazionali in materia. Tale infrastruttura, che assume le caratteristiche di una piattaforma software nativamente cloud [9], intende creare un ambiente che garantisca una corretta, affidabile, sicura ed efficiente organizzazione delle risorse digitali del patrimonio culturale e dei metadati connessi. Questo permetterà a qualsiasi istituto di sviluppare i progetti di digitalizzazione utilizzando i propri sistemi informativi o applicativi, popolando lo spazio dati nazionale e sfruttando al contempo i servizi dell’infrastruttura (es. servizi di storage, servizi di processamento dati, servizi di conservazione a lungo termine, servizi di attribuzione dell’identità digitale, servizi di interoperabilità, etc.). In questo modo si consegue un duplice obiettivo:

  • Costituire un grande spazio dedicato ai dati della cultura, in linea con la strategia europea che vuole rendere gli stati membri “titolari” della gestione dei propri dati: un ambiente dotato dei migliori standard tecnologici esistenti, sicuro e conforme alle norme nazionali ed internazionali.
  • Garantire agli istituti culturali livelli di servizio, in termini infrastrutturali e tecnologici, che da soli difficilmente potrebbero raggiungere o mantenere, preservando comunque la titolarità dei dati e dei processi di produzione, manutenzione e arricchimento qualitativo ad essi riferiti.

Lo spazio dei dati è separato logicamente e fisicamente dalle applicazioni di front-end, che verranno realizzate a partire dai dati esposti dall’infrastruttura software attraverso API (Application Programming Interface) dedicate. Vanno infatti preservate sia la sicurezza dei dati e la possibilità di aggregarli sulla base di modelli flessibili - ancorché derivanti da standard di settore - sia la facoltà di sviluppare per gli istituti culturali applicazioni che rispondano alle esigenze di utenze sempre più eterogenee e sofisticate (cfr. par. 2.1.c).

L’infrastruttura sarà infatti caratterizzata dalla flessibilità dei modelli concettuali per l’integrazione di contenuti e metadati, così da restituire molteplici e diverse interpretazioni, senza rinunciare alla possibilità di compiere ricerche avanzate negli ambiti specialistici di dominio. A questo si sommerà la facoltà di archiviare gli oggetti nativamente digitali nelle loro versioni e nei cambiamenti di contenuto o di modello introdotti successivamente.

In coerenza con la strategia del cloud nazionale, la piattaforma software sarà integrata nel Polo strategico nazionale, l’infrastruttura progettata per l’erogazione di servizi cloud, beneficiando così di notevoli vantaggi in termini di efficienza, sicurezza, semplificazione gestionale e costi di manutenzione.

I due principali modi per relazionarsi con l’infrastruttura software del patrimonio culturale sono:

  • modello integrato: gli enti conferiscono i propri dati all’infrastruttura, condividendone i servizi: le risorse digitali sono quindi “ospitate” nell’infrastruttura software e vengono memorizzate e conservate sui sistemi dell’infrastruttura, laddove il ciclo di vita della risorsa digitale viene gestito tramite i servizi dell’infrastruttura;
  • modello federato: gli enti che hanno sistemi informativi in grado di esporre in modo stabile ed efficiente le risorse digitali mediante API standard, possono condividere con l’infrastruttura solo alcuni servizi, in base alle loro specifiche necessità; le risorse digitali risiedono nei sistemi di origine e sono “referenziate” nell’infrastruttura, mentre il ciclo di vita dei dati è gestito dall’ente nei propri sistemi.

La scelta del modello di riferimento dipende dal livello di maturità del sistema cooperante, da valutare a valle di una procedura di analisi e valutazione, e dalla prospettiva di sviluppo che i singoli sistemi immaginano di darsi nel tempo. Specifiche linee guida, rese disponibili a completamento dello sviluppo dei servizi dell’infrastruttura dati, orienteranno gli istituti culturale nella scelta del precorso da intraprendere.

L’infrastruttura software nazionale non sostituisce i sistemi esistenti di catalogazione/descrizione né i siti e i portali di consultazione, ma rappresenta un supporto integrativo per consentire e facilitare il confronto fra risorse digitali provenienti da domini diversi dell’ecosistema, sulla base di un modello dati integrato. Inoltre, l’adozione di un sistema centralizzato, realizzato sulla logica applicativa a micro-servizi, contribuirà a diminuire i lock-in di settore, riducendo le inefficienze e abbassando i costi di gestione. L’infrastruttura software costituirà, dunque, il nucleo centrale di una rete di sistemi, anche esterni, la cui interconnessione aggiunge valore ai diversi sistemi singolarmente considerati (cfr. anche par. 2.3.b).

2.1.b. Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali

Come definito in precedenza (cfr. par. 1.1.b), il patrimonio culturale digitale è correlato al sistema dei beni culturali, materiali e immateriali, ma non coincide con essi; non esiste infatti una relazione “1 a 1” (a un bene culturale non corrisponde una sola risorsa digitale): piuttosto si generano relazioni “molti a molti” (diversi beni culturali possono corrispondere a una risorsa digitale, diverse risorse digitali possono corrispondere a un bene culturale). Il patrimonio culturale digitale non identifica pertanto l’universo dei beni culturali ma ne è piuttosto una rappresentazione/interpretazione.

È quindi necessario concepire un sistema che consenta ai beni culturali di esistere nell’ambiente digitale, con una pluralità di fini:

  • Collegare il bene culturale ai procedimenti amministrativi che lo riguardano, una volta che questi saranno gestiti in modalità digitale.
  • Collegare il bene culturale alle risorse digitali che ad esso si riferiscono e ai big data che vengono generati dall’interazione con esso.
  • Consentire di tracciare le interazioni con il bene culturale, anche a rilevanza giuridica, che avvengono nei sistemi informativi dell’amministrazione e di terze parti.

Occorre quindi far evolvere il concetto di “codice identificativo univoco”, utilizzato in molti dei sistemi informativi nazionali e regionali, verso un sistema di certificazione esterno ai medesimi.

In analogia con quanto avviene per le persone fisiche con il Sistema Pubblico di identità Digitale (SPiD) [10], il certificato d’identità digitale dei beni culturali è la chiave abilitante affinché un bene culturale sia riconosciuto nei diversi sistemi informativi, sia amministrativi (gestione dei procedimenti) sia culturali (piattaforme di accesso).

L’attribuzione del certificato di identità digitale presuppone il riconoscimento dello status giuridico di bene culturale; per questo motivo il processo di attribuzione e certificazione dell’identità digitale dei beni culturali deve essere svolto al di fuori dei sistemi di gestione della conoscenza (i cosiddetti “cataloghi”), che non hanno notoriamente l’autorità amministrativa per operare tale attribuzione, ma si limitano a registrarla.

Nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione del “Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali” (sub-investimento M1C3 1.1.2, periodo di realizzazione 2023-2025), con lo scopo di realizzare un raccordo tra i sistemi che identificano e descrivono i beni culturali e quelli che ne prescrivono il regime giuridico, al fine di poter attribuire e certificare, con procedure completamente digitali, l’identità digitale di un bene culturale, incorporando in essa gli elementi essenziali che lo determinano. L’esito del riconoscimento univoco all’interno di una procedura digitale si perfeziona con la produzione di un certificato digitale e con la sua archiviazione sicura e stabile nel tempo.

Tale sistema costituirà il presupposto per la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi e dei processi di gestione dei beni culturali, in analogia con i progressi compiuti in termini di semplificazione, sicurezza ed efficienza grazie all’introduzione degli strumenti di identificazione digitale della persona, come lo SPiD, la Carta Nazionale dei Servizi e la Carta d’Identità elettronica. Inoltre, potrà aprire la strada all’applicazione in futuro degli smart contract nell’ambito dei beni culturali, anche se tale prospettiva al momento non è in fase di sviluppo.

2.1.c. Tecnologie abilitanti per un user-centered design

Le tecnologie giocano un ruolo chiave nel processo di cambiamento provocato dalla trasformazione digitale. Nuovi strumenti permettono di connettere il patrimonio culturale con le persone, le imprese, gli enti non commerciali e le industrie creative, favorendo la maturazione e la crescita del mercato dei servizi culturali progettati secondo logiche che mettono al centro l’esperienza dell’utente (user-centered design); gli algoritmi di intelligenza artificiale offrono possibilità impreviste di organizzazione, interpretazione e manipolazione dei dati; gli sviluppi di prodotti e servizi interattivi (interaction design) e delle tecnologie di visualizzazione immersiva - come la realtà virtuale, aumentata e mista - ammettono sguardi inediti sulle collezioni e consegnano agli operatori culturali potenti strumenti per l’edutainment, la comunicazione e la didattica; i big data, sebbene non siano ancora pienamente sfruttati nel settore culturale, oggi occupano una posizione centrale nella determinazione delle strategie e dei modelli operativi delle istituzioni pubbliche e nelle profilazioni degli utenti propedeutiche alla personalizzazione dei servizi.

In questo panorama è opportuno conoscere e classificare tassonomicamente le tecnologie innovative applicabili al patrimonio culturale, al fine di governare lo sviluppo degli applicativi in modo saggio, coniugando logica, sostenibilità economica e tecnologie, operando scelte consapevoli e mirate al riparo dalle tecnologie emergenti in un determinato momento.

L’innovazione tecnologica, infatti, non genera valore in sé: è imprescindibile valutare preliminarmente come l’introduzione di una determinata tecnologia si inserisce nei processi in essere degli istituti culturali, in relazione al grado di maturità digitale esistente. Secondo questa prospettiva, l’innovazione tecnologica deve arrecare benefici su due piani:

  • Valorizzando i profili di competenza e il know-how che rappresentano il patrimonio conoscitivo sedimentato nel tempo dal personale della Pubblica amministrazione.
  • Rispondendo efficacemente ai bisogni degli utenti, al di là degli entusiasmi del momento, secondo logiche di user-centered design (cfr. par. 2.3.c).

Per abilitare lo sviluppo di queste applicazioni tecnologiche, nell’ambito del PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma dei servizi digitali per sviluppatori e imprese” (sub-investimento M1C3 1.1.12, periodo di realizzazione 2024-2026) per facilitare e sostenere l’espansione e l’integrazione di servizi digitali innovativi da parte di soggetti pubblici e privati, start-up e imprese culturali. La misura, la cui attuazione si svilupperà tra il 2024 e il 2026, è tesa ad acquisire le tecnologie abilitanti per lo sviluppo di applicazioni innovative per il patrimonio culturale. Al contempo sarà supportata, attraverso specifiche linee di finanziamento erogate nell’ambito del PNRR, la crescita di tali applicazioni per implementare un catalogo di servizi ad alto valore aggiunto e potenziale creativo per la ricerca, la gestione innovativa, la fruizione avanzata e la valorizzazione del patrimonio culturale digitale.

[8]Cfr. i Riferimenti normativi essenziali in appendice al PND.
[9]L’infrastruttura software del patrimonio culturale, in quanto servizio pubblico, troverà collocazione nel Polo strategico nazionale in corso di sviluppo da parte del Dipartimento per la trasformazione digitale (<https://cloud.italia.it/>)_.us
[10]Il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) è la chiave di accesso semplice, veloce e sicura ai servizi digitali delle amministrazioni locali e centrali. Un’unica credenziale (username e password) che rappresenta l’identità digitale e personale di ogni cittadino, con cui è riconosciuto dalla Pubblica Amministrazione per utilizzare in maniera personalizzata e sicura i servizi digitali. Per approfondimenti si rimanda al sito dedicato https://www.spid.gov.it/.

2.2 Processi

Il secondo insieme di azioni strategiche individua e indirizza i processi chiave della trasformazione digitale: al fine di potenziare l’ecosistema digitale della cultura è fondamentale arricchire il patrimonio culturale digitale esistente e renderlo pienamente fruibile, dal punto di vista materiale e cognitivo. La progressiva digitalizzazione del patrimonio culturale, determinata dall’accrescimento del materiale digitalizzato e dalla implementazione di nuovi servizi, permette il corretto funzionamento delle piattaforme di gestione e fruizione dei dati, le cui potenzialità crescono in proporzione alla quantità di risorse disponibili. Questo schema comporta la fissazione di una strategia della gestione del ciclo di vita dei dati che garantisca il mantenimento e l’organizzazione delle informazioni digitali di lungo periodo. Occorre altresì individuare chiari riferimenti normativi e procedurali per disciplinare le modalità di accesso, circolazione e riuso dei beni culturali tramite l’adozione di politiche chiare e condivise. Tuttavia, la digitalizzazione del patrimonio non produce valore di per sé: senza un accurato design dei servizi digitali, abilitati dalle tecnologie, non è possibile rendere il patrimonio un fattore di crescita sociale, culturale ed economica.

2.2.a. Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale

Nella strategia di crescita digitale, il corretto uso del dato rappresenta il fattore differenziante per una gestione responsabile dei dati e del loro ciclo di vita, un requisito imprescindibile per beneficiare del patrimonio informativo. La definizione e l’adozione di pratiche gestionali riferite ai dati è di capitale importanza per guidare le fasi del ciclo di vita delle informazioni: dalla pianificazione e progettazione, alla creazione, all’elaborazione, al trasferimento, sino alla conservazione di lungo periodo dei dati e delle risorse digitali prodotte.

Tale processo è per sua natura dinamico, dal momento che nell’ambiente digitale non ci si può limitare alla mera descrizione e riproduzione del bene culturale da effettuare una tantum in sistemi informativi dedicati; questo non rappresenta che il primo stadio di un processo che si sviluppa nel tempo con successive fasi di arricchimento, modellazione, processamento/normalizzazione, collegamento; attività che rendono il dato vivo e in costante evoluzione temporale.

Come già osservato in precedenza (cfr. par. 1.1.b, 1.1.c, 1.2.c), esistendo una pluralità di soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo attivo nei processi di creazione delle informazioni sul patrimonio culturale, è necessario che i dati siano trattati secondo principi che ne facilitino la condivisione e il riuso per generare ulteriore conoscenza. Per raggiungere questo obiettivo bisogna agire su due piani, ovvero nella produzione e nella gestione dei dati.

Nella produzione è opportuno richiamare i principi FAIR [11], ormai riconosciuti a livello internazionale, che descrivono le caratteristiche che le risorse digitali debbono avere per essere usate e riutilizzate a fini scientifici, educativi e divulgativi, sia dalle persone sia dalle macchine che adottano processi automatizzati:

  • Rintracciabilità: le risorse digitali devono essere accompagnate da identificatori persistenti e da adeguati metadati descrittivi, che vanno registrati in repertori indicizzabili anche dalle macchine.
  • Accessibilità: i metadati devono essere accessibili agli esseri umani e alle macchine mediante protocolli standard e rilasciati in formato aperto, anche qualora gli oggetti digitali collegati non lo siano.
  • Interoperabilità: i metadati devono essere interrogabili e indicizzabili da qualsiasi altro sistema informativo, opzione attuabile solo se essi sono espressi in formati standard.
  • Riutilizzabilità: le risorse digitali e i metadati associati devono essere rilasciati secondo licenze chiare che ne consentano il riutilizzo e la ricombinazione, ed espressi con linguaggi riconosciuti e comprensibili dalla comunità scientifica del dominio di riferimento.

Per raggiungere un adeguato livello di qualità nella produzione dei dati è necessario investire nell’aggiornamento delle competenze di quanti operano nei luoghi della cultura (cfr. par. 2.3.a), dal momento che aspetti così importanti non possono essere delegati esclusivamente a specialisti esterni alle amministrazioni o rimandati a momenti successivi, ma debbono essere parte integrante della creazione del contenuto digitale.

Tale approccio postula un livello di consapevolezza individuale e maturità organizzativa che va programmato e governato. A tal fine ogni istituto dovrà dotarsi di un Piano di gestione dei dati (Data Management Plan), per garantire uno sviluppo coerente nel tempo dei progetti di digitalizzazione (cfr. par. 3.2). Si tratterà di individuare gli attori che concorrono alla produzione del dato e al recupero e normalizzazione di quelli pregressi, alla successiva organizzazione e pubblicazione, distinguendo chi è responsabile e titolare dello stesso da chi aggiunge elementi informativi nel processo di realizzazione delle risorse.

Il Piano di gestione consente a ogni istituto di adottare un modello organizzativo che ha l’obiettivo di garantire la produzione e la pubblicazione di dati di qualità attraverso un processo omogeneo, auto-sostenibile, coordinato tra gli organi interni dell’amministrazione e che prevede un costante aggiornamento, monitoraggio e coinvolgimento degli utenti finali. Inoltre, esso consente di verificare il rispetto dei principi e la corretta applicazione della normativa nazionale per la produzione e pubblicazione dei dati aperti (Open Data) [12].

Elemento cardine per una corretta gestione dei processi di digitalizzazione, è l’individuazione dei diversi livelli di responsabilità [13] nel ciclo di creazione, gestione, pubblicazione, valorizzazione e conservazione a lungo termine delle risorse digitali:

  • Livello 1 (direzioni generali): responsabile della governance e della gestione delle infrastrutture hardware e software.
  • Livello 2 (istituti centrali): responsabili della definizione delle metodologie, dei processi, e della gestione dei sistemi e servizi informativi nazionali di dominio.
  • Livello 3 (istituti culturali): responsabili della produzione, della gestione della qualità, della valorizzazione dei dati.

A questi tre livelli se ne aggiunge uno ulteriore, relativo ai beni culturali pubblici non statali e privati dichiarati, sui quali le Soprintendenze, oltre alle funzioni di tutela attribuite dalla norma, svolgono ultimamente un ruolo di indirizzo e coordinamento, di supporto e orientamento scientifico per tutti i progetti di digitalizzazione e di trattamento di dati e banche dati.

Ciascun istituto, in relazione alle proprie caratteristiche e finalità, e coerentemente con i tre livelli di governance sopra previsti, prima di intraprendere un progetto di digitalizzazione o la creazione di una banca dati, redige il proprio Piano di gestione dei dati al fine di delineare come le risorse digitali saranno trattate in fase di acquisizione, processamento, conservazione e valorizzazione; questo al fine di controllare i processi, di prevenire i rischi in fase di esecuzione e di non disperdere la memoria delle scelte effettuate. In un prossimo futuro, la raccolta dei Piani - attraverso specifici tool messi a disposizione dal Ministero - consentirà di effettuare ricerche e interrogazioni, in modo che sia possibile per chiunque recuperare e analizzare le informazioni relative a ogni specifico progetto.

Nelle Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale (cfr. par. 3.1) e nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (Data Management Plan) (cfr. par. 3.2) sono contenute specifiche indicazioni operative per la gestione del processo sopra descritto.

2.2.b. Politiche di accesso e riuso

L’obiettivo dell’azione consiste nel coordinare, razionalizzare e semplificare le procedure per l’accesso, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali dei beni culturali, declinando in chiave digitale le politiche pubbliche fino ad oggi adottate per la valorizzazione del patrimonio culturale. La disseminazione e il riutilizzo delle risorse digitali rappresentano dei potenti moltiplicatori di ricchezza e sono strumenti strategici per lo sviluppo sociale, culturale ed economico del paese. Pertanto, è doveroso chiarire gli ambiti di applicazione delle norme e dissipare le incertezze in merito alle pratiche connesse alla circolazione e al riuso delle rappresentazioni digitali dei beni, con l’obiettivo di facilitare l’accesso alla cultura e incoraggiare le pratiche connesse alla trasformazione digitale. La disciplina della riproduzione dei beni culturali presenta infatti notevoli complessità, causate dall’intersecazione e sovrapposizione di ambiti legislativi distinti e dalla stratificazione occorsa nel tempo delle normative di riferimento (Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge sul diritto d’autore, le norme sulla tutela della privacy, le disposizioni SIAE, le direttive europee in materia di riuso dei dati del settore pubblico).

Lungi dall’essere temi astrattamente giuridici o meramente organizzativi, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali tendono ad assumere connotazioni culturali, poiché sottendono il modo di intendere i rapporti tra società, patrimonio, istituti di tutela, imprese e utenti e, più in generale, la funzione stessa di musei, archivi e biblioteche. La missione di questi ultimi non si esaurisce più nella - pur fondamentale -garanzia di tutela, gestione e fruizione fisica delle collezioni, ma si misura con obiettivi di disseminazione delle risorse culturali digitali per il soddisfacimento delle crescenti istanze di partecipazione, riuso e co-creazione di contenuti (cfr. par. 2.3.b e 2.3.c).

Il patrimonio culturale digitale, esistendo di per sé (cfr. par. 1.1.b), ha propri processi di gestione (cfr. par. 2.2.a); esso è tuttavia rappresentativo di beni culturali materiali e immateriali, per i quali può costituire forme autonome e innovative di fruizione e valorizzazione. Ne consegue che l’attuale regolamentazione, discendente dalla normativa di tutela concepita evidentemente per un mondo “analogico”, deve essere correttamente declinata nel contesto digitale. Per descrivere questo aspetto, che ha presupposti sostanzialmente giuridici, è necessario distinguere tre dimensioni:

  1. la prima, che impatta sulle attività di digitalizzazione, deriva dai diversi ambiti di protezione gravanti sui beni culturali (tutela culturale, tutela del diritto d’autore, tutela della riservatezza), che vanno posti in relazione con le due principali tipologie di riproduzione previste dal diritto d’autore (riproduzioni fedeli e riproduzione “creative”);
  2. la seconda concerne le modalità di acquisizione di una riproduzione e la relativa regolamentazione (riproduzione eseguita dall’utente con mezzi propri, riproduzione eseguita con mezzi professionali, riproduzione eseguita dall’amministrazione, riproduzione acquisita da una banca dati, ecc.). Le diverse modalità di acquisizione delle riproduzioni hanno differenti regolamentazioni, a seconda delle risorse e degli impatti organizzativi necessari per la loro generazione;
  3. la terza attiene allo scopo per il quale si richiede/ottiene una riproduzione, dal momento che usi diversi determinano differenti soluzioni. Poiché le tipologie d’uso nell’ambiente digitale si sono moltiplicate ed evolute (cfr. par. 2.2.c), è inevitabile adeguare le regole ai nuovi scenari, nel rispetto dei principi della normativa nazionale e comunitaria.

L’incrocio delle tre dimensioni determina l’individuazione delle procedure da adottare per la creazione, circolazione e riuso delle riproduzioni dei beni culturali, rammentando che l’obiettivo primario degli istituti culturali è incentivare la circolazione e il riuso, seppur regolamentato, delle risorse digitali culturali. Va pertanto definito un modello misto, in cui la funzione “sociale” della libera fruizione (si pensi al fruttuoso dibattito anglosassone sulla disciplina dei fair use per scopi didattici e formativi) e dell’apertura inclusiva e democratica delle risorse digitali (testimoniata dal successo delle licenze Creative Commons [14]) conviva armoniosamente con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato, tanto da parte degli istituti pubblici che dei soggetti privati. L’attuale sistema di autorizzazione/concessione sulla singola immagine od oggetto audio-video, è destinato nel tempo ad essere sostituito dalla gestione (anche machine to machine) degli accessi alle risorse contenute nelle Digital Library locali e nazionali, applicando politiche di licenza mirate al concetto di “servizio” piuttosto che sull’anacronistica nozione di “prodotto”. In questo modo il processo di apertura ai riusi commerciali può essere governato e adeguato agli obiettivi che si vogliono raggiungere e agli effetti che si intendono generare.

Con questo obiettivo, nelle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (cfr. par. 3.3) vengono forniti gli indirizzi operativi che, partendo dal quadro normativo vigente, possano cogliere il senso dei cambiamenti in atto, restituendo un contesto procedurale chiaro ed omogeneo per l’adozione di opportune discipline e licenze d’uso alla pubblicazione online delle riproduzioni dei beni culturali.

Accanto al tema delle riproduzioni dei beni culturali, che impatta evidentemente sulla crescente domanda di “immagini” e materiali audiovisivi di svariata natura, si innesta il principio del libero riutilizzo dei dati della pubblica amministrazione, introdotto dalle direttive comunitarie [15] e consolidato nel Codice dell’amministrazione digitale [16]_ (CAD); tali disposizioni sanciscono l’obbligo per il settore pubblico di rilasciare i propri dati in modalità aperta (Open Data). Questo principio muove dalla convinzione che il libero riutilizzo dei dati, anche per fini commerciali, contribuisca alla creazione di valore per la società grazie alle potenzialità connesse allo sviluppo di servizi connessi: tanto più sono elevate la qualità e quantità dei dati aperti messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni, quanto maggiori saranno le probabilità che essi vengano riutilizzati nella creazione di servizi innovativi.

Questo percorso rientra in una più ampia strategia europea dei dati [17], che trova nel CAD e nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione [18] la declinazione nel contesto italiano. I dati del patrimonio culturale rientrano appieno in tale prospettiva e pertanto vanno trattati in conformità a quanto previsto nel quadro legislativo e procedurale tracciato dalle norme sovraordinate.

Prima di delineare le azioni strategiche collegate al processo di apertura dei dati degli istituti culturali, occorre precisare che le riflessioni che seguono si intendono applicate:

  • Ai dati descrittivi del patrimonio culturale contenute nei cataloghi e nelle banche dati nazionali e territoriali.
  • Ai dati prodotti nell’ambito dell’attività istituzionale del Ministero e degli istituti culturali.
  • Ai contenuti culturali prodotti nelle attività di valorizzazione, laddove compatibile con la disciplina del diritto d’autore.

Analizzando una recente ricerca empirica sull’adozione di politiche di Open Access presso istituti GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museums) di tutto il mondo [19], è possibile constatare come l’apertura dei dati non sia una pratica ancora adottata sistematicamente dagli istituti culturali italiani [20]. Per superare questo divario, dovuto a un più lento adeguamento del comparto cultura alle nuove opportunità aperte dalla condivisione e circolazioni di dati e conoscenze, occorre superare le resistenze ancora esistenti derivanti, più che da posizioni di principio, da una oggettiva difficoltà da parte degli istituti culturali a confrontarsi con un tema che richiede specifiche competenze tecniche.

Il PND, combinando le indicazioni operative contenute nelle Linee guida della parte terza (cfr. par. 3.1 e 3.2) con il programma formativo previsto nell’ambito del PNRR (cfr. par. 2.3.a), intende perseguire diverse finalità: favorire la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le pubbliche amministrazioni e da parte di cittadini e imprese, aumentare la qualità dei dati e dei metadati, aumentare la consapevolezza sulle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e su una moderna economia dei dati. A tale scopo, riprendendo la schematizzazione del precedente paragrafo 2.2.a [21], si individuano le seguenti azioni strategiche:

  • Livello 1 (direzioni generali): gestione e sviluppo del sito dati.beniculturali.it, inteso quale interfaccia unica rispetto alla “Piattaforma digitale nazionale dati” [22]; identificazione delle basi dati strategiche del Ministero e pubblicazione del relativo catalogo in coerenza con il profilo DCAT-AP_IT [23]; identificazione dei sistemi informativi pubblici che espongono API coerenti con il modello di interoperabilità e con i modelli di riferimento di dati nazionali ed europei; normalizzazione delle licenze d’uso aperte utilizzate; promozione di iniziative di formazione e divulgazione sul tema.
  • Livello 2 (istituti centrali): aumento del numero di dataset aperti di tipo dinamico e del numero di dataset con metadati di qualità conformi agli standard di riferimento europei e dei cataloghi nazionali (dati.gov.it, geodati.gov.it), pubblicati sul sito dati.beniculturali.it in coerenza con quanto previsto dal quadro normativo nazionale ed europeo; attivazione dell’interoperabilità con l’infrastruttura software del patrimonio culturale (cfr. par. 2.1.a) secondo API standard; realizzazione di iniziative di coinvolgimento di utenti e sviluppatori per il riuso dei dataset rilasciati in formato aperto.
  • Livello 3 (istituti culturali): produzione e gestione dei dati, sulla base delle proprie finalità istituzionali, conformemente gli standard nazionali e alle indicazioni espresse nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale; utilizzo di software di catalogazione, se diversi da quelli messi a disposizione gratuitamente dagli Istituti centrali, che siano pienamente interoperabili con i sistemi nazionali attraverso l’esposizione di API standard o attraverso il conferimento ai sistemi nazionali secondo i formati di trasferimento definiti dagli istituti centrali; crescita qualitativa e aggiornamento dei dati nel tempo; chiara associazione delle licenze d’uso ai dataset rilasciati in formato aperto.

Nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (cfr. par. 3.2) sono contenute una serie di indicazioni operative volte a facilitare l’adozione di pratiche di apertura dei dati come momento qualificante del ciclo di vita della risorsa digitale.

2.2.c. Design dei servizi e modelli per la creazione di valore

Per migliorare e innovare l’attuale gestione del patrimonio digitale, basata quasi esclusivamente sull’offerta di prodotti (ovvero di risorse digitali intese come mere riproduzioni di beni culturali fisici), è necessario intraprendere un percorso sfidante di progettazione dei servizi e dei modelli per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Per condurre quest’operazione in modo efficace ed efficiente si possono distinguere tre macro-categorie di servizi digitali erogabili:

  • Servizi digitali di base: riguardano la ricerca di informazioni (lato fruizione) e la condivisione di contenuti (lato creazione);
  • Prodotti e servizi digitali a valore aggiunto: sono rappresentati da servizi innovativi di elaborazione avanzata dei dati e dei contenuti per la creazione di prodotti educativi, espositivi, editoriali, commerciali;
  • Servizi digitali per la gestione: includono i servizi dedicati alla gestione del patrimonio (back-end), delle attività istituzionali (front-end) e delle funzioni legate alla fruizione (ticketing, prenotazione, pagamenti, segnalazioni, ecc.).

La mappatura delle tipologie dei beni culturali, condotta in funzione del loro potenziale di valorizzazione insieme all’analisi dei mercati e dei target di riferimento per l’erogazione dei servizi da parte degli istituti culturali, costituisce la base per la definizione di processi end to end. Questi vanno progettati nel contesto di una strategia circolare - che muove dal gestore all’utente e viceversa - e poi implementati a seconda dei potenziali utilizzatori: le istituzioni (modello B2I Business-to-Institutions), le imprese (modello B2B Business-to-Business), gli utenti (modello B2C Business-to-Consumer); ciò indipendentemente dal fatto che vengano sviluppati a livello centrale o territoriale.

Sulla base dei servizi digitali e dei processi end-to-end saranno adottati nuovi modelli di gestione capaci di armonizzare la funzione dell’apertura inclusiva, partecipata e democratica delle collezioni con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato. La finalità di questa azione strategica consiste nel proporre modalità di gestione sostenibili nel tempo. I nuovi servizi si rivolgeranno a tutte le categorie individuate nei mercati di riferimento (B2I, B2B, B2C) e, potenzialmente, potranno estendersi oltre i confini nazionali per intercettare la domanda internazionale.

Il corrispettivo naturale del processo di design dei servizi è l’adozione di indici di misurazione delle performance e di metriche per l’autovalutazione delle condizioni di partenza, dei progressi registrati nel tempo e dei risultati finali degli istituti culturali (il cosiddetto Digital Maturity Assesment già sperimentato con successo su base volontaria in altre nazioni europee).

La capacità di comprendere e vagliare il proprio livello di maturità digitale è un’opportunità fondamentale per un’istituzione culturale, poiché rappresenta la base di partenza su cui fondare il proprio processo di sviluppo. L’impiego di metodologie e strumenti di valutazione della maturità digitale consente di monitorare i livelli di attuazione delle misure proposte, ottenendo dati quantitativi e qualitativi che permettono di rilevare oggettivamente gli stati di avanzamento della transizione digitale. In questo modo sarà possibile incentivare–anche tra gli enti gestori del patrimonio – l’adozione di processi decisionali guidati da evidenze quantitative e qualitative (data-driven), che valorizzino i dati originati dall’espletamento delle funzioni degli istituti nell’interpretazione del cambiamento.

Tutti questi aspetti troveranno una più approfondita trattazione nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. 3.4) che metteranno a fuoco le tipologie dei beni culturali e il loro potenziale di valorizzazione, identificheranno i prodotti realizzabili e i servizi erogabili, definiranno i processi end-to-end e analizzeranno i modelli di gestione applicabili per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Nel documento Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali (cfr. par. 3.5) vengono invece descritti i principali modelli di Digital Maturity Assessment, le opportunità di applicazione al patrimonio culturale e alcuni casi di strumenti esistenti.

[11]Nel 2014 sono stati elaborati alcuni principi fondamentali, denominati F.A.I.R. (Findable, Accessible, Interoperable, Re-Usable), per ottimizzare la riutilizzabilità dei dati della ricerca; il testo completo è disponibile all’indirizzo https://www.force11.org/group/fairgroup/fairprinciples
[12]Per un approfondimento sui dati aperti si veda il documento “FAQ per la pubblicazione di dati aperti” allegato alle Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati (Data Management Plan).
[13]Il sistema di livelli proposto descrive il modello organizzativo del Ministero della cultura ma può essere facilmente adattato anche alle amministrazioni regionali e comunali.
[14]Creative Commons è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fornisce licenze gratuite, strumenti che i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi possono utilizzare per consentire ad altri di condividere, riutilizzare e remixare legalmente le proprie opere. Il rilascio di materiale con una delle sei licenze CC chiarisce agli utenti cosa possono o non possono fare. Per approfondimenti cfr. https://creativecommons.it/chapterIT/.
[15]La direttiva europea (UE) 2019/1024, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, rifonde in un unico testo le precedenti direttive 2003/98/CE e 2013/37/UE.
[17]“La strategia europea in materia di dati mira a fare dell’UE un leader in una società basata sui dati. La creazione di un mercato unico dei dati consentirà a questi ultimi di circolare liberamente all’interno dell’UE e in tutti i settori a vantaggio delle imprese, dei ricercatori e delle amministrazioni pubbliche. Le singole persone, le imprese e le organizzazioni dovrebbero essere messe in grado di adottare decisioni migliori sulla base delle informazioni derivate da dati non personali”. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/european-data-strategy_it.
[18]Il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione è uno strumento elaborato da AgID (Agenzia per l’Italia digitale) per promuovere la trasformazione digitale del Paese e, in particolare, quella della Pubblica Amministrazione italiana. La versione del Piano 2021-2023 è disponibile all’indirizzo https://www.agid.gov.it/it/agenzia/piano-triennale.
[19]Douglas McCarthy, Andrea Wallace, Survey of GLAM open access policy and practice, 2018 to present, CC BY 4.0, https://docs.google.com/spreadsheets/d/1WPS-KJptUJ-o8SXtg00llcxq0IKJu8eO6Ege_GrLaNc/edit#gid=1216556120.
[20]Su 934 soggetti dell’ecosistema GLAM europeo che mettono a disposizione dati della cultura in accesso aperto per mezzo dei loro siti web e/o di piattaforme esterne, come Europeana e Wikimedia Commons, solo 24 sono italiani, contro 178 della Germania, 89 del Regno Unito, 82 della Svezia, 75 della Polonia, 62 di Francia e Olanda, 45 di Spagna, 39 di Portogallo, 36 di Svizzera e Norvegia, 33 di Belgio.
[21]Il sistema di livelli proposto descrive il modello organizzativo del Ministero della cultura ma può essere facilmente adattato anche alle amministrazioni regionali e comunali.
[22]Art. 53-ter del Codice dell’amministrazione digitale.
[23]Profilo italiano dei metadati richiesti per descrivere tutti i dati disponibili presso la pubblica amministrazione. Il profilo è elaborato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Il profilo nazionale, denominato anche “Profilo italiano di DCAT-AP” (DCAT-AP_IT), si inserisce nel contesto del framework europeo di interoperabilità. È una estensione della specifica DCAT-AP (Data Catalog Vocabulary – Application Profile) rilasciata a novembre 2015. Per approfondimenti cfr. https://dati.gov.it/content/dcat-ap-it-v10-profilo-italiano-dcat-ap-0.

2.3 Persone

Affinché la transizione digitale produca valore culturale, economico e sociale è doveroso porre le persone al centro dei processi di cambiamento. Investire sul capitale umano è imprescindibile per creare l’impianto organizzativo necessario alle amministrazioni: troppo spesso infatti la trasformazione digitale è impedita o ostacolata dalla mancanza di competenze interne di natura tecnica e organizzativa. La formazione rappresenta lo strumento fondamentale per far sì che l’innovazione possa radicarsi, crescere e generare valore; in questo contesto essa va intesa come un processo trasversale di lunga durata, volto all’aggiornamento costante delle competenze e delle conoscenze degli individui.

Al contempo è necessario trasformare le forme e le modalità di interazione dei pubblici con i patrimoni culturali: le istituzioni sono chiamate a superare la logica del passato basata sulla fruizione passiva degli utenti, in favore di pratiche di disseminazione culturale e condivisione sociale ad ampio raggio, capaci di mettere le persone al centro delle strategie e di farle interagire con la cultura in modo consapevole e innovativo. Le istituzioni culturali dovrebbero incentivare la partecipazione attiva mediante pratiche di co-creazione e crowdsourcing, incrementando le potenzialità di individui, enti non commerciali, imprese e comunità. Solo implementando azioni strategiche volte al costante aggiornamento delle competenze del personale interno e abilitando la partecipazione di strati sempre più ampi di cittadinanza si potrà favorire la creatività culturale, intesa come processo permanente di ri-contestualizzazione e re-interpretazione del patrimonio all’interno dei paesaggi culturali (cfr. par. 1.1.a).

2.3.a. Formazione e crescita delle competenze

Le competenze digitali si presentano come tessere di un ampio mosaico, nella cui composizione rientrano abilità tecnologiche, conoscenze metodologiche, attitudini gestionali e processi mentali che consentono di creare e gestire informazioni e contenuti mediante le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Nell’ambito dell’investimento del PNRR è prevista la realizzazione di un programma di “Formazione e aggiornamento delle competenze” (sub-investimento M1C3 1.1.6, periodo di realizzazione 2023-2026); quest’azione strategica ha lo scopo di arricchire la competenza del personale interno del Ministero e di tutti i professionisti che operano a vario titolo nelle istituzioni culturali mediante un programma di apprendimento permanente (lifelong learning) pensato per supportare il processo di cambiamento richiesto. L’intervento formativo tenderà alla creazione di un patrimonio condiviso di competenze che possa favorire l’ibridazione degli ambiti disciplinari e operativi e l’integrazione dei livelli di conoscenza. Affinché la progettazione formativa possa rispondere alle istanze di un’ampia ed eterogenea platea di destinatari e alla rapidità con cui evolve il quadro tecnologico, è necessario elaborare un modello di sviluppo delle competenze che individui ambiti comuni a più categorie di destinatari, piuttosto che specifici profili di ruolo, che rischiano di non rispondere più, già nel breve periodo, agli scenari e agli obiettivi del processo di cambiamento.

Il modello che verrà implementato consiste in una matrice che incrocia le aree del processo di digitalizzazione (creare, usare, conservare, governare) con i livelli delle competenze richieste (di base, specialistiche, avanzate). L’offerta formativa sarà affiancata dalla messa a disposizione di un sistema di auto-valutazione delle competenze digitali possedute dagli operatori, così da consentire loro di individuare i propri fabbisogni formativi specifici e costruire percorsi di aggiornamento personalizzati, scegliendo i programmi che corrispondono alle proprie esigenze.

2.3.b. Disseminazione culturale e condivisione sociale

La pervasività delle tecnologie digitali ha generato aspettative di servizi nel pubblico; ciò ha influito inevitabilmente sulle modalità con cui gli individui immaginano di interagire con il patrimonio culturale. Approfittando di questa opportunità, è possibile accompagnare le attività di formazione e sviluppo delle competenze con azioni che incidano sulla consapevolezza sociale del patrimonio culturale fruito e agito nell’ambiente digitale, stimolando il passaggio dalla percezione individualizzata dei beni, tipica degli accessi a fini d’intrattenimento o commerciali, a una elaborazione collettiva più matura e partecipata, tendente a rimuovere le repliche tecnologicamente aggiornate di visioni tradizionali, ideologiche o stereotipate.

Le pratiche e i processi di patrimonializzazione che stanno spontaneamente emergendo nelle comunità territoriali, sociali e politiche possono prosperare nell’ambiente digitale: si tratta di un percorso già individuato dalla Convenzione di Faro come indicativo di un rapporto rinnovato fra cittadini e patrimonio, che nel presente documento è declinato in termini di paesaggi culturali. I nuovi bisogni del pubblico, resi plausibili dalle caratteristiche intrinseche che differenziano i beni culturali fisici dai loro corrispettivi digitali (come ad esempio l’uso non rivale, che permette l’accesso simultaneo e plurimo da parte di più utenti) possono essere soddisfatti da una ramificata struttura di servizi, distribuiti capillarmente sul territorio in virtù della loro dematerializzazione.

Le nuove forme di costruzione condivisa dei contesti patrimoniali necessitano di una solida struttura informativa che sappia offrire dati di qualità e informazioni attendibili. Le politiche culturali abilitate dalla costruzione di uno spazio comune dei dati (cfr. par. 2.1.a) dovranno perciò ampliare il pubblico sia a livello territoriale (nello spazio geografico) che sociale, coinvolgendo segmenti più ampi - e in passato esclusi - della popolazione. Il digitale offre inedite possibilità per la disseminazione culturale: le piattaforme di accesso al patrimonio propongono efficaci strumenti per l’accesso ai dati dei beni culturali, la condivisione dei risultati della ricerca, l’impiego per finalità didattiche e formative, la divulgazione scientifica, la partecipazione alla creazione di contenuti digitali con nuovi linguaggi: tutto ciò allarga l’impatto generato dalla fruizione culturale, che non è più solamente passiva.

Nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma per l’accesso integrato al patrimonio culturale digitale” (sub-investimento M1C3 1.1.10, periodo di realizzazione 2023-2025) che, in quanto hub, consentirà a cittadini, esperti, docenti, enti formativi, imprese e operatori del settore di costruire la propria esperienza di navigazione nell’enorme contesto informativo del patrimonio culturale italiano, costantemente incrementato dalle attività di digitalizzazione. Tale piattaforma, che avrà le funzioni di una Digital Library, metterà in relazione i progetti di digitalizzazione passati con quelli correnti, valorizzandone l’apporto culturale e collegandoli ai processi di patrimonializzazione presenti e futuri. La piattaforma costituirà uno dei possibili punti di accesso ai dati del patrimonio culturale, che non sostituisce ma integra quelli già esistenti a livello centrale e territoriale, aggiungendo un livello di servizio che oggi manca.

Con finalità analoghe proseguiranno le azioni tese ad accrescere le funzionalità delle piattaforme nazionali di settore, sviluppate e gestite dagli istituti centrali del Ministero, che continueranno a rappresentare i primi riferimenti dei diversi ambiti disciplinari, in sinergia con le piattaforme regionali che proseguiranno la funzione di “racconto” del patrimonio culturale locale.

2.3.c. Co-creazione e crowdsourcing

Il digitale offre la possibilità di operare un cambio di prospettiva: chi interagisce con il patrimonio non è più un fruitore passivo, ma un soggetto attivo, capace di arricchire l’universo informativo e di co-creare in modo partecipato, mettendosi in rapporto con gli altri. Non è più sufficiente coinvolgere gli utenti nella fruizione del patrimonio, ma è necessario “attivarli” come agenti consapevoli dei processi di produzione culturale.

Il riuso delle risorse digitali, se opportunamente disciplinato da politiche pubbliche chiare e linee guida user-friendly, è in grado di generare valore culturale grazie alla creazione partecipata di contenuti e alla diffusione delle pratiche di interazione, incentivando meccanismi di co-creazione e di produzione di valore dal basso e offrendo nuove opportunità di sviluppo alla cittadinanza dal punto di vista culturale, economico e sociale. Il patrimonio culturale digitale può così trasformarsi, elevandosi da risorsa “mineraria” (la valorizzazione è staccata dal bene, che ha valore in quanto tale) a risorsa “dinamica” (il valore intellettuale è incorporato nelle risorse ed è da esse inscindibile). Inoltre, la crescente disponibilità di oggetti digitali può innescare virtuosi meccanismi di marketing proattivo capaci di instaurare ex novo e/o riqualificare i rapporti fra i luoghi della cultura e gli utenti, anche al di fuori degli ambiti specialistici.

Nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma di co-creazione e crowdsourcing” (sub-investimento M1C3 1.1.11, periodo di realizzazione 2024-2026), che offrirà nuove prospettive di interazione col patrimonio. La piattaforma, all’interno dello spazio delle applicazioni del nuovo sistema digitale della cultura, potrà arricchire di informazioni e significati il patrimonio digitale attraverso la partecipazione attiva degli utenti. Costoro potranno produrre, caricare e condividere i loro contenuti originali, partecipare a progetti di crowdsourcing per l’arricchimento dei tag e delle descrizioni del patrimonio culturale, contribuire ai processi di riconoscimento e metadatazione delle risorse digitali ed essere protagonisti della costruzione o ri-costruzione di contesti culturali, attivando processi di patrimonializzazione di natura digitale.

Linee guida per i processi di digitalizzazione

Questa sezione del PND intende mettere a disposizione alcuni strumenti per la pianificazione e l’esecuzione delle attività connesse alla digitalizzazione del patrimonio culturale e dei servizi connessi. La sezione si articola in una serie di allegati tecnici, ciascuno dei quali approfondisce uno specifico aspetto delle pratiche di digitalizzazione. Questi documenti, strutturati in forma di linee guida, saranno sottoposti a periodiche verifiche per garantirne l’aggiornamento rispetto all’evoluzione delle normative, dei metodi, degli standard e dei progressi tecnologici.

Le linee guida definiscono approcci e procedure e forniscono riferimenti informativi e non prescrittivi, illustrando i principali riferimenti metodologici e tecnici, con il relativo corredo bibliografico. I documenti si rivolgono al personale che negli istituti culturali è coinvolto nei processi di trasformazione digitale, cui viene fornito un quadro operativo multilivello, che può essere d’ausilio sia nelle pratiche decisionali e strategiche, sia nella pianificazione e nell’esecuzione delle operazioni.

Esiste una specifica correlazione fra le azioni strategiche e gli strumenti a corredo del PND. Gli allegati tecnici offrono modelli e suggeriscono procedure utili per affrontare le sfide organizzative e metodologiche poste dall’attuazione dei processi individuati nella sezione Strategie. Nello schema seguente (Figura 5) sono evidenziate le relazioni fra i processi individuati dal PND e le corrispondenti linee guida:

image0

Figura 5. Relazione fra i processi di Strategie e le Linee guida del PND

3.1 Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale

Le linee guida 1 definiscono gli approcci e le procedure per la creazione, la metadatazione e la conservazione degli oggetti digitali. Il documento, dal carattere informativo e non prescrittivo, fornisce una base metodologica e tecnica al personale che negli istituti culturali segue la progettazione e la gestione dei progetti di digitalizzazione. Queste linee guida offrono schemi processuali e modelli operativi utili per impostare progetti di digitalizzazione efficaci, efficienti e organizzati, creando dati di qualità allineati ai più aggiornati standard nazionali e internazionali, in grado di assicurarne l’interoperabilità e la longevità.

Allegato 1: Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale.

3.2 Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati

Le linee guida 2 hanno l’obiettivo di definire il percorso per costruire piani di gestione dei dati (Data Management Plan) che specifichino come descrivere, analizzare, archiviare, condividere e conservare i dati dei progetti di digitalizzazione del patrimonio culturale e delle banche date esistenti. Queste linee guida comprendono esempi e suggeriscono buone pratiche nel campo dei dati aperti, fornendo spunti fondamentali sugli Open Data (espressi in forma di Frequently Asked Questions, rivolte ad un ampio pubblico) che possono essere utilizzati da parte degli istituti di tutela per strutturare la pubblicazione di dati aperti. Il medesimo documento riporta inoltre i principali riferimenti normativi italiani ed europei che disciplinano l’uso e l’applicazione delle licenze aperte, con particolare attenzione alla pubblicazione dei dati della cultura.

Allegato 2: Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (Data Management Plan).

3.3 Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale

Le linee guida 3 chiariscono le norme che disciplinano l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale, qui intesi nella loro accezione più ampia. Il documento inquadra il contesto normativo di riferimento, fornendo strumenti operativi (come diagrammi di flusso e tavole sinottiche) che permettono di individuare gli ambiti legislativi corretti, in funzione delle tipologie di bene culturale e delle modalità di riproduzione e acquisizione di immagini e materiali audiovisivi, in relazione alle diverse finalità di utilizzo e ai diritti d’autore eventualmente gravanti sui beni e sulle riproduzioni. L’obiettivo dell’allegato è mettere le istituzioni e gli utenti nelle condizioni di distinguere senza equivoci i limiti e le possibilità di riutilizzo delle riproduzioni rese disponibili in rete dagli istituti.

Allegato 3: Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale.

3.4 Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione

Partendo dalle diverse tipologie dei beni culturali e dal loro potenziale di valorizzazione, le linee guida 4 individuano e descrivono le diverse tassonomie e mappature di processi e servizi menzionate nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND), al fine di ordinare i differenti concetti per tipologie “di senso” e orientare il lettore.

Il documento illustra tre ambiti principali, tra loro interrelati: l’individuazione dei prodotti realizzabili e dei servizi erogabili; la definizione dei processi end-to-end; l’analisi dei modelli di gestione applicabili per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. L’obiettivo consiste nel fornire agli istituti culturali una base conoscitiva per comprendere i pro e i contro delle diverse soluzioni adottabili, dacché le scelte devono essere effettuate in funzione del grado di maturità digitale e dopo aver attentamente valutato alcuni aspetti-chiave (es. target utenti e profilazione audience, base dati a disposizione, etc.).

Allegato 4: Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione

3.5 Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali

La capacità di analizzare il proprio livello iniziale di maturità digitale è un’opportunità fondamentale per un istituto culturale, poiché rappresenta la base conoscitiva su cui fondare l’intero progetto di trasformazione digitale. L’impiego di metodologie e strumenti di valutazione della maturità digitale (digital maturity assessment) facilita l’implementazione del processo e consente il monitoraggio dei livelli di attuazione delle misure proposte, permettendo di ottenere dati quantitativi e qualitativi sui gradi di avanzamento e sulla qualità gestionale dei processi di transizione digitale. Il documento illustra i modelli di digital maturity assessment adottabili per gli istituti culturali, evidenziandone le opportunità di applicazione al patrimonio pubblico e proponendo l’utilizzo, a livello nazionale, della metodologia valutativa più appropriata per consentire alle istituzioni di comprendere con chiarezza il proprio livello iniziale e governare più efficacemente i processi di transizione digitale.

Allegato 5: Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali.

Parole chiave

Accessibilità

Il tema dell’accessibilità, spesso declinato al solo superamento delle barriere architettoniche, cognitive e sensoriali dei luoghi della cultura e dei beni culturali materiali e immateriali, nel contesto del PND è affrontato nella molteplicità delle relazioni che connettono le persone con il patrimonio culturale nella sua multidimensionalità, e nelle molteplici modulazioni che queste relazioni mettono in campo (Cetorelli et al., 2017). In questo senso, il concetto di accessibilità diffusa riguarda: la fruizione del patrimonio culturale pubblico e privato - senza dislivelli sociali e marginalità territoriali; il superamento delle barriere linguistiche e del divario scolastico; il coinvolgimento di diverse fasce di pubblico e target generazionali e multiculturali; l’uso da parte di persone con esigenze di accesso specifiche; la disponibilità di risorse culturali; l’uso e l’accessibilità a lungo termine degli oggetti digitali attraverso l’adozione di nuove strategie di conservazione (approccio cloud); un’adeguata metadatazione attraverso protocolli standard rilasciati in formato aperto.

Application Programming Interface (API)

Un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (API) è un insieme di protocolli, funzioni e/o comandi che i programmatori usano per facilitare l’interazione tra servizi e software distinti; sono dunque interfacce con cui la macchina si relaziona. Le API permettono a un servizio software di accedere ai dati di un altro servizio software senza che lo sviluppatore debba sapere come funziona l’altro servizio; a livello tecnico, esse permettono ad agenti eterogenei di accedere dinamicamente e riutilizzare gli stessi set di dati e flussi di lavoro standardizzati. Attraverso le API i dati possono dunque essere interrogati, estratti, scambiati, arricchiti; integrare e diffondere la conoscenza, invece di limitarsi a catturarla e incapsularla, è l’obiettivo dei moderni sistemi informativi culturali. Questo cambiamento tecnico e intellettuale può essere visto come la «svolta infrastrutturale» nelle Digital humanities (Tasovac et al., 2015) e della trasformazione digitale.

Big Data

I big data sono una combinazione di dati strutturati, semi strutturati e non strutturati; possono essere descritti con tre caratteristiche principali:

  • Un grande volume di dati distribuiti in diversi ambienti.
  • Un’ampia varietà di tipologie di dati.
  • La velocità con cui molti dati vengono generati, raccolti ed elaborati.

Il passaggio da un web informativo a un web più profondamente interconnesso e il conseguente emergere di una grande quantità di dati senza precedenti spesso non strutturati, stanno trasformando il modo in cui creiamo, interpretiamo, valorizziamo, gestiamo, analizziamo e visualizziamo le risorse digitali e di conseguenza anche le risorse e informazioni e contenuti inerenti al patrimonio culturale (Rojas, 2017 e Jocker, 2016). La grande quantità di dati sta rimodellando i modi in cui le istituzioni della cultura selezionano i materiali da raccogliere, conservare e condividere nell’interesse pubblico e quali futuri vengono creati attraverso queste pratiche di raccolta.

La crescente trasformazione digitale, unita all’evoluzione tecnologica e allo sviluppo della potenza computazionale, sta plasmando una società cibernetica i cui meccanismi di lavoro sono basati sulla produzione, l’impiego e lo sfruttamento di grandi dati (Kaplan, 2015). Per ciò che concerne i dati della cultura, tuttavia, la nozione di big data è ancora nella sua fase embrionale, e solo negli ultimi anni, si è iniziato a indagare, esplorare e sperimentare l’impiego e lo sfruttamento dei big data e a comprendere le possibili forme di collaborazione e di opportunità basate su di essi. L’uso dei big data all’interno dell’ecosistema della cultura può dare gli strumenti per capire alcune tendenze per cogliere le opportunità di intercettare nuovi pubblici e ottimizzare la pianificazione di progetti facilitando forme di accessibilità. L’analisi dei big data può prevedere le esigenze future e innovative per la creazione di valore del patrimonio e la partecipazione sociale attiva.

Cloud

La tecnologia cloud è una soluzione informatica che permette di gestire e processare dati contenuti su richiesta in server remoti. L’espressione cloud computing si riferisce a un nuovo paradigma per la fornitura di infrastrutture informatiche e di architettura di sistemi basati su servizi che può essere alla base dell’ecosistema digitale della cultura (Regalado, 2011). Questa tecnologia comporta lo spostamento della localizzazione di infrastrutture nella rete con l’obiettivo di aumentare la sostenibilità e ridurre i costi per la gestione delle risorse hardware e software, permettendo dunque non solo di accogliere gli oggetti digitali ma di metterli anche in relazione. Cloud può essere tradotto dall’inglese come “nuvola” ed è un modo per poter accedere ai dati molto conveniente, su cui si possono basare risorse di computing configurabili e protocolli di rete, applicazioni e servizi; può essere fornito rapidamente e rilasciato con il minimo sforzo di gestione o interazione dal provider (Mulligan, 2019). In coerenza con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è stata elaborata dal Dipartimento per la trasformazione digitale e dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) la Strategia Cloud Italia (https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/strategia-cloud-italia/). Tale strategia, che ha avviato la migrazione dei dati della Pubblica Amministrazione verso il cloud dei dati nazionale e i servizi digitali, risponde a tre sfide principali: 1. assicurare l’autonomia tecnologica del Paese; 2. garantire il controllo sui dati; 3. aumentare la resilienza dei servizi digitali.

Co-creazione

Con il termine “co-creazione” si intende un’attività di progettazione partecipativa, in cui rientrano anche la “co-produzione” e il “co-design”. Non vi è una definizione chiara e univoca di tale termine, sia perché è spesso usato in contesti e discipline differenti, sia perché afferisce al concetto di progettazione partecipativa che fa uso di termini interscambiabili o correlati. Alcuni autori hanno identificato la co-creazione come la composizione di co-produzione e co-progettazione, mentre altri hanno indicato la co-creazione come un particolare caso di co-progettazione. (Dudau et al., 2019, Grönroos 2011, Sanders 2008).

Nel contesto del PND, ci si riferisce al processo di co-creazione che si basa sul coinvolgimento attivo degli utenti finali nelle diverse fasi del processo produttivo di un servizio. Si tratta di una “cultura partecipativa” (Uricchio, 2004) in cui il processo di diffondere, condividere e mettere in relazione contenuti è reso possibile dall’attuale rivoluzione digitale e diffusione transmediale (video games, Internet, piattaforme mobile, social networks, etc.), secondo un modello di produzione di contenuti orizzontale e dominato dalle “user generated stories”.

Crowdsourcing

Il neologismo, crowdsourcing, è stato introdotto nel 2005 e deriva dalle parole inglesi, crowd (folla) e outsourcing (appalto a terzi), identificando una richiesta aperta di collaborazione a progetti attraverso Internet. Questa pratica collaborativa, oltre ad ottimizzare i costi di produzione, crea meno separazione fra chi è un professionista e chi non lo è. In questo quadro sono state sviluppate diverse piattaforme e progetti che hanno permesso di contribuire alla costruzione di contenuti in rete da parte degli stessi utenti e, come nel caso di Wikipedia, in vari ambiti della cultura. Il crowdsourcing rappresenta uno strumento di partecipazione, e può essere un modo per coinvolgere un pubblico più ampio in attività che sono state tradizionalmente appannaggio degli esperti di settore (Van Hyning, 2019). Queste pratiche portano quindi a nuove modalità di interazione e confronto con il patrimonio culturale e creano le possibilità di apprendere e misurarsi in modo diverso da come siamo stati abituati, coinvolgendo potenzialmente un pubblico più ampio. Infatti, diversi sono i progetti provenienti dalle Digital humanities in cui compiti molto complessi tradizionalmente svolti da studiosi, sono stati affidati a persone non esperte, producendo così un cambio di approccio e di valore ai documenti del patrimonio culturale. Un esempio può essere Transcribe Bentham (http://transcribe-bentham.ucl.ac.uk/td/Transcribe_Bentham), il progetto sviluppato presso l’University College London (UCL) sui manoscritti del filosofo inglese, per il quale è stata richiesta la collaborazione degli utenti nella correzione delle trascrizioni prodotte attraverso l’ausilio di software HTR (vedi voce). Un prerequisito fondamentale per il crowdsourcing è inoltre l’uso del formato della “chiamata aperta” per richiedere il lavoro di una rete di collaboratori. In questi progetti, le istituzioni sono obbligate a trovare una chiave interpretativa completamente diversa di fruizione del patrimonio culturale, in cui l’utente diventa protagonista della stessa trasmissione culturale.

Cultura digitale

Il termine “cultura” può essere interpretato in diversi modi e assume diversi significati in base al contesto d’utilizzo. Dal latino colere, “coltivare”, declinato nel participio futuro della lingua latina, per intendere “ciò che diviene”, in senso ampio con la parola “cultura” si intende l’insieme di comportamenti, conoscenze, norme, sistemi di valori, meccanismi di controllo che una società, in tutte le sue componenti, mette in opera per sopravvivere e/o per vivere meglio.

Nella sua declinazione digitale, si intende il corpus delle conoscenze e competenze di natura digitale fruite attraverso il Web, la cui accessibilità è strettamente legata alla pervasività delle nuove tecnologie nella società. La cultura digitale comincia a prendere forma a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, quando negli Stati Uniti si avviano i primi progetti relativi alla rete internet. Il concetto si sviluppa in relazione al diffondersi delle Information and Communication Technologies (ICT), ovvero alla grande capacità di processare dati e informazioni e alla capacità di muovere e relazionare dati e informazioni attraverso la rete. La cultura digitale si caratterizza per tre elementi: partecipazione, digitalizzazione e riuso dell’informazione (Miller, 2020). Basata su rapporti decentrati dove la trasmissione del sapere avviene nella forma della rete, essa appare come un vero e proprio ecosistema, capace di riformulare i saperi del passato e contemporaneamente di proiettarsi nel futuro; una ‘intelligenza collettiva’ che può essere valorizzata grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi media (Lévy, 1996). La cultura digitale è anche connessa alla necessità di preservare l’accessibilità ai diversi formati nel tempo, soprattutto per quelli nativamente digitali, e per questo promuove l’utilizzo di standard nella produzione e archiviazione dei contenuti.

Data as a Service

Il Data as a Service (DaaS) è un modello di fornitura e distribuzione delle informazioni in cui i file di dati (inclusi testo, immagini, suoni e video) sono resi disponibili agli utenti attraverso una rete, tipicamente Internet. Il modello utilizza una tecnologia di base fondata sul cloud che supporta i servizi Web e la SOA (architettura orientata ai servizi). Le informazioni DaaS sono memorizzate nel cloud e accessibili attraverso diversi dispositivi. Come tutte le tecnologie “as a service” (aaS), DaaS si basa sul concetto che il suo prodotto di dati può essere fornito all’utente «su richiesta» (Agrawal et al., 2009). L’architettura orientata ai servizi (SOA) e l’uso diffuso delle API hanno reso irrilevante la piattaforma su cui risiedono i dati. Esempi di DaaS includono a titolo esemplificativo i servizi di georeferenziazione, che forniscono dati agli utenti.

Dati aperti

I dati o, altri tipi di contenuto, sono aperti se chiunque ha la libertà di usarli, riutilizzarli e ridistribuirli – i dati sono soggetti solo al requisito di attribuire e/o condividere. Questo significa, secondo la Open Knowledge Foundation:

  • Disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili nel loro insieme e a non più di un costo di riproduzione ragionevole, preferibilmente scaricando su internet. I dati devono anche essere disponibili in una forma conveniente e modificabile.
  • Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a condizioni che consentano il riutilizzo e la ridistribuzione, inclusa la commistione con altri set di dati.
  • Partecipazione universale: tutti devono essere in grado di usare, riutilizzare e ridistribuire. non ci dovrebbero essere discriminazioni contro campi di attività o contro persone o gruppi.

Per esempio, restrizioni «non commerciali» che impedirebbero l’uso «commerciale», o restrizioni d’uso per certi scopi (per esempio solo nell’istruzione), non sono permesse (Ziegler, 2020).

Digital Library

Il termine “Digital Library”, utilizzato per la prima volta nel 1987, è identificato con una molteplicità di definizioni e punti di vista. La declinazione più usata di Digital Library è legata al dominio delle biblioteche, ma sono comuni anche descrizioni che si riferiscono a progetti dell’intero ecosistema GLAM (Galleries, Libraries, Archives and Museums). Ci sono stati vari tentativi di giungere ad una visione comune, uno tra questi è stato quello della Digital Library Federation (DLF) nel 1998 (“A working definition of digital library”), secondo cui le Digital Library sono organizzazioni che forniscono risorse, incluso il personale specializzato, per selezionare, strutturare, offrire accesso, interpretare, distribuire, preservare l’integrità e assicurare la persistenza nel tempo delle collezioni di oggetti digitali, in modo che siano facilmente disponibili per l’uso e fruibili all’esterno da parte di un insieme di comunità.

Questa definizione si è arricchita di nuovi significati con la successiva evoluzione del web e dei cambiamenti tecnologici, dominati dalle relazioni semantiche, dall’interoperabilità e dal riutilizzo delle risorse digitali (Salarelli e Tammaro, 2006).

Nelle varie accezioni, si identifica con Digital library il progetto World Digital Library della Library of Congress: le cui collezioni includono varie tipologie di beni traversali all’universo GLAM. In questo contesto si condivide il significato di Digital Library che si riferisce ad una struttura unica e coerente, in cui le risorse digitali sono messe in relazione fra loro in base all’ambito di appartenenza (biblioteche, archivi, musei), alla tipologia di formati (es. immagini, testo, audio, etc.) e alla natura degli oggetti digitali (nativamente digitali o risultati di campagne di digitalizzazione). Questa declinazione di Digital Library supera il concetto di “teca digitale”, visto come un aggregatore di risorse, per abbracciare quello di ecosistema governato da relazioni semantiche, cross-disciplinarietà, interscambio e relazioni, sia fra le risorse stesse, sia fra le risorse e gli utenti finali.

Disintermediazione

La rivoluzione digitale ha cambiato radicalmente le modalità di diffusione, fruizione e condivisione della cultura. Le nuove tecnologie non hanno stravolto solo il ritmo della nostra vita quotidiana ma hanno reso possibile la trasformazione del sapere. Ciò implica una diffusione immediata dei contenuti, che sono potenzialmente infiniti, resi disponibili a chiunque abbia accesso a una rete internet. In questo ecosistema digitale la produzione culturale subisce una profonda mutazione: non è più affidata a singoli centri, il cui compito è assicurare la divulgazione di materiale scientificamente certo, ma entra potenzialmente nella sfera di azione di ciascun individuo. Dopo il web 2.0, sviluppatosi a partire dai primi anni 2000, il concetto di autorialità viene messo in discussione e chiunque può produrre e pubblicare contenuti, rendendoli immediatamente accessibili a una comunità di utenti non specialisti. Il mezzo tramite cui accediamo alla fruizione e alla lettura di un bene culturale non è mai neutrale, ma è il riflesso di una determinata cultura, che a sua volta influenza le nostre modalità di apprendimento. Con l’introduzione dei personal computer e, più avanti, della rete, ci siamo abituati a nuove interfacce, nuove forme di documenti storici e nuovi meccanismi di produzione e distribuzione, che stanno progressivamente sostituendo le normali procedure degli enti e del mercato culturale. I nuovi canali hanno portato al fenomeno della disintermediazione: dietro a questo termine vi è l’idea che «gli strumenti di rete consentano agli utenti di svolgere autonomamente tutta una serie di attività che normalmente richiedevano figure di mediazione» (Roncaglia, 2010, p. 170).

Ecosistema digitale

Il termine ecosistema ha diversi significati a seconda delle declinazioni d’uso. Si parla di ecosistema naturale in riferimento ad una comunità che svolge interazioni, flussi e scambi in un equilibrio dinamico e che si evolve continuamente nel contesto circostante. Tale termine è spesso usato anche nella sua declinazione “digitale”, per descrivere un fenomeno che si è avviato con le prime campagne di digitalizzazione e che è esploso con lo sviluppo del Web 2.0, la diffusione di dispositivi mobile e la cross-medialità (Marinelli, 2020). Come in natura, anche nell’ecosistema digitale si creano “ambienti” complessi in cui entità diverse tra loro per origine, struttura, funzionamento e scopo, risultano interdipendenti all’interno di una infrastruttura (organizzativa, logica o semantica). Caratteristiche predominanti dell’ecosistema digitale sono (Rosati, 2010):

  • Le relazioni: all’interno di un ecosistema non è possibile concepire nessun item come entità a sé stante, ma come parte di un ambiente in cui ciascun elemento intrattiene molteplici rapporti con tutti gli altri e con l’utente.
  • Gli utenti: essi sono parte dell’ecosistema e contribuiscono attivamente alla sua costruzione o ri-mediazione. L’utente (sia esso autore, fruitore, produttore e/o consumatore), partecipa attivamente al processo produttivo stabilendo nuove relazioni fra items/contenuti (aggregatori, social network, etc.), suggerendo nuove proposte e collaborando al processo di produzione (wiki, blog, community, etc.).
  • L’architettura: essa è dinamica, aperta ed estendibile. Da un lato aggrega (o ri-aggrega) contenuti che fisicamente risiedono altrove e che sono stati concepiti in modo indipendente. Dall’altro, il ruolo attivo degli utenti-intermediari rende tale architettura continuamente in divenire, aperta a continue manipolazioni non prevedibili.
  • L’ibridazione: l’ecosistema accoglie differenti domini (fisico, digitale, misto), entità (informazioni, oggetti, persone) e media.
  • La dimensione orizzontale: in queste architetture, la dimensione orizzontale – ovvero la correlazione fra elementi - prevale su quella verticale, che invece fa riferimento alla subordinazione gerarchica fra gli oggetti propria delle tassonomie tradizionali. All’interno di questa struttura, aperta e mobile, i modelli gerarchici lasciano spazio alla correlazione spontanea, estemporanea e multidimensionale degli utenti-intermediari.
  • Il design dei processi: la progettazione non è più incentrata sul singolo elemento (contenuti, prodotti, servizi) ma sulla rete degli elementi.

All’interno dell’ecosistema digitale cambia il modo in cui le risorse culturali vengono create, cercate, trovate, analizzate ed elaborate, risultando sempre più disponibili in modalità “diffusa” e partecipata. All’interno di questo scenario qualunque artefatto culturale (prodotto, informazione, servizio) si muove all’interno di un sistema complesso in cui ogni elemento intrattiene fitte relazioni con altri elementi del sistema, e come tale è concepito e fruito, trasformando l’esperienza di fruizione finale.

Edutainment

Il termine Edutainment, coniato nel 1973 dal documentarista Bob Heyman, è un lemma composto dalla crasi di due sostantivi: education, che si riferisce alla fase educativa e di apprendimento, ed entertainment, che connota invece il carattere di divertimento e di svago (Cervellini et al., 2011). Questo approccio è stato inizialmente utilizzato come formula classica nella produzione di video-game educativi che si basano sulle teorie dell’apprendimento. Il termine è stato in seguito declinato nell’ambiente dell’educazione e considerato come un ramo dell’e-learning che permetteva di apprendere nozioni scolastiche ed extrascolastiche in modo ludico, attraverso contenuti formativi multimediali resi disponibili attraverso supporti informatici (Valentino et al., 2004). Nel corso dei decenni, per la duttilità che questo termine ha in numerosi contesti d’utilizzo, vi sono state associate numerose altre definizioni: a un primo accostamento al settore dell’educazione scolastica è seguita l’estensione a ogni forma di intrattenimento che abbia al contempo lo scopo di far acquisire conoscenza. Attualmente, l’Edutainment si riferisce a tutte le attività volte a integrare due obbiettivi della comunicazione culturale, quali “apprendimento” e “divertimento” (Ippoliti et al., 2011, p.49), tra cui il patrimonio culturale. Diverse Istituzioni museali e luoghi della cultura hanno adottato il tema dell’Edutainment quale forma di intrattenimento ed educazione, con l’obiettivo di promuovere una diversa forma di partecipazione, basata sull’economia dell’esperienza, e stimolare la fruizione da parte di pubblici eterogenei per età e formazione.

Infosfera

Col termine infosfera (“informazione” e “sfera”), nella filosofia dell’informazione, si intende la globalità dello spazio delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso; l’habitat finale per la mente umana, generato dalle tecnologie digitali, in cui gli utenti si trovano immersi e condizionati dalle logiche di influenza degli algoritmi di funzionamento. Pertanto, essa include sia il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali) sia i mass media classici (Amicucci 2021, Peyron 2019).

Il filosofo etico Luciano Floridi ha definito l’infosfera come «lo spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni», dove per «documenti» si intende qualsiasi tipo di dato, informazione e conoscenza, codificata e attuata in qualsiasi formato semiotico; per «agenti», qualsiasi sistema in grado di interagire con un documento indipendente (ad esempio una persona, un’organizzazione o un robot software sul web); per «operazioni» qualsiasi tipo di azione, interazione e trasformazione che può essere eseguita da un agente e che può essere presentata in un documento (Floridi 2017, Floridi 2020).

Secondo il filosofo Maurizio Ferraris l’infosfera è uno spazio di pura informazione, ma questa non è che la minima parte di ciò che ci circonda; l’infosfera poggia su una “docusfera”, ossia su documenti che registrano le azioni umane senza necessariamente portare informazioni, e quest’ultima a sua volta poggia su una biosfera, ossia sul mondo della vita (Ferraris, 2021). Secondo questa visione, quella che noi concepivamo come infosfera è in realtà una docusfera, cioè un gigantesco oceano fatto di documenti e questi documenti sono l’accumulo di tutti gli atti dell’umanità depositati nel web. La sfida che ci aspetta nell’attuale processo di trasformazione digitale dei beni culturali non sarà l’innovazione tecnologica ma la gestione della complessità, la governance del digitale.

Knowledge as a Service

Fornire i dati della conoscenza come servizio (KaaS), non è la stessa cosa del Software come servizio (SaaS) anche se entrambi sono basati sulla tecnologia cloud. KaaS fornisce la conoscenza giusta alla persona giusta in un contesto preciso e al momento giusto tramite diversi dispositivi. Il cloud computing fornisce risorse informatiche su richiesta come servizio, consentendo un uso flessibile delle tecnologie dell’informazione e, oltre ai tradizionali servizi di cloud computing (software, piattaforma e infrastruttura come servizi), c’è un concetto emergente che integra le organizzazioni della conoscenza e la gestione della conoscenza attraverso tale tecnologia (Chrysikos e Ward, 2014).

Licenza d’uso

L’ultima fase della filiera di realizzazione di un oggetto digitale è la sua pubblicazione e nel suo successivo riuso. Il modo in cui vengono possiamo riutilizzare i dati vengono indicati dalle licenze. Le licenze sono contratti che dichiarano i diritti di utilizzo che rimangono al licenziatario e “concedono la facoltà di utilizzo di un’opera o di altri materiali protetti” (Orlandi et al., 2021). Alcuni esempi di licenze aperte sono: Creative Commons (CC), Open Government Licence (OGL), Open Data Commons (ODC), Italian, Open Data License (IODL); un esempio di licenza aperta a livello statale Ethalab è stata prodotta e distribuita dal dipartimento interministeriale francese.

Machine-to-machine

L’espressione machine-to-machine è nata in campo industriale per definire processi di controllo in cui le macchine aiutano a gestire le attrezzature. In informatica, si intende una tecnologia che collega dispositivi in rete per scambiare informazioni, eseguire azioni automaticamente o fornire servizi (Verma et al., 2016).

Maturità digitale

La maturità digitale (digital maturity) è definita come “la capacità di un’istituzione di utilizzare, gestire, creare e comprendere il digitale, in modo contestuale (adatto al proprio ambiente e alle proprie esigenze specifiche), olistico (che coinvolge la visione, la leadership, il processo, la cultura e l’organizzazione) e propositivo (costantemente allineato alla missione dell’istituzione)” (Finnis, 2020). Nel caso specifico degli istituti culturali, la valutazione del grado di maturità digitale (maturity assessment) consente di comprendere e misurare la propria capacità digitale, stabilendo delle strategie e dei piani di miglioramento in funzione degli obiettivi di trasformazione digitale.

Modelli

Il termine modello può assumere diversi significati a seconda del contesto. I modelli possono essere: le strutture con cui si rappresentano e si formalizzano, nell’ambiente digitale, gli oggetti del patrimonio culturale nella loro riproduzione dall’analogico; il modo in cui vengono ridisegnati nella struttura di un sistema più ampio delle tecnologie che lo accompagnano nella realizzazione; i modelli di fruizione che vengono offerti all’utente per coinvolgerli e catturarne l’attenzione; i modelli gestionali del lavoro che richiedono competenze trasversali e ibride (Faioli, 2018). Dunque, il concetto di modello può essere declinato non soltanto per ciò che pertiene il digitale, l’aspetto informatico o di scienze dell’informazione, ma anche per quanto concerne l’organizzazione del lavoro, la formazione, l’organizzazione della conoscenza e dei servizi creati agli utenti.

Nelle Digital humanities, il concetto di modellizzazione rappresenta una delle attività principali di questo campo disciplinare e può essere inteso come un processo creativo e di formalizzazione di un ragionamento o di rappresentazione di un dominio di interesse (McCarty, 2005 – Flanders e Jannidis, 2015). Il modello concettuale permette l’interpretazione e la restituzione della conoscenza (Ciula et al., 2018). Questo modello, che precede generalmente il modello dei dati, si basa sempre su un’interpretazione di cui dovrebbe farsi carico un esperto di dominio e su cui si instaurano le fondamenta di un quadro metodologico ampio di campi disciplinari molto diversi.

Nel campo informatico, i modelli includono diverse attività di architettura del software (ma anche dell’hardware), il modo di organizzazione delle informazioni e di disegni di sistemi. Possiamo includere a questa panoramica generale: la modellizzazione dei dati, di scenari, orientata verso il flusso dei dati o approcci che riguardano l’architettura software (applicazioni, infrastruttura di rete, gestione dei dati, etc.).

Nativamente digitale

I documenti che hanno origine in una forma digitale vengono chiamati in inglese born digital - e non sono una riproduzione di beni analogici. I materiali nativamente digitali sono ormai al centro del dibattito odierno sia per la raccolta e la gestione ma anche per le problematiche che sussistono ad archiviare tale materiale. In genere la mole dei documenti nativi digitali aumenta e l’obsolescenza di hardware e software sembra rendere questo materiale ancora più fragile. La definizione di un oggetto born digital include diverse tipologie di documenti digitali e di archivi, che possono essere sia archivi personali sia di istituzioni della cultura (Jaillant, 2022). Gli archivi nativamente digitali comprendono un vasto materiale che include documenti informatici, fotografie, interviste audio, video creativi o di documentazione, informazioni di eventi, materiale di riproduzioni digitali pregresse, copie di siti e di social network. Un esempio di archivio di documenti digitali di scrittori contemporanei in Italia è PAD (Pavia Archivi Digitali) (Weston e Carbé, 2015).

Open Access

L’Open Access si afferma come movimento ufficiale, con una sua definizione e una programmazione di tattiche e strategie di azione, a partire dal 2001 con la Conferenza di Budapest, organizzata dall’Open Society Institute (OSI), seguita nel 2002 dalla Budapest Open Access Initiative (BOAI), che ne segna l’atto di nascita ufficiale. Il documento scaturito come dichiarazione conclusiva dell’incontro contiene una prima definizione di contributo ad accesso aperto e l’individuazione delle due vie principali dell’open access. Per «accesso aperto» alla si intende la disponibilità libera su Internet pubblica, permettendo a qualsiasi utente di leggere, scaricare, copiare, distribuire, stampare, cercare o collegare i testi completi di questi articoli, strisciarli per l’indicizzazione, passarli come dati al software, o usarli per qualsiasi altro scopo legale, senza barriere finanziarie, legali o tecniche diverse da quelle inseparabili dall’accesso a Internet stesso (Orlandi et al., 2021). L’unico vincolo alla riproduzione e alla distribuzione, e l’unico ruolo del copyright in questo campo, dovrebbe essere quello di dare agli autori il controllo dell’integrità del loro lavoro e il diritto di essere adeguatamente riconosciuti e citati.

Paesaggio culturale

Il termine Paesaggio culturale identifica un sistema di valori connotato dalla relazione fra beni culturali, cittadini/comunità e contesti fisici/virtuali. Il campo determinato da tali relazioni consente di superare lo storico isolamento degli oggetti culturali nelle istituzioni di conservazione, per intercettare nuovi pubblici e promuovere nuovi significati, anche di natura sociale.

L’ordinamento italiano ha storicamente ben definito la natura individuale dei beni: antichità, monumenti, belle arti, cose, bellezze naturali, ecc. (Parpagliolo L., 1913). L’attenzione riservata alle istituzioni destinate a contenerle e/o a tutelarle è sempre stata relativamente secondaria. Basti pensare alla faticosa gestazione di una nozione standardizzata di museo, che il nostro Paese sta ancora inseguendo (D.M. 113/2018 sul Sistema Museale Nazionale) [24]. Dalla Convenzione di Faro (2005) in poi (Gualdani A., 2020), l’interesse delle istituzioni internazionali è ulteriormente slittato verso i contesti, mettendo in luce la natura fluida e negoziale (su base “comunitaria”) delle azioni formali deputate ad intercettare i processi di patrimonializzazione. ICOM, nel 2014, con la Carta di Siena (perfezionata a Cagliari nel 2016), ha tentato d’interpretare l’impianto di Faro, mediandone l’impatto con la “tradizione” italiana.

Patrimonio culturale digitale

Per Patrimonio culturale digitale si intende l’insieme di oggetti digitali prodotti dalla modellizzazione di dati informativi o dalla organizzazione di contenuti nativamente digitali, per conseguire obiettivi più avanzati di conoscenza, attraverso lo sviluppo del potenziale relazionale che ne connota la disseminazione. La disponibilità di tali oggetti nell’ambito di un ecosistema che li valorizzi, insieme all’uso o il riuso degli stessi in forma creativa, contribuiscono alla formazione, al pari dei beni materiali e immateriali, del patrimonio culturale (Bertini et al., 2020).

I dati grezzi e le riproduzioni digitali non costituiscono di per sé elementi di valore culturale, se non latamente. Essi lo diventano solo attraverso una forma elaborata e organizzata, quella degli oggetti digitali, in grado d’interagire con altre simili e di produrre nella relazione elementi connotativi patrimoniali, ritenutati rilevanti e quindi selezionati dal punto di vista culturale e sociale. Rispetto alla patrimonializzazione dei beni tradizionali, imperniata sul riconoscimento formale da parte di istituzioni, la patrimonializzazione degli oggetti digitali, derivando dalle relazioni e non dalle cose, trae la sua legittimazione dalla capacità d’interpretare una qualità o un bisogno di senso non episodico o puntuale, ma radicato in un’esperienza di conoscenza, da parte di una comunità, più strutturale e identitaria.

Processo di patrimonializzazione

Per processo di patrimonializzazione si identifica l’insieme delle azioni, promosse anche su istanze sociali, di tipo culturale, tecnico-scientifico e giuridico-amministrativo attraverso le quali un qualsiasi oggetto, materiale, immateriale o digitale, viene considerato degno di sopravvivere al deperimento naturale per essere conservato nel tempo come testimonianza di civiltà.

La patrimonializzazione è un processo intenzionale che interessa, fin dalle origini, oggetti destinati a perdere gli originari attributi funzionali per assumere uno statuto nuovo, all’interno del perimetro definito dal valore culturale (Hartog, 2021, Fabre, 2013). La patrimonializzazione in realtà non è irreversibile: così come è entrata a far parte del patrimonio, può uscirne per i più vari motivi. Lo studio dei percorsi d’inclusione e di esclusione toccano ambiti diversi, fra i quali quelli del potere simbolico, dei paradigmi culturali, delle istituzioni, della gestione/destinazione delle risorse, della partecipazione/mobilitazione delle comunità, dell’efficacia della tutela e della conservazione (Balzani, 2007).

Processo end-to-end

Il concetto di end-to-end fa riferimento a una logica secondo cui si analizzano i processi dall’inizio fino alla loro conclusione, in maniera trasversale rispetto all’assetto organizzativo dell’azienda, superando così la frammentazione in “silos” creata dell’organizzazione per funzioni.

Relazione

L’ambiente digitale, e in particolare il web, sono il luogo in cui si manifesta un ecosistema basato su molteplici relazioni e scambi di dati, di reti, utenti e risorse digitali interconnesse “tanto eterogenee quanto ramificate” (Tomasi, 2022). Le tecnologie e gli standard del web attuale hanno contribuito a creare nuove forme di rappresentazione delle informazioni e dei documenti storici (siano essi analogici o nativamente digitali), offrendo la capacità di avere più espressività degli oggetti digitali e di mettere in relazione sempre diversa le informazioni. L’utente, interagendo, manipolando e associando secondo un proprio criterio le risorse digitali, ne ridefinisce il contesto, che appare così arricchito da nuove prospettive di senso e stratificazione di significati. Questo insieme di relazioni sta così cambiando sia la produzione e fruizione del patrimonio culturale, sia l’accesso alle informazioni, sempre più accessibili nello spazio digitale.

Risorsa digitale

Le risorse digitali possono essere definite come materiali che sono stati concepiti e creati digitalmente oppure ottenuti convertendo materiali analogici in un formato digitale. Quando si parla di risorsa digitale semantica, si tratta di un processo in cui alcune entità (documenti, contenuti web, servizi) sono ritracciabili o ricercati con caratteristica specifica del loro significato in un certo dominio della conoscenza umana (Tomasi, 2022).

Servizi

I servizi rappresentano attività svolte indirettamente attraverso beni economici, allo scopo di soddisfare bisogni, e sono generalmente definiti come «beni immateriali e istantanei che si possono consumare in presenza del cliente, da cui sono fisicamente inseparabili» (Dizionario di Economia e Finanza, 2012). I servizi, intesi come output di una attività, possono essere definiti quindi come «una prestazione o un complesso di prestazioni realizzate, di natura più o meno intangibile che normalmente, ma non necessariamente, hanno luogo nell’interazione tra il cliente e fornitore del servizio» (Zuffada, 2011).  In particolare, le principali caratteristiche che distinguono i servizi dai prodotti sono:

  • Intangibilità e immaterialità dell’output.
  • Congiunzione spazio-temporale dei processi di produzione e di consumo.
  • Non trasferibilità nel tempo e nello spazio.
  • Partecipazione degli utenti.
  • Eterogeneità.
  • Impossibilità di essere tenuti in magazzino.

Il termine “servizi” viene utilizzato nel PND in vari contesti e può assumere significati molto diversi. Possono essere individuate categorie che delineano delle caratteristiche comuni a seconda della funzionalità e del contesto digitale.

In campo informatico, un servizio può essere considerato come un componente hardware, software o architetturale. Questi possono dunque rispondere a diverse esigenze come operazioni di back-end, di esposizione dei dati (come ad esempio API), o di creazione di applicazioni per l’utente: dalle piattaforme di crowdsourcing al servizio di prenotazione dei biglietti, etc.

Silos di dati

Con l’espressione silos di dati si intende una componente isolata di un sistema informativo che non condivide i dati, le informazioni e/o i processi con le altre componenti del sistema. I componenti di un’architettura a silos (o monolitica) sono integrati in un blocco compatto di codice, per cui la modifica anche di un solo componente può incidere sull’intera infrastruttura di base. Questo comporta problemi di manutenibilità e sostenibilità: ogni aggiornamento appesantisce la base del codice e un singolo componente dipende molto spesso dall’intera applicazione; o altri problemi legati alla poca flessibilità della gestione dei dati quali, ad esempio, il malfunzionamento o la scarsa performance di un solo componente può mettere a rischio il funzionamento di tutto il sistema applicativo.  Un silo di dati si verifica ogni volta che un sistema di dati è incompatibile o poco integrato con altri sistemi di dati. Questa incompatibilità può verificarsi a tre livelli architetturali: tecnico, applicativo, dei dati in sé. È già stato dimostrato che le scelte alla base della modellazione sono la causa principale dei problemi di integrazione tra dati e, di conseguenza, la maggior parte dei sistemi di gestione sono incompatibili tra loro a partire dallo strato di base, quello della architettura dei dati stessi (O’Neill e Stapleton, 2022). I silos impediscono la condivisione dei dati, la possibilità di accederne e di riutilizzarli scoraggiando così il lavoro collaborativo e le incongruenze.

Sistema federato

Per sistema federato ci si riferisce a un tipo di sistema di gestione di basi di dati che integra più database autonomi preesistenti, che possono essere geograficamente decentrati e conservati in DBMS eterogenei, in un unico sistema. Alla base del sistema federato (multi-database) vi è un server in grado di ricevere richieste di query e distribuirle ad origini dati remote (Atzeni et. al, 2002). Le tecniche per la gestione di basi di dati federate devono tenere conto delle eterogeneità di sistemi e applicazioni, consentendo uno scambio dei dati che superi le differenze di rappresentazione dei vari sistemi e permetta una opportuna integrazione, conversione e riconciliazione dei dati fra un’applicazione e l’altra. Un database federato può essere ad accoppiamento libero, che richiede quindi l’accesso ad altri componenti del database, ad accoppiamento stretto, che utilizza processi indipendenti per lavorare in un sistema federato, o un database blockchain, che gestisce le transizioni finanziarie e di altro tipo (Heimbigner et al., 1985).

Smart Contract

Un “contratto intelligente” è un accordo tra due persone o entità sotto forma di codice informatico programmato per essere eseguito automaticamente. L’idea è stata proposta nel 1996 da Nick Szabo, un pioniere della crittografia, che ha definito lo smart contract come un insieme di contratti virtuali con protocolli associati per farli rispettare (Mohanta et al., 2018). Il protocollo Bitcoin, che sostanzialmente registra la prova di un pagamento, può essere visto come una versione primitiva di smart contract. Questi sono eseguiti su tecnologie blockchain, il che significa che i termini sono memorizzati in un database distribuito e non possono essere modificati.

Teca digitale

Il termine teca digitale, spesso identificata come piattaforma di pubblicazione di collezioni di risorse digitali e per questo ambiguamente associata all’idea di digital library, indica un sistema in grado di acquisire, organizzare e archiviare risorse digitali multimediali e i relativi metadati gestionali. Un esempio di teca digitale è quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/).

Trasformazione digitale

In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni (Calveri et al., 2021). La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è quindi un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, etc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento.

User-Centered Design

Con User-centred design, in italiano progettazione centrata sulle persone o design antropocentrico, si fa riferimento ad un metodo progettuale iterativo che pone al centro del progetto una o più tipologie di persone, definite personas, individuate come fruitrici principali di un prodotto digitale (applicazioni e siti web o mobile, software, ecc.). Il termine è stato proposto dagli studiosi Norman e Draper nel 1986 e si basa sull’assunzione per cui, se i progettisti terranno in considerazione le caratteristiche, le abitudini, le preferenze e il comportamento degli utenti, saranno in grado di progettare sistemi più semplici da usare. Secondo la definizione ufficiale, fornita dall’Organizzazione Internazionale per la Normazione con la norma ISO 9241-210 del 2019, questo approccio alla progettazione prevede quattro fasi di sviluppo, quali: 1. capire e specificare il contesto d’uso; 2. definire l’utente e le sue esigenze; 3. proporre soluzioni progettuali; 4. valutare le soluzioni da un punto di vista tecnico-funzionale e della user experience.

User journey

Lo User journey, che in italiano è denominata “percorso dell’utente”, è una tecnica utilizzata in particolare nei modelli di business e di marketing per conoscere e riprogettare l’esperienza dell’utente con un particolare brand, prodotto o servizio, soprattutto nell’analisi dei processi di acquisto. Si considera e analizza l’intero percorso dell’interazione: da quando viene a conoscenza di un determinato oggetto digitale alle esperienze che può avere (Kokins at al., 2021). L’attenzione non è posta sulle transazioni, ma su come l’utente si sente dopo aver interagito con quel particolare oggetto. Dunque, lo user journey documenta l’intera esperienza di un utente per costruire e garantire la fruizione del prodotto digitale (che sarà dinamico e cambierà a seconda dell’utente).

[24]Sul Sistema Museale Nazionale (D.M. 113/2018), punto di approdo di un percorso almeno trentennale, cfr. http://musei.beniculturali.it/progetti/sistema-museale-nazionale.

Bibliografia

Di seguito sono riportati i principali riferimenti bibliografici che hanno sostenuto la scrittura del PND; non sono pertanto esaustivi delle tematiche trattate né rappresentativi di tutti i punti di vista esistenti sulle materie prese in esame. Ulteriore bibliografia specifica è contenuta in appendice delle diverse Linee guida.

Agrawal, D., Abbadi, A. E., Emekci F. Metwally, A. (2009). Database Management as a Service: Challenges and Opportunities, IEEE 25th International Conference on Data Engineering, pp. 1709-1716, doi: 10.1109/ICDE.2009.151.

Amicucci, F. (2021). Apprendere nell’infosfera: Esperienzialità e nuove frontiere. Milano: Franco Angeli editore.

Assmann, A. (2015). Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale. Bologna: Il Mulino.

Atzeni, P., Mecca, G., Merialdo, P. (2002). Managing web-based data: database models and transformations, in «IEEE internet computing», VI, 4, pp. 33-37.

Balzani, R. (2007). Collezioni, memorie locali, musei. Per una storia del patrimonio culturale. in Id. (a cura di), Collezioni, musei, identità tra XVIII e XIX secolo, Bologna: Il Mulino pp. 9-28.

Bertini A., Caruso I., Colesanti G.T., Vitolo T. (2020). Cultura in transito: ricerca e tecnologie per il patrimonio culturale, Roma: “L’Erma» di Bretschneider.

Borgman C. (1999). What are digital libraries? Competing visions. Information Processing & Management, 35(3). DOI: 10.1016/S0306-4573(98)00059-4

Bradley J. (2019). Digital tools in the humanities: Some fundamental provocations?. Digital Scholarship in the Humanities, V. 34, 1, pp. 13-20, DOI:  https://doi.org/10.1093/llc/fqy033.

Bruni S., Capetta F., Lucarelli A., Pepe M., G. Peruginelli S., Rulent M., Guerrini M., Tillett B. B., (a cura di). (2013). Authority control: definizione ed esperienze internazionali: atti del convegno internazionale (Firenze, 10-12 febbraio 2003), Firenze: University Press.

Buttò S. (2020). Alphabetica, il nuovo portale per la ricerca integrata: un salto di qualità per le biblioteche italiane. DigItalia. Rivista del digitale nei beni culturali, 14(1), pp. 9-28, DOI: https://doi.org/10.36181/digitalia-00010.

Buzzetti D. (2006). Biblioteche digitali e oggetti digitali complessi: Esaustività e funzionalità nella conservazione, in Archivi informatici per il patrimonio culturale, Atti del Convegno internazionale (Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 17-19 novembre 2003), Roma, Bardi Editore, (Contributi del Centro Linceo Interdisciplinare «Beniamino Segre», N. 114), pp. 41-75.

Buzzetti D. (2003). Informatica umanistica: Codifica del testo e intelligenza artificiale. Rivista semestrale dell’Archivio Umanistico Rinascimentale Bolognese, 1, Bologna: CLUEB, 2003, pp. 1-27, DOI: http://digital.casalini.it/10.1400/12676.

Buzzetti D. (1999). Text Representation and Textual Models, in ACH-ALLC’99 Conference Proceedings (Charlottesville VA, June 9-14, 1999), Charlottesville VA, University of Virginia, pp. 219-222.

Calveri C., Sacco P. L. (2021). La Trasformazione digitale della cultura. Milano: Editrice bibliografica.

Candela G., Escobar P., Carrasco R. C., Marco-Such M. (2020) Evaluating the Quality of Linked Open Data Digital Libraries. Journal of Information Science, DOI: https://doi.org/10.1177/0165551520930951.

Carriero V. A., Daquino M., Tomasi F. (2019). Convergenze semantiche tra musei, archivi e biblioteche, Ontologie per le relazioni interpersonali. JLIS.it, 10(1), pp. 72−91.

Cervellini F., Rossi D. (2011). Comunicare emozionando. L’edutainment per la comunicazione intorno al patrimonio culturale. Tecnologie per la comunicazione del patrimonio culturale. DISEGNARECON, 4. https://doi.org/10.6092/issn.1828-5961/2568.

Cetorelli G., Roberto G. M. (2017) Il patrimonio culturale per tutti. Fruibilità, riconoscibilità, accessibilità, Quaderni della valorizzazione, NS 4.

Chrysikos A. e Ward R. (2014). Cloud computing within higher education: Applying knowledge as a service (KaaS). Continued Rise of the Cloud. London: Springer, 339-362.

Ciula A., Eide Ø. (2017). Modelling in digital humanities: Signs in context. Digital Scholarship in the Humanities, 32(1), pp. 33–i46 https://doi.org/10.1093/llc/fqw045.

Ciula A., Eide Ø., Marras C., Sahle P., (a cura di).  (2018). Models and Modelling between Digital and Humanities, Historical Social Research / Historische Sozialforschung”, 43(4), 343–61. https://www.jstor.org/stable/26544261.

Cossu A., M. Berzacola, L. Consumi, D. D. De Falco, F. Mocchi F., Orviati A., Salvioni O.,  Sangiorgi, S., Violo M. L. (2021). Transizione digitale: i servizi interbibliotecari e il ruolo di ILL SBN. DigItalia. Rivista del digitale nei beni culturali. 2, pp. 53-64, DOI: 10.36181/digitalia-00036.

Douglas M. (1986). Come pensano le istituzioni. Bologna: Il Mulino.

Dudau A., Glennon R., Verschuere B. (2019). Following the yellow brick road? (dis)enchantment with co-design, co-production and value co-creation in public services. Public Management Review 21(11), pp. 1577–1594.

Faioli M. (2021) Terziario, lavoro e organizzazione 4.0, Working Papers della Fondazione Giacomo Brodolini, https://www.fondazionebrodolini.it/sites/default/files/pubblicazioni/file/WP_20.pdf (ultimo accesso, 29/04/2022)

Fabre D. (2013). Il duro desiderio di durare. Parolechiave, 49, Patrimonio culturale, pp. 31-51.

Ferraris M. (2021). Non siamo schiavi della tecnologia, ma suoi padroni, in rivista MicroMega+.

Flanders J., Jannidis F., (a cura di), The Shape of Data in the Digital Humanities: Modeling Texts and Text-based Resources, Oxford, Routledge, 2018, DOI: https://doi.org/10.4324/9781315552941

Finnis J., The Digital Transformation Agenda and GLAMs: A Quick Scan Report for Europeana, 2021, Culture24.

Floridi L. (2017), La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Floridi L. (2020), Pensare l’infosfera: La filosofia come design concettuale, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Gnoli C., Marino V., Rosati L. (2006), Organizzare la conoscenza: dalle biblioteche all’architettura dell’informazione per il Web, Pavia, Hops.

Grönroos C., Ravald A., Service as business logic: Implications for value creation and marketing, Journal of Service Management, 22, pp. 5-22.

Gualdani A., L’Italia ratifica la convenzione di Faro: quale incidenza nel diritto del patrimonio culturale italiano?, in “Aedon”, 3, 2020, http://www.aedon.mulino.it/archivio/2020/3/gualdani.htm.

Hartog F. (2021), Confrontations avec l’histoire, Paris, Gallimard, pp. 254-317.

Heimbigner D., McLeod D. (1985). Un’architettura federata per la gestione delle informazioni. ACM Transactions on Office Information Systems (TOIS), 3(3) pp.253-278.

Hein A., Schreieck M., Riasanow T., Soto Setzke D., Wiesche M., Böhm M., Krcmar H. (2020) Digital platform ecosystems. Electron Markets, 30, pp. 87-98, DOI:  https://doi.org/10.1007/s12525-019-00377-4.

Ippoliti E., Meschini A., (a cura di). (2011). Tecnologie per la comunicazione del patrimonio culturale. DISEGNARECON (rivista digitale).

Jaillant L. (2022). Archives, Access and Artificial Intelligence: Working with Born-Digital and Digitized Archival Collections, Bielefeld: Bielefeld University Press. DOI: https://doi.org/10.1515/9783839455845.

Jinfang N. (2016). Linked Data for Archives. Archivaria, 82, pp. 83-110, https://archivaria.ca/index.php/archivaria/article/view/13582

M. Jockers. (2016). Macroanalysis. Digital Methods and Literary History. University of Illinois Press.

Kane G. C., Palmer D., Phillips A. N., Kiron D., Buckley N. (2015). Strategy, Not Technology, Drives Digital Transformation. MIT Sloan Management Review and Deloitte University Press.

Kaplan F. (2015). A Map for Big Data Research in Digital Humanities. Frontiers in Digital Humanities, 2, DOI: https://doi.org/10.3389/fdigh.2015.00001

Kokins G., Straujuma A., Lapin A. I. (2021). The Role of Consumer and Customer Journeys in Customer Experience Driven and Open Innovation. J. Open Innov. Technol. Mark. Complex, 7, p. 185. DOI: https://doi.org/10.3390/joitmc7030185.

Lana M. (2013), Biblioteche digitali. Un’introduzione, Bologna: Bononia University Press.

Lévy P. (1996). L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio. Roma: Feltrinelli.

McCarty W. (2005), Humanities computing. London: Palgrave.

Marinelli L. (2020). Ecosistemi per la trasformazione digitale delle PMI. Torino: Giappichelli editore.

Miller V. (2020), Understanding Digital Culture. Londra: SAGE.

Mohanta B. K., Panda S. S., Jena D. (2018). An Overview of Smart Contract and Use Cases in Blockchain Technology. 2018 9th International Conference on Computing, Communication and Networking Technologies (ICCCNT), pp. 1-4, DOI: 10.1109/ICCCNT.2018.8494045.

Mulligan J. (2019) Digital Humanities Application Development in the Cloud. In Proceedings of the Humans in the Loop: Enabling and Facilitating Research on Cloud Computing, Association for Computing Machinery, New York, NY, USA, Article 9, pp. 1-5, DOI: https://doi.org/10.1145/3355738.3355753.

Norman D. A., Draper S. W. (1986). User Centered System Design. New Perspectives on Human-Computer Interaction. USA, L. Erlbaum Associates Inc.

O’Neill B., Stapleton L. (2022). Digital cultural heritage standards: from silo to semantic web. AI & society, pp. 1-13, DOI: https://doi.org/10.1007/s00146-021-01371-1.

Orlandi S. D., Marras A. M., De Angelis D., Fasano P., Manasse C., Modolo M. (2021). OPEN ACCES - DIRITTO D’AUTORE, COPYRIGHT E LICENZE APERTE PER LA CULTURA NEL WEB, DOI: https://doi.org/10.5281/zenodo.4593914.

Parpagliolo, L. (1913). Codice delle Antichità e degli Oggetti d’Arte. Raccolta di leggi, decreti, regolamenti e circolari, I-II, Roma: Loescher.

Peirson B. R. E., Damerow J., Laubichler M. (2016). Software development & trans-disciplinary training at the interface of digital humanities and computer science. Digital Studies/le Champ Numérique, 6(5), DOI: http://doi.org/10.16995/dscn.17.

Peyron L. (2019). Incarnazione digitale. Custodire l’umano nell’infosfera. Torino: Elledici.

Regalado, A. (2011). Who Coined “Cloud Computing”, MIT Technology Review.

H. Robinson H. (2012). Remembering things differently: Museums, libraries and archives as memory institutions and the implications for convergence, “Museum Management and Curatorship”, 27(4), pp. 413–429.

Rojas Castro A. (2017). Big Data in the Digital Humanities. New Conversations in the Global Academic Context. AC/E Digital Culture 2017 Annual Report, 4, pp. 62-71, DOI: https://doi.org/10.17613/M6434X.

Rosati L. (2010). L’ecosistema fisico-digitale, in Le frontiere del «popolare» tra vecchi e nuovi media,  Bisoni, C. (a cura di). In Media Mutations. Convegno internazionale di studi sull’audiovisivo,  Pescatore, G., (a cura di). DOI: 10.6092/unibo/amsacta/3031.

Szabo N. (1996), Smart Contracts: Building Blocks for Digital Markets.

Salarelli A., Tammaro A. M. (2006), La biblioteca digitale. Milano: Editrice Bibliografica.

Sanders E., Stappers P. J. (2008). Co-creation and the new landscapes of design. CoDesign 4, pp. 5–18.

Schreibman S., Siemens R., Unsworth J., (a cura di). (2016). A New Companion to Digital Humanities. Oxford: Wiley-Blackwell.

Smithies J., Ciula A. (2020). Humans in the Loop: Epistemology & Method in King’s Digital Lab. in K. Schuster, S. Dunn, Routledge international handbook of research methods in digital humanities, Routlege, pp. 155-172, DOI: https://doi.org/10.4324/9780429777028-13.

Tasovac T., Barbaresi A., Clérice T., Edmond J., Ermolaev N., Garnett V., Wulfman C. (2016). APIs in Digital Humanities: The Infrastructural Turn. Digital Humanities 2016, pp. 93-96.

Tilson D., Lyytinen K., Sørensen C. (2010). Research commentary - Digital infrastructures: The missing research agenda, in Information Systems Research, 21(4), pp. 748–759.

Tiwana A., Konsynski B., Bush A. A. (2010). Platform evolution: Coevolution of platform architecture, governance, and environmental dynamics. Information Systems Research, 21(4), pp. 675–687.

Tomasi F. (2022), Organizzare la conoscenza: Digital Humanities e Web semantico. Un percorso tra archivi, biblioteche e musei, Milano: Editrice Bibliografica.

Tomasi F., Ciotti F., Daquino M., Lana M. (2015). Esplorare semanticamente collezioni culturali: uno studio di fattibilità. AIDAinformazioni, 3-4, pp. 125-143, https://doi.org/ 10.4399/97888548899278.

Tucci R. (2018). Le voci, le opere e le cose. La catalogazione dei beni culturali demoetnoantropologici. Roma: ICCU.

Uricchio W. (2004). Beyond the great divide: Collaborative networks and the challenge to dominant conceptions of creative industries. International Journal of Cultural Studies, 7(1), pp. 79-90.

Van Hyning V. (2013). Curating Crowds: A Review of Crowdsourcing Our Cultural Heritage. DHQ: Digital Humanities Quarterly, 13(1). http://www.digitalhumanities.org/dhq/vol/13/1/000410/000410.pdf

Valentino P. A., Delli Quadri M.R. (2004), Cultura in gioco. Firenze-Milano: Giunti.

Verborgh R., Van Hooland S. (2014). Linked Data for Libraries, Archives and Museums: How to clean, link and publish your metadata. Londra: ALA Editions, Facet Publishing.

Verma P. K., Verma R., Prakash A., Agrawal A., Naik K., Tripathi R., Alsabaan M., Khalifa T., Abdelkader T., Abogharaf A. (2016). Machine-to-Machine (M2M) communications: A survey. Journal of Network and Computer Applications, 66, 83-105, DOI: https://doi.org/10.1016/j.jnca.2016.02.016.

Solimine, G., Weston P. G., (a cura di). (2015). Biblioteconomia: principi e questioni. Roma: Carocci.

Ziegler, Open Data in Cultural Heritage Institutions: Can We Be Better Than Data Brokers?. Digital Humanities Quarterl, 14(2). https://digitalcommons.lsu.edu/libraries_pubs/94

Zuffada E. (1994), Le aziende di servizi. Caratteristiche dei processi, politiche di gestione ed economicità, Torino: Giappichelli.

Digital Library Federation. (1998). A working definition of digital library. https://old.diglib.org/about/dldefinition.htm (ultimo accesso 29/04/2022)

European Cultural Heritage Green Paper, Europa Nostra, 2021.

The ICOM (Committee for the Training of Personnel), Running a museum, a practical guide ICTOP https://www.obs-traffic.museum/sites/default/files/ressources/files/UNESCO_Running_Museum.pdf o https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000141067.

ISO 9241-210:2019, Ergonomics of human-system interaction, Part 210: Human-centred design for interactive systems, https://www.iso.org/standard/77520.html.

Riferimenti normativi essenziali

Di seguito sono elencati i riferimenti normativi essenziali da cui discendono i contenuti del PND, necessari quindi per comprendere i contenuti trattati nel documento.

Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 24 gennaio 2004, n. 42.

Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro), 27 ottobre 2005, ratificata dall’Italia con la legge 1° ottobre 2020, n. 133.

Raccomandazione della Commissione sulla digitalizzazione e l’accessibilità in rete dei materiali culturali e sulla conservazione digitale (2011/711/UE), Commissione Europea, 27 ottobre 2011.

Linee guida per l’interoperabilità semantica attraverso i Linked Open Data, versione 2.0, Agenzia per l’Italia Digitale, 2012

Conclusioni del Consiglio relative al patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile (2014/C 183/08), Consiglio dell’Unione europea, 21 maggio 2014.

Conclusioni del Consiglio sulla governance partecipativa del patrimonio culturale (2014/C 463/01), Consiglio dell’Unione europea, 23 dicembre 2014.

Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, Agenzia per l’Italia Digitale, 2017.

Direttiva (UE) 2019/1024 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, 20 giugno 2019, recepita con decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e successive modifiche e integrazioni.

Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2020-2022 e aggiornamento 2021-2023, Agenzia per l’Italia Digitale e Dipartimento per la Trasformazione Digitale.

Raccomandazione della Commissione sulla creazione di uno spazio dei dati europeo per il patrimonio culturale (UE) 2021/1970, Commissione europea, 10 novembre 2021.

image0