Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale¶
2022-2023
Versione n.1.0 - giugno 2022
Introduzione¶
Il patrimonio culturale è un fondamentale generatore di valori all’interno della società: lo abbiamo ereditato dal passato per costruire il senso del presente e proiettare i nostri valori verso il futuro. In tal senso, i musei, gli archivi, le biblioteche e i luoghi della cultura in generale garantiscono la preservazione nel tempo degli oggetti materiali che consideriamo beni culturali, promuovendo lo sviluppo del pensiero critico, della crescita individuale, dell’inclusività generazionale, etnica e confessionale e della partecipazione attiva della cittadinanza.
La rete internet, le piattaforme web, le tecnologie digitali hanno determinato, e determinano quotidianamente, la configurazione di inediti scenari di comunicazione, condivisione e scambio: impattando direttamente sulle capacità e le percezioni individuali, ridisegnano i bisogni delle comunità nella creazione di nuovi scenari valoriali e di nuove forme di funzione del patrimonio culturale. Gli strumenti e le metodologie informatiche se correttamente impiegati, costruiscono e potenziano le relazioni tra le persone, le espressioni del patrimonio e le attività culturali, aumentando, dunque, le capacità di elaborare nuove prospettive di senso per il futuro.
La pandemia Covid-19, diminuendo drasticamente la possibilità di intrattenere relazioni fisiche con il patrimonio culturale e i suoi fruitori, ha evidenziato la necessità di accelerare i processi di trasformazione digitale già in atto nei luoghi della cultura; inoltre, ha dimostrato che per traguardare la straordinarietà dell’emergenza occorrono strategie lungimiranti. Superata la fase più acuta della crisi sanitaria, rimane la consapevolezza che il digitale non è solo un’alternativa congiunturale, ma rappresenta una grande opportunità per creare un ecosistema della cultura capace di incrementare la domanda potenziale e ampliare l’accessibilità per diversi segmenti di pubblico, raggiungere target generazionali e geografici difficilmente coinvolgibili e tessere nuove relazioni fra i beni culturali e le persone.
Per realizzare tale processo, è necessario dotarsi di una strategia che armonizzi la dimensione culturale con quella manageriale e tecnologica, con lo scopo di determinare un cambiamento della visione, una verifica e un’innovazione sia dei processi interni che di quelli rivolti all’utenza esterna, un’evoluzione dei sistemi con cui operare nell’ambiente digitale. In tale prospettiva, l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library del Ministero della cultura ha avviato la redazione del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND).
Contesto di riferimento¶
Il contesto degli istituti culturali in Italia è ampio e articolato, sia in termini quantitativi che rispetto alla diversità di missione e organizzazione. Incrociando i dati dell’Istat [1] con quelli derivanti dalle diverse banche dati del Ministero [2], si arriva a contare oltre 27.700 luoghi della cultura [3] tra pubblici e privati, a cui si aggiungono circa 1.000 istituzioni attive nell’ambito dello spettacolo e delle arti performative [4]. Una fotografia, approssimativa ma realistica, che restituisce una articolazione così suddivisa: più di 6.200 tra musei, monumenti e aree archeologiche; oltre 9.500 archivi; quasi 12.000 biblioteche; circa 1.000 enti dello spettacolo. In questo panorama, solo il Ministero della cultura conta 770 istituti di tutela e conservazione del patrimonio culturale.
La digitalizzazione dei beni culturali si è avviata in modo sistematico negli anni Novanta del Novecento, sia in ambito statale che regionale, ed è stata condotta negli anni sulla base di un ricco sistema di strumenti metodologici, elaborati in primis dagli Istituti centrali del Ministero, che hanno via via coperto praticamente ogni articolazione del patrimonio culturale. Ad oggi non si dispone di un dato complessivo che restituisca in termini qualitativi e quantitativi l’entità di questo lavoro svolto da tutte le istituzioni del territorio; tuttavia un’analisi dei sistemi nazionali di catalogazione/descrizione può fornire un utile parametro di riferimento. Complessivamente i sistemi informativi gestiti dagli Istituti centrali del Ministero, che costituiscono oggi il principale punto di riferimento in termini metodologici e tecnologici, contengono oltre 37 milioni di descrizioni catalografiche a cui sono associate circa 26 milioni di immagini; questo patrimonio informativo è stato consultato da oltre 100 milioni di visitatori unici negli ultimi cinque anni. A questo si somma quanto ancora gestito a livello territoriale, dai sistemi informativi regionali o da applicativi locali, e non confluito nelle banche dati nazionali; un patrimonio sicuramente considerevole ma frammentato, di cui risulta difficile anche dare non solo una interpretazione, ma addirittura una quantificazione attendibile.
L’articolazione settoriale e territoriale dei sistemi informativi non è di per sé un disvalore; al contrario restituisce vitalità culturale e ricchezza di contenuti. È infatti intuitivo considerare come sia possibile garantire più facilmente profondità scientifica in contesti circoscritti e omogenei disciplinarmente.
Tuttavia oggi un tale sistema così granularmente articolato mostra alcuni punti di debolezza che vanno affrontati con una strategia che sia in grado di mitigarne i limiti connessi:
- scarsa sostenibilità nel tempo dovuta alla rapida obsolescenza di dati, applicativi e infrastrutture non pensati in termini di reti di soggetti interconnessi;
- impossibilità di sviluppare servizi digitali avanzati che si basino su un efficace scambio e interrelazione dei dati;
- limitata condivisione dei risultati, in termini sia di competenze sia di prodotti realizzati, con conseguente aumento dei costi dovuti alla moltiplicazione degli strumenti tecnologici e metodologici in uso;
- scarsa possibilità di seguire gli utenti nelle diverse forme di fruizione del patrimonio culturale, che precedono e seguono la visita presso il luogo della cultura.
Poiché l’interoperabilità e il dialogo di centinaia di sistemi informativi esistenti, diversi tra loro per livello tecnologico e modelli dati, non potrà raggiungersi se non condividendo alcuni livelli applicativi, il PND definisce le condizioni abilitanti affinché possa strutturarsi e crescere un ecosistema digitale del patrimonio culturale.
È necessario inoltre tenere conto del contesto europeo; nell’ambito del programma Horizon Europe è prevista una specifica misura per il biennio 2023-2025 finalizzata alla creazione di un Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale [5], che prosegue e consolida le numerose iniziative europee per la digitalizzazione. La Commissione Europea parte dalla constatazione che “le istituzioni culturali, insieme alla costruzione dell’identità europea, stanno vivendo un cambiamento di paradigma cruciale, caratterizzato dall’accelerazione della digitalizzazione e da nuovi modelli di governance stimolati dalla scienza co-creativa e dalla partecipazione di un’ampia gamma di stakeholder. Il risvolto concettuale di questo cambio di paradigma è l’attuale nozione di patrimonio culturale, che integra la diversità del secolare patrimonio culturale europeo (storico-artistica, naturale, immateriale, ecc.) con i diversi livelli di governo (locale, regionale, nazionale, europeo, universale). In virtù di questa nozione che si sta configurando, il patrimonio culturale: 1) fornisce le prospettive per abbracciare la transizione verde, reinterpretando il rapporto tra patrimonio culturale e naturale; 2) sostiene la coesione sociale coinvolgendo cittadini, ricercatori ed esperti all’interno delle comunità del patrimonio; 3) tutela e trasmette al futuro i beni culturali materiali. In altre parole, questo patrimonio culturale europeo è verde (sostenibile), innovativo (che fornisce occupazione nelle ICC – Imprese Culturali e Creative) e digitale. Il patrimonio culturale digitale contemporaneo non è solo tecnologicamente prevalente, ma apre anche la strada a un nuovo mondo digitale incentrato sull’uomo, in cui il Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale svolgerà un ruolo chiave” [6].
L’esigenza di dotarsi di un Piano è quindi anche funzionale alla piena adesione da parte italiana, quale Stato membro dell’Unione, all’impianto della cooperazione culturale a livello europeo. La costruzione di un patrimonio culturale digitale nazionale, composto da oggetti collocabili nello spazio informativo dell’infosfera *, può rappresentare per l’Italia l’occasione per recuperare e interpretare un ruolo rilevante sulla scena culturale globale, senza rinunciare alla propria storica tradizione di tutela.
In sintesi si può affermare che la digitalizzazione del patrimonio culturale è una realtà acclarata da tempo, ma non ha prodotto quel salto culturale – in termini di conoscenza specialistica e diffusa, valore sociale, immagine del Paese, organizzazione degli Istituti – che è possibile ottenere grazie al nostro immenso patrimonio. Appare necessario, quindi, condividere una linea cooperativa d’azione, in grado di valorizzare al meglio tutto ciò che territorialmente si è prodotto e si produrrà in questo ambito. Se essa non esiste, qualsiasi tentativo di innovazione rischia di esaurirsi in un’operazione temporanea, più o meno efficace.
[1] | Cfr. Censimenti ISTAT ai seguenti indirizzi web: https://www.istat.it/it/cultura-comunicazione-viaggi?dati; https://www.istat.it/it/archivio/cultura. |
[2] | Cfr. le diverse fonti del MiC suddivise per settore: DB Unico dei luoghi della cultura (https://dati.beniculturali.it/lodview/resource/datasetLuoghiDellaCultura.html); SAN – Sistema archivistico nazionale (http://san.beniculturali.it/web/san/ricerca-negli-archivi); ICCU - Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche, Anagrafe delle biblioteche italiane https://anagrafe.iccu.sbn.it/it/statistiche/statistiche-al-31-12-2020). |
[3] | Secondo il Codice dei Beni culturali e del paesaggio si definiscono Istituti e Luoghi della Cultura le seguenti tipologie: Museo “una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”; Biblioteca “una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio”; Archivio “una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca”; Area archeologica: “un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica”; Parco archeologico “un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto”; Complesso monumentale “un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme, un’autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica”. |
[4] | Calcolo effettuato sugli enti che ricevono contributi dal FUS – Fondo Unico per lo Spettacolo. |
[5] | Entro il 2025, la Commissione Europea investirà 110 milioni di euro per finanziare progetti connessi a realizzare un’infrastruttura cloud collaborativa che fornirà tecnologie per la digitalizzazione di manufatti, la ricerca scientifica e la documentazione dei dati. Ciò permetterà una collaborazione transdisciplinare e su larga scala tra studiosi del patrimonio culturale, curatori, archivisti e conservatori, consentendo alle istituzioni più piccole e remote di partecipare a progetti congiunti. |
[6] | European Commission, Directorate-General for Research and Innovation, Brunet, P., De Luca, L., Hyvönen, E., et al., Report on a European collaborative cloud for cultural heritage: ex – ante impact assessment, 2022, https://data.europa.eu/doi/10.2777/64014 |
Scopo del Piano e destinatari¶
Il PND costituisce la visione strategica con la quale il Ministero della cultura intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026 nei diversi settori dell’ecosistema culturale, rivolgendosi in prima istanza ai musei, agli archivi, alle biblioteche, alle soprintendenze, agli istituti e ai luoghi della cultura pubblici che conservano, tutelano, gestiscono e/o valorizzano beni culturali; per questo costituisce anche il contesto strategico, intellettuale e tecnico di riferimento per la realizzazione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
È il frutto di un processo di condivisione e confronto con diverse istituzioni culturali [7], al fine di creare un documento i cui assunti siano chiari e comprensibili sin dalle fondamenta della sua struttura logica e progettuale.
Per tali caratteristiche, il PND può costituire un utile riferimento metodologico e operativo per tutte le istituzioni e per i professionisti che, in ambito sia pubblico che privato, si riconoscono nei valori qui enunciati. Dando atto, infatti, che in Italia uno dei tratti caratterizzanti il patrimonio culturale è il cosiddetto “policentrismo conservativo” [8], appare necessario coinvolgere tutte le componenti dell’ecosistema culturale nella condivisione di un percorso comune.
Il PND è dunque un documento:
- aperto: liberamente accessibile per tutte le istituzioni culturali e aperto a evoluzioni nel tempo;
- dinamico: periodicamente aggiornato in ragione degli sviluppi, dell’obsolescenza di metodologie e tecnologie o dei contesti socio-culturali da cui prende forma;
- condiviso: frutto di un processo di partecipazione articolato in più livelli e suscettibile di gradi differenti di applicazione e scalabilità.
A partire dalla cornice qui tracciata, ciascun ente è chiamato a declinare - in accordo con le normative nazionali e di settore vigenti - la propria “strategia digitale” lungo traiettorie di cambiamento condivise in termini di principi e metodologie. Non si tratta quindi di un documento “prescrittivo” nel senso stretto del termine, dal momento che la trasformazione digitale non può imporsi per regolamento, né dal PND può scaturire un percorso attuativo unico: ogni istituto culturale, in relazione ai propri obiettivi specifici, alle risorse disponibili e al suo livello di maturità digitale, definirà le azioni da mettere in campo in coerenza con la strategia nazionale e con le metodologie qui condivise [9].
Il PND non è nemmeno uno strumento di programmazione finanziaria diretta, ma fornisce i parametri di riferimento per strutturare i progetti di digitalizzazione da inserire nei piani finanziari ordinari e straordinari di ciascun settore.
Lo scopo di questa prima versione del PND #2022-2023 è dunque quello di promuovere e orientare il processo di cambiamento degli istituti della cultura verso una trasformazione digitale consapevole, partecipata, condivisa, sostenibile e inclusiva. Contesto comune d’azione è infatti la base per consolidare l’ecosistema digitale del patrimonio culturale. In quest’ottica, il PND contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite [10].
Con le successive versioni del PND #2024-2026, e con i piani strategici di settore che si auspica scaturiranno da questo documento, saranno definite più puntualmente le azioni specifiche da intraprendere su base pluriennale in relazione ai diversi temi e obiettivi.
[7] | Il documento, redatto nell’ambito di tavoli tecnici che hanno coinvolto più di 24 Istituti del Ministero della cultura in rappresentanza di tutte le diverse realtà disciplinari e territoriali, è stato posto in consultazione pubblica attraverso il portale ParteciPa, la piattaforma del Governo italiano dedicata ai processi si consultazione e partecipazione pubblica (https://partecipa.gov.it/processes/piano-nazionale-digitalizzazione-patrimonio-culturale/f/144/). I contributi pervenuti sono stati raccolti in un documento di sintesi disponibile sulla medesima piattaforma. |
[8] | Se le grandi istituzioni statali conservano una parte rilevantissima del patrimonio culturale del Paese, una parte cospicua è custodita da un numero elevato di soggetti pubblici e privati, radicati in una lunga e complessa storia di comunità e di istituzione, spesso fondate proprio per conservare e valorizzare il patrimonio culturale di rilievo nazionale e locale che altrimenti avrebbero rischiato di andare dispersi o distrutti o di rimanere nell’ombra. Inoltre, nel sostegno di questi soggetti sono spesso coinvolte, anche per competenze regolamentate dalla normativa, autorità regionali e poteri locali, che detengono a loro volta parti consistenti di patrimonio di interesse collettivo. |
[9] | Una ricerca effettuata nel 2019 dall’dall’Osservatorio innovazione digitale nei beni e attività culturali del Politecnico di Milano, confermata da una rilevazione fatta nel 2021 dal Ministero presso i suoi stessi uffici, riporta che solo il 20% degli istituti si è dotato di una strategia digitale. Il PND può dunque costituire uno stimolo e un utile modello per spingere gli istituti culturali a voler formalizzare il proprio percorso di trasformazione digitale. |
[10] | L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa comprende 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da realizzare entro il 2030. Il PND contribuisce, in particolar modo, al raggiungimento degli obiettivi numero quattro (istruzione di qualità), otto (lavoro dignitoso e crescita economica), nove (imprese, innovazione e infrastrutture), undici (città e comunità sostenibili). È possibile prendere visione dei restanti obiettivi dell’Agenda sul sito officiale: https://www.un.org/sustainabledevelopment |
Struttura del documento¶
La presente versione del PND #2022-2023 è articolata in tre sezioni, tra loro collegate in una dimensione di processo (Figura 1):
- Visione: prefigura le traiettorie e le opportunità di cambiamento, indicando gli obiettivi a lungo termine (cap. Visione );
- Strategia: definisce i fattori necessari per implementare e conseguire gli obiettivi di cambiamento e specifica le azioni che verranno intraprese dal Ministero per assicurare il contesto abilitante comune (cap. Strategia 2022-2026 );
- Linee guida: strumenti operativi che supportano la pianificazione e l’esecuzione delle attività legate alla digitalizzazione del patrimonio e alla trasformazione digitale dei luoghi della cultura (cap. Linee guida per i processi di digitalizzazione).
Figura 1. Schema grafico che sintetizza la struttura del PND
Nel testo che segue, le parole evidenziate con asterisco e grassetto* trovano un approfondimento nel capitolo “Parole chiave” posto in coda al documento (le parole sono evidenziate solo nella loro prima occorrenza). In tale sezione i termini selezionati vengono analizzati al fine di fornire elementi ulteriori e più specifici per comprendere il contesto culturale e tecnico da cui originano. Non si tratta quindi di un “vocabolario” esaustivo o un elenco di definizioni, ma di un approfondimento dei concetti chiave citati in forma discorsiva nel corpo del documento.
La bibliografia e i riferimenti normativi debbono intendersi come essenziali e non esaustivi. Tutti i link citati sono stati consultati alla data del 28/06/2022.
I termini inglesi che non sono ancora entrati nel vocabolario corrente italiano sono scritti in corsivo e sono accompagnati dalla traduzione italiana; la scelta di mantenere tali termini in inglese deriva dalla necessità di assicurare una corrispondenza con la letteratura tecnica di riferimento.
Alcune ridondanze nell’esposizione dei concetti fondativi sono state conservate presupponendo anche una modalità di lettura del Piano per parti.
Poiché il PND non ha scopo divulgativo o didattico, ma costituisce un orientamento metodologico ed operativo per chi lavora a vario titolo nelle istituzioni culturali, il linguaggio utilizzato presuppone una discreta conoscenza della terminologia tecnica e delle metodologie di base utilizzate nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tuttavia l’insieme di testo, linee guida, approfondimenti, note, bibliografia e riferimenti normativi si ritiene possa consentire la comprensione complessiva dei contenuti ed essere di ausilio per incrementare alcune conoscenze. Saranno comunque divulgate sintesi e tutorial per una miglior metabolizzazione dei contenuti.
Visione¶
Il patrimonio culturale italiano si è strutturato nel tempo a partire dalla tutela e dalla conservazione dei beni culturali materiali; l’inclusione dei beni immateriali è avvenuta gradualmente, nell’ultimo mezzo secolo. Ora siamo di fronte a una nuova stagione di ampliamento e di trasformazione della sfera patrimoniale, in virtù della rapida affermazione, nella realtà sociale e culturale in cui viviamo, di un ecosistema digitale* fondato sulle relazioni. Occorre quindi condurre un’attenta analisi della domanda e delle aspettative generate dall’opportunità che il digitale offre nel creare nuovi servizi* [11],assistere e favorire la nascita di imprese innovative e intercettare bisogni emergenti, sia dal punto di vista dei visitatori/utenti (i.e. ridisegnando le modalità di interazione interne ed esterne) che dal punto di vista dei luoghi della cultura (i.e. ottimizzando le logiche di lavoro). Si tratta di un mutamento profondo, che mette al centro il concetto di cultura digitale*, intesa come potente sistema di relazioni capace di attivare nuove prospettive di senso e coinvolgere ampie fasce di pubblico che in passato, per ragioni diverse, sono rimaste escluse dalla fruizione culturale. In tale scenario gli attori non sono più solo gli istituti culturali sin qui operanti in autonomia, ma le persone: quelle che custodiscono il patrimonio (i rappresentanti di istituzioni, enti, luoghi della cultura), che lo studiano e lo mantengono vivo con la ricerca, che lo valorizzano, reinterpretano e ripensano secondo nuovi linguaggi, ovvero tutti gli operatori della cultura, le imprese e i professionisti presenti nelle aree di dominio dell’ecosistema. In base a tale lettura, il patrimonio culturale, con il suo portato di storia e memoria, può essere dunque inteso come una risorsa utile per interpretare il mondo che ci circonda. Per descrivere tale processo, sono state individuate tre traiettorie di cambiamento - interpretative delle dinamiche in atto - che pongono in un rapporto di reciproca interdipendenza i valori, gli obiettivi e le opportunità della trasformazione digitale*.
I contenuti della sezione sono organizzati su una struttura concettuale a matrice, che come tale può essere letta orizzontalmente, per enfatizzare la dimensione processuale (le traiettorie), oppure verticalmente, per identificare i diversi piani di lettura (i capitoli in cui si articola il testo) (Figura 2).
Figura 2. Schema dei contenuti della sezione Visione del PND
Valori¶
I valori fondativi della visione del PND ruotano attorno ai concetti chiave di paesaggio culturale*, patrimonio culturale digitale* e relazioni*. Questi valori creano un terreno comune su cui operare e costituiscono la premessa per il raggiungimento di specifici obiettivi di cambiamento all’interno di un progetto di ampio respiro. In questa prospettiva, la pubblica amministrazione ha un ruolo fondamentale nel preservare l’eredità culturale, comunque essa venga declinata, e nel renderla accessibile a tutti nel lungo periodo.
Il PND rappresenta, dunque, un’opportunità per valorizzare le “cose” e i “beni” che sono il portato di una selezione plurisecolare, ponendoli all’origine di un ambito di fruizione nuovo, fino ad oggi dominato in via quasi esclusiva dagli algoritmi delle big tech commerciali. Esistono, in particolare a livello accademico, piattaforme internazionali, anche molto avanzate, per la condivisione di dati relativi a specifiche tipologie di patrimonio: ma esse sono state progettate e sono tuttora alimentate per finalità appunto di ricerca, mentre l’obiettivo del PND è la disseminazione culturale presso un pubblico vasto.
Contesti come paesaggi culturali¶
Accanto alla concezione attuale di patrimonio culturale, che scaturisce dal sistema di tutela così come si è consolidato dall’inizio del secolo scorso nel sistema statale - e latu sensu “pubblico” - è cresciuta negli ultimi anni una visione incentrata sulle pratiche sociali sotto l’impulso di organismi sovranazionali (Unesco e ICOM prima, Commissione Europea poi). La prima lettura si focalizza sui beni culturali, sulla loro selezione, gerarchizzazione e legittimazione; la seconda si fonda sui processi di riconoscimento sociale e di patrimonializzazione condivisa operati dalle comunità su scala tanto locale quanto globale. L’Italia ha recepito la convenzione di Faro solo nel settembre del 2020 [12], a testimonianza delle difficoltà incontrate nell’armonizzarne l’inquadramento giuridico con la gestione dell’espansione dei processi di patrimonializzazione, intrapresi liberamente a livello territoriale dalle amministrazioni locali e dai soggetti privati senza finalità di lucro.
Oggi come in passato, il patrimonio culturale è frutto di un processo di riconoscimento critico, attribuzione di senso e gerarchizzazione che sempre si rinnova, in funzione delle mutate sensibilità intellettuali, politiche e disciplinari; per questo contempla interpretazioni e letture plurime derivanti dalle opinioni e dalle attitudini di generazioni, gruppi sociali e individualità differenti, che mutano nei diversi contesti storici. Nell’attuale cultura globalizzata, i confini del patrimonio culturale, finora marcati in modo netto per effetto del processo di individuazione dei beni in funzione della tutela, tendono a sfumare nello scenario del “paesaggio”, costituito da luoghi in cui coesistono narrazioni e relazioni. La nozione di paesaggio culturale appare dunque più appropriata per integrare la visione istituzionale del patrimonio culturale con gli apporti che derivano dall’interazione fra territori, luoghi, cose e sguardi soggettivi, dunque suscettibile di potenziamenti e valorizzazioni grazie alle contaminazioni occorrenti nell’ecosistema digitale. Ciò, naturalmente, non implica l’abbandono della visione consolidata, in base alla quale il potenziale narrativo degli oggetti si arricchisce attraverso i riscontri puntuali sulle fonti, la comparazione, le analisi critiche e le ricostruzioni proposte dagli studiosi. È vero semmai il contrario, e cioè che il portato del lavoro intellettuale sulle “cose”, fino ad ora confinato ad ambiti specialistici, può trovare nel paesaggio culturale un’ulteriore opportunità per essere comunicato e compreso.
All’interno di questo paesaggio culturale, il patrimonio italiano si contraddistingue per le seguenti caratteristiche:
- eredità culturale: con la sua pluralità di origini culturali sedimentate nel tempo, il patrimonio culturale italiano è presente nei contesti territoriali e nelle tradizioni locali, formando il cosiddetto “patrimonio diffuso”, spesso declinabile sia in termini di “radici” (identità), sia in termini di “trasmissibilità” (i beni sono ancorati ai territori e vengono trasmessi di generazione in generazione). Esistono anche i beni “nomadi”, provenienti da luoghi remoti, che collezionisti o studiosi possono aver situato in istituzioni culturali del territorio nel corso del tempo; anch’essi contribuiscono a comporre l’eredità culturale;
- capillarità: vi è un nutrito presidio di istituzioni culturali disseminate su tutto il territorio (monumenti, siti archeologici, musei, archivi, biblioteche, istituti culturali), che insieme costituiscono una rete di competenze che detiene conoscenze rilevanti, da non disperdere nei passaggi intergenerazionali;
- conoscenza: le istituzioni esprimono una solida e antica tradizione catalografica, che ha dato vita a una altrettanto solida comunità di professionisti del patrimonio e di studiosi, aggiornatasi nel tempo. Essa rappresenta tuttora la colonna vertebrale che regge l’impianto della ricerca, soprattutto in ambito umanistico;
- riconoscibilità: i prodotti della creatività italiana vantano forti radici storico-culturali, tanto da essere riconoscibili e apprezzati a livello internazionale, anche in ambiti diversi da quelli specifici del patrimonio culturale.
In questo scenario, la digitalizzazione del patrimonio culturale deve assicurare vitalità narrativa e pluralismo interpretativo, affinché gli “oggetti culturali”, nei loro corrispettivi digitali, possano convivere con visioni differenti e con connessioni storicamente profonde e geograficamente ampie del patrimonio italiano, da cui derivano interpretazioni e costruzioni di senso rispondenti a diversi usi sociali, a partire da una corretta “ricostruzione digitale” del contesto* di provenienza (cfr. par. Estensione del patrimonio culturale per nuovi pubblici ).
Patrimonio culturale digitale¶
Il Consiglio dell’Unione Europea [13] ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali*, nella duplice accezione di digitale nativo* e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica o copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili e non solo “pensabili”.
Il patrimonio culturale digitale è costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base delle relazioni informative che sono in grado di generare. Essi, anche quando collegati ai beni culturali fisici, possiedono un’autonomia ontologica, come ormai attestato da un’ampia letteratura. Sono disponibili e accessibili, non ponendo alcuna barriera geografica e temporale alla libera fruizione. Sono dispositivi di potenziamento: il patrimonio, nelle società contemporanee, è strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra diversità, e pluralità. Gli oggetti del patrimonio culturale digitale, inoltre, ambiscono a saldare tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione*. Infine, uniscono tempi, beni (materiali o immateriali), luoghi e persone, perché l’originale significato patrimoniale di cui sono latori si situa sempre all’interno di percorsi concettuali e di senso.
D’altronde, è ormai acquisito dagli esperti di settore che il digitale non debba essere considerato un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo. Per sfruttare le potenzialità del digitale, occorre quindi comprenderne le logiche, i modelli, le funzionalità e i dispositivi, evolvendo da una rappresentazione limitata alla fruizione passiva tipica delle piattaforme commerciali, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività. L’ambiente digitale è dunque un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione. L’oggetto culturale rischia infatti di perdere significato nella decontestualizzazione, come sa chiunque si sia confrontato con le problematiche poste dai limiti intrinseci degli spazi espositivi tradizionali; nello spazio della rete la frattura con i contesti originari può essere parzialmente sanata dalla ridefinizione di significato derivante dalle relazioni tra risorse digitali. In questo percorso, peraltro, nulla va perduto: la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa infatti uno degli elementi salienti del patrimonio digitale.
Tuttavia, questa complessa operazione non può essere affidata solo alla tecnologia. La descrizione e il racconto attribuiti agli oggetti del patrimonio, anche nella loro dimensione sociale, necessitano della cooperazione tra esperti di dominio che possano pensare i contenuti e valorizzarne la rappresentazione attraverso il corretto trattamento dei dati correlati e lo sviluppo di prodotti interattivi (interaction design). Il patrimonio culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse. In questo scenario, la cultura digitale è una pre-condizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale: è possibile immaginare il futuro come un ecosistema nel quale tutti gli attori e le professionalità del settore possano relazionarsi.
Il capitale semantico delle relazioni¶
L’ambiente digitale trova la propria essenza costitutiva nelle relazioni, ovvero nella possibilità di generare e rigenerare connessioni reciproche tra le informazioni, facilitando la produzione di nuovi significati. Accettare il valore delle relazioni comporta la transizione verso nuovi modelli di rappresentazione della conoscenza, non più coincidenti con la visione generata dall’istituzione che ha in consegna il bene culturale, ma integrati e potenziati da una pluralità di punti di vista, spesso inediti e originali. Il web è il luogo in cui si manifestano le relazioni semantiche fra le risorse digitali dei diversi domini del patrimonio culturale: i beni culturalidiventano così i nodi di una rete di relazioni alla cui costruzione tutti possono contribuire. I dati dovranno quindi essere organizzati e modellati per essere correlati ad altri dati, anche in modo automatizzato; gli ambiti di dominio possono così diventare l’uno il contesto dell’altro, arricchendo reciprocamente il portato informativo della risorsa digitale.
Nel merito, la ricostruzione dei contesti, in senso tanto disciplinare quanto culturale, sarà una delle sfide più impegnative che gli specialisti si troveranno ad affrontare: sul piano metodologico, per definire standard descrittivi idonei alla generazione di relazioni semantiche; sul piano logico e tecnologico, per avere strumenti di ricerca e integrazione dei dati trasversali ai diversi domini; sul piano comunicativo, per poter costruire efficaci architetture dell’informazione adeguate alla restituzione.
[12] | La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005, è stata ratificata con la legge 1° ottobre 2020, n. 133 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, Anno 161° - Numero 263). |
[13] | Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti - materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo”; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014XG0614(08)&from=PL |
Obiettivi¶
Il percorso di trasformazione digitale del patrimonio e delle istituzioni culturali persegue obiettivi di cambiamento specifici:
- ampliare le forme di accesso al patrimonio digitale per migliorare l’inclusione culturale;
- ampliare le pratiche di digitalizzazione includendo oltre ai beni culturali anche i servizi all’utenza in processi end-to-end*, in modo da monitorare l’efficacia e l’efficienza delle singole funzioni o attività, nonché dell’organizzazione nel suo complesso implementando azioni di tempestiva risoluzione di problemi e di miglioramento continuo dei processi stessi;
- ampliare le forme di cooperazione e di interoperabilità dei dati nell’ecosistema, considerando anche la necessità di interscambio all’interno di infrastrutture digitali di ricerca internazionali che rispondono alle necessità di diverse comunità scientifiche.
Quest’ultime dialogano a propria volta con il patrimonio culturale secondo molteplici approcci e discipline differenti, perseguendo strategie proprie di disseminazione e interazione con diverse categorie di utenti. Il percorso per raggiungere questi obiettivi esige la disponibilità delle istituzioni a migliorare le prassi operative e organizzative impiegate sino ad oggi, in una logica di evoluzione continua.
Le azioni strategiche a livello nazionale sono sviluppate nel capitolo Strategia 2022-2026.
Ampliare le forme di accesso al patrimonio culturale¶
Richiamando nuovamente le Conclusioni del Consiglio europeo del 2014, il patrimonio culturale svolge un ruolo importante nella crescita degli individui e nella creazione del capitale sociale. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la qualità dell’esistenza e il benessere degli individui e delle loro comunità, il dialogo interculturale, l’inclusione sociale, lo sviluppo della conoscenza e della creatività sono le parole chiave del documento sopra citato, che hanno caratterizzato - e caratterizzano tuttora - le politiche europee riguardanti il patrimonio culturale.
Questi obiettivi possono essere raggiunti garantendo un accesso al patrimonio culturale più ampio e stabile; l’accessibilità*, quindi, non rappresenta solo un diritto dei cittadini ma il dovere di ogni istituto culturale, esprimendosi su un doppio fronte:
- a livello orizzontale, ampliando la quantità di risorse digitali disponibili online, organizzate in modo da essere facilmente raggiunte, consultate e condivise;
- a livello verticale, migliorando da un lato la qualità dell’accesso, le modalità di fruizione e di riuso, dall’altro superando le barriere fisiche, culturali, cognitive e psicosensoriali [14], così da rendere il patrimonio culturale una risorsa sempre a disposizione di singoli, gruppi e comunità rappresentative dell‘intera società.
La pandemia da Covid-19 ha dimostrato che l’ambiente digitale non si limita solo a raccogliere, selezionare e conservare le informazioni o a surrogare la mancanza di poter fisicamente fruire i beni materiali, ma permette di ridefinire il rapporto con i pubblici, creando spazi di inclusione, coinvolgendo attivamente gli utenti, rendendoli partecipi, dando loro voce. L’accessibilità sul web diviene un potente motore di coinvolgimento attraverso le diverse forme di trasmissione dell’informazione. Essa non va infatti declinata solo come diritto ad accedere al patrimonio culturale ma come effettiva possibilità di decodificare i contenuti da parte di ogni utente, indipendentemente dalle sue competenze, dalle tecnologie usate, dai contesti d’uso e da eventuali disabilità. La tecnologia può fornire perciò la chiave per abbattere le barriere derivanti dalla lingua, dalla diversità dei background educativi e dalla presenza di disabilità motorie [15], cognitive e/o sensoriali. Per conseguire tale obiettivo sarà dunque necessario:
- rendere liberamente disponibili online i patrimoni informativi secondo formati standard dei dati, prediligendo formati aperti e sistemi collaborativi;
- associare alle risorse digitali licenze d’uso* chiare e in grado di garantire il riuso dei contenuti [16];
- consentire la riproducibilità dei dati per poterli combinare con altri dati, al fine di creare nuovi contenuti;
- garantire la permanenza nel tempo dei dati resi accessibili;
- Progettare soluzioni insieme agli utenti, secondo i principi dello universal design (progettazione universale) [17], dello user-centered design* (progettazione centrata sull’utente) e della progettazione partecipativa.
Si tratta di utilizzare metodi e tecnologie concepiti per produrre risorse digitali significanti, interdipendenti, inclusive e accessibili, lavorando anche su lessici e interfacce; ma soprattutto si tratta di cambiare approccio prendendo in considerazione, oltre agli aspetti scientifici di rappresentazione della conoscenza anche il punto di vista delle persone che accedono ai dati o che vorrebbero farlo senza barriere che ne limitano la piena fruibilità.
Per gli aspetti tecnico-operativi correlati a questo obiettivo si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (cfr. par. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati) e nelle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (cfr. par. Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale ) alla sezione Linee guida per i processi di digitalizzazione del presente documento.
Azioni strategiche correlate
Digitalizzare per operare una trasformazione digitale¶
La Commissione Europea ha riconosciuto la transizione verde e quella digitale quali pilastri dell’evoluzione socio-economica comunitaria [18]. La trasformazione digitale coinvolge i diversi settori del Paese in modo differente; in ciascuno di essi si sta investendo in tecnologie capaci di adeguare in modo significativo il funzionamento degli istituti non limitandosi ad adottare strumenti di lavoro più efficienti, ma elaborando un nuovo “pensiero” capace di generare valore.
In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni, come si è osservato in precedenza. La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è quindi un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, ecc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento. Per avviare questo processo sono necessari:
- un approccio coerente, valorizzato da idonee competenze digitali;
- la capacità di valutare l’attuale livello di maturità digitale* e l’adeguatezza delle tecnologie da utilizzare;
- la riconsiderazione dei rapporti da instaurare con i differenti segmenti di pubblico, in qualità di co-creatori di contenuti culturali;
- l’adeguamento conseguente dei canali informativi utilizzati.
Nel nostro Paese gli istituti che gestiscono il patrimonio culturale sono molteplici e differiscono in modo significativo per aree di dominio, tipologia di collezioni e grado di apertura all’uso delle tecnologie. Le esperienze di transizione digitale che i singoli enti hanno conosciuto sino ad ora possono così distinguersi tra:
- l’utilizzo di metodi e processi di produzione di risorse digitali a partire da beni analogici (riproduzione digitale);
- la creazione di contenuti e risorse culturali nativamente digitali;
- la digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione, delle Istituzioni culturali e delle imprese fornitrici.
Queste azioni vengono genericamente denominate processi di digitalizzazione, pur essendo concettualmente diverse. Si tratta di un’ambiguità semantica che ha portato le istituzioni ad applicare ciascuna una particolare forma di conoscenza digitale, aumentando il divario tra gli approcci e determinando uno scenario estremamente frammentato. I dati digitali e i loro insiemi, siano essi digital twins (gemelli digitali) o digitali nativi, in tutte le evidenze con cui sono creati, materializzati e fruiti, sono a pieno titolo parte dell’identità sociale e culturale dell’epoca contemporanea [19].
Nel tentativo di strutturare e omogeneizzare i processi di digitalizzazione, l’Unione europea ha ripensato tale impostazione, uniformando il significato espressivo della “trasformazione digitale” contemporanea. Infatti, agli inizi del 2020 la Commissione europea, attraverso i programmi Horizon, ha chiarito che i requisiti alla base della digitalizzazione del patrimonio culturale devono:
- restituire l’aspetto “visivo” dei singoli oggetti, collezioni o siti culturali;
- costruire storie, esperienze e contesti culturali;
- produrre risorse digitali interconnesse, ricercabili con differenti domini o linguaggi.
Gli istituti culturali dovranno essere posti nelle condizioni di assimilare i cambiamenti tecnologici che matureranno nel tempo; il grado di maturità digitale di un istituto culturale sarà pertanto definito dalla dimensione dello scarto registrato tra l’adozione di singole tecnologie con specifiche finalità operative e l’impiego di tecnologie digitali nella trasformazione dei processi interni per il raggiungimento di tali obiettivi. Per questo il concetto di trasformazione digitale è dinamico e va costantemente riesaminato e adattato alle mutevoli istanze del patrimonio culturale, degli istituti e degli utenti, nel duplice ruolo di co-narratori e fruitori.
Per gli aspetti tecnico-operativi connessi a questo obiettivo si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale (cfr. par. Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale) e nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione) della sezione Linee guida per i processi di digitalizzazione del PND.
Azioni strategiche correlate
Abilitare ecosistemi interdipendenti¶
Per produrre valore nell’ambiente digitale è necessario superare la soglia minima al di sotto della quale l’operato degli istituti non è rilevante, sia in termini di produzione e qualità dei contenuti che di capacità di esercitare impatti positivi e duraturi nei contesti di riferimento. L’azione pubblica non può ridursi a mera sommatoria di iniziative individuali, ma deve porre le basi di un progetto collettivo; laddove questo è avvenuto, ad esempio in ambito biblioteconomico, i risultati hanno tenuto nel tempo. Ciò non significa interferire con l’autonomia di ciascuna istituzione nella gestione del proprio patrimonio digitale, ma creare le condizioni ideali affinché si affermi un ambiente condiviso, dove ognuno possa mettere a disposizione le proprie risorse specialistiche e il proprio know how.
Per conseguire questo obiettivo occorre abilitare ecosistemi interdipendenti, capaci di abbattere le barriere informative fra i database di settore e indirizzare i sistemi organizzativi al perseguimento di uno scopo comune. Porre in comunicazione gli istituti e i loro dati è un obiettivo significativo, che comporta il superamento di schemi operativi e prassi organizzative consolidatesi nel tempo, muovendo:
- dai sistemi verticali indipendenti e auto-conclusi - i cosiddetti silos di dati* - a un’infrastruttura comune distribuita, costituita da servizi e sistemi federati*, con l’obiettivo di far evolvere progressivamente i tradizionali sistemi integrati verticali verso nuovi sistemi orizzontali e stratificati, che coinvolgono una pluralità di enti, ben oltre il perimetro statale;
- dai database chiusi ai sistemi aperti, sviluppando sistemi gestionali relazionabili e interoperabili, a prescindere dalle tipologie culturali dei beni. Questi criteri consentono un duplice risultato: eliminare i lock-in settoriali, dal momento che i dati non sono più legati indissolubilmente all’applicativo che li ha prodotti, e ampliare le potenzialità di ricostruzione dei contesti attraverso l’interconnessione tra più banche dati;
- dall’autosufficienza alla logica dell’interdipendenza fra gli istituti, abbandonando l’idea dell’indipendenza tecnologica e funzionale dei singoli istituti e riconoscendo l’interdipendenza dell’ecosistema e dei relativi membri come valore fondante, non solo in virtù dell’evidente convenienza economica, organizzativa e gestionale, ma per la superiore capacità di generare valore per le parti: il digitale è una sfida che trascende le capacità progettuali e realizzative dei singoli operatori.
L’ecosistema interdipendente crea una rete che abilita scambi, non solo di risorse, ma anche di tecnologie e saperi, processi e buone pratiche. Questa rete, che collega utenti, produttori di dati, erogatori di servizi e fornitori di infrastrutture, deve avere al centro le risorse digitali. Un simile cambio di paradigma comporta un rilevante efficientamento delle procedure gestionali: l’autosufficienza è molto onerosa in termini di investimenti e impieghi di risorse, mentre l’interdipendenza è più sostenibile, perché riduce o elimina sprechi e ridondanze e accorcia i tempi di intervento.
Azioni strategiche correlate
Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale
Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali
[14] | Si vedano le Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale, https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1311244354128_plugin-LINEE_GUIDA_PER_IL_SUPERAMENTO_DELLE_BARRIERE_ARCHITETTONICHE.pdf, pubblicate nel 2008. |
[15] | Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le Linee guida per la redazione del Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (P.E.B.A) nei musei, complessi museali, aree e parchi archeologici: http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2015/11/Linee-guida-per-la-redazione-del-Piano-di-eliminazione-delle-barriere-architettoniche-P.E.B.A-nei-musei-complessi-monumentali-aree-e-parchi-archeologici.pdf |
[16] | Cfr. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (par. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati) e Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (par. Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale). |
[17] | Per universal design o progettazione universale si intende la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La progettazione universale non esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari (Convenzione ONU, art. 2, anno 2006). |
[18] | A European Green Deal, 2021: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en (consultato il 11/01/2022); si veda anche, per gli obiettivi che legano il patrimonio culturale allo sviluppo ecosostenibile, il Cultural Heritage Green Paper (2021),https://www.europanostra.org/our-work/policy/european-cultural-heritage-green-paper/ |
[19] | «Il patrimonio culturale è costituto dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti — materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi». Conclusioni del Consiglio del 21 maggio 2014 relative al patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile (2014/C 183/08). https://culture.ec.europa.eu/it/cultural-heritage/eu-policy-for-cultural-heritage |
Opportunità¶
I valori alla base della trasformazione digitale del patrimonio culturale si concretizzano in obiettivi e azioni che offrono opportunità di cambiamento. Il consolidamento dell’ecosistema digitale consente infatti ai diversi pubblici di partecipare al processo creativo del patrimonio digitale, grazie al valore delle relazioni generate dalle interdipendenze. Tale modalità operativa permette la progettazione di servizi basati sulle esigenze degli utenti, abilitati a partecipare al processo di sviluppo in qualità di co-creatori di contenuti, servizi e valori secondo i principi dello universal design (progettazione universale). In tale scenario è naturale ipotizzare l’evoluzione dell’attuale paradigma organizzativo verso nuovi modelli gestionali.
Inoltre, l’adozione di sistemi di conoscenza basati su dati digitali condivisi, interoperabili, collegati a sistemi gestionali flessibili, è oggi indispensabile per il monitoraggio dei dati, la conservazione programmata, le attività di controllo periodico delle collezioni e delle condizioni degli ambienti in cui sono collocate; così come, su un altro versante, l’analisi dei dati è essenziale per una più efficace attività di valorizzazione, consentendo di accompagnare le esposizioni o le iniziative temporanee con una preparazione degli eventi sui social media (pre-visita), proponendo contenuti arricchiti e mettendo poi in campo sistemi raffinati di valutazione d’impatto (post-visita). Senza contare, infine, le opportunità di crowdfunding culturale, semplificate e rese più agevoli dalla strutturazione di canali digitali permanenti di dialogo con i propri pubblici.
Estensione del patrimonio culturale per nuovi pubblici¶
Il patrimonio culturale digitale è una risorsa che incorpora storia e memoria (cfr. par. Patrimonio culturale digitale), e che per questo è in grado di originare informazioni sulle interazioni che gli utenti sviluppano con esso. Se adeguatamente promosso all’interno di piattaforme digitali progettate sulle necessità dei fruitori, può testimoniare e storicizzare l’evoluzione della società nell’era digitale, ridefinendo il valore culturale nello spazio virtuale. La rete permette fruizioni plurime, gratuite e simultanee delle risorse digitali ed è una sorgente inesauribile di storie che possono essere lette, interpretate e rielaborate da coloro che vi accedono, anche al di fuori dei confini e dei saperi disciplinari. Un patrimonio aperto e l’ampliamento delle forme di accesso alla cultura rafforzeranno il concetto di “nuovi pubblici”: ciò che ci si attende quindi oggi dalle applicazioni digitali di accesso al patrimonio culturale è l’opportunità per qualsiasi utente di partecipare, sperimentare, interagire, diffondere e riutilizzare il patrimonio culturale pubblico; in questa direzione è pensata anche la piattaforma di accesso prevista nell’ambito dell’investimento del PNRR (cfr. par. Disseminazione culturale e condivisione sociale ), che metterà a disposizione contenuti culturali resi accessibili ad un bacino di utenti molto ampio, siano essi consumatori finali, imprese interessate alla creazione di prodotti o servizi oppure qualsiasi altro utilizzatore della piattaforma. Il fenomeno dell’auto-pubblicazione, ad esempio, favorisce la produzione di user-generated stories (storie generate da utenti), in cui gli utenti figurano come autorio co-curatori dell’opera. Man mano che la storia prende forma, è possibile chiedere al lettore/osservatore un giudizio attivo, così da modificarne la traiettoria in corso d’opera in un processo di co-creazione che rende concreta la prospettiva della trasformazione digitale.
Le nuove logiche di produzione contenutistica investono anche le attività di crowdsourcing*, quali forme di collaborazione generativa di comunità d’interesse (cfr. par. Co-creazione e crowdsourcing). Esse si caratterizzano non solo per la partecipazione proattiva del pubblico, ma anche perché esplicitano il processo attraverso cui si realizzano. Le piattaforme aggregano, raccontano e razionalizzano in categorie definite le informazioni, stimolando la comunità a compiere azioni simili; esse hanno un ruolo determinante nella diffusione e visibilità dei contenuti, poiché permettono di collegare utenti animati da diversi interessi.
Si concretizza dunque l’opportunità di sperimentare nuovi processi basati su un certo livello di disintermediazione nelle catene di produzione e distribuzione dei contenuti, consentendo così agli utenti di produrre, modificare e proporre non solo nuove classificazioni dei contenuti, ma anche rinnovate forme di documentazione della cultura materiale e immateriale attraverso linguaggi nuovi o interventi creativi. In questo modo è possibile andare incontro al segmento meno noto (segmento “aperto”) dei fruitori del patrimonio culturale digitale (cfr. par. Il capitale semantico delle relazioni ), consolidando nuovi pubblici e con essi il potere di generare visioni ulteriori del patrimonio culturale.
Processi per il design di nuovi servizi¶
La gestione di una crescente quantità di dati riguardanti i beni culturali rappresenta una sfida per gli operatori del patrimonio. L’obiettivo perseguito sino ad oggi è stato rendere visibile e accessibile l’imponente messe di informazioni prodotte negli anni dalle istituzioni culturali relativamente ai patrimoni conservati; un approccio basato evidentemente sui dati intesi come prodotto offerto (data as a service*). La trasformazione digitale dei luoghi della cultura offre l’opportunità di invertire la prospettiva basata sulla quantità delle risorse pubblicate online, per concentrarsi invece sulla qualità degli oggetti culturali digitali e sulle possibili modalità di accesso e di fruizione. La rapida evoluzione del web - che ha ridefinito i modelli dell’interazione sociale - e il contesto democratico e inclusivo di internet, hanno determinato nuovi bisogni degli utenti, ancora non del tutto indagati in modo sistematico, ma percepiti come riflessi di altri ambiti. All’interno dell’ecosistema digitale, è fondamentale progettare servizi capaci di offrire agli individui processi di conoscenza intesi come un’autentica esperienza di crescita culturale (knowledge as a service*).
Un design esperienziale, dunque, deve soddisfare il desiderio degli utenti di sentirsi protagonisti attivi e non spettatori passivi, secondo criteri di inclusività, efficacia (raggiungendo con velocità, accuratezza e completezza ciò che stanno cercando) ed efficienza (con il minor dispendio di risorse possibili).
Progettare servizi basati su questi criteri significa sviluppare processi generativi capaci non solo di accogliere e indicizzare i contenuti, ma di valorizzarne le relazioni, che rappresentano la vera ricchezza del patrimonio informativo del sistema dei beni culturali. Tali servizi dovranno essere progettati per un’utenza ampliata, rispettando i criteri di accessibilità [20] e usabilità [21], utilizzando una pluralità di modalità comunicative che facciano ricorso alla multi-sensorialità, all’interattività, ad ausili e/o supporti tecnologici assistivi o con configurazioni particolari.
In un’ottica di universal design (progettazione universale), co-design (co-progettazione) e partecipazione attiva, gli utenti dovranno avere la possibilità di personalizzare e condividere le proprie esperienze di fruizione secondo un approccio inclusivo.
In questo contesto, l’erogazione di servizi progettati secondo le evidenze delle tecniche di studio dei percorsi che l’utente fa nell’esperire un servizio (user journey*) e fruibili indifferentemente su diversi dispositivi rispettando i criteri di accessibilità, offre ai singoli istituti potenzialità infinite per rinnovare le modalità di relazione con i propri pubblici.
L’interazione di questi parametri permetterà di individuare, costruire, monitorare e migliorare i servizi sviluppati e le tipologie di utenza, con l’obiettivo di offrire un’esperienza fluida e soddisfacente; un approccio, dunque, non solo tecnologico, ma ispirato alla qualità dei servizi, verificata sull’intero percorso di fruizione dell’utente - prima, durante e dopo l’esperienza d’uso -, sulla base di processi pensati end-to-end (dal gestore al fruitore e viceversa). Per un approfondimento della relazione tra servizi, processi e modelli di gestione si rimanda alle indicazioni contenute nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione) nella sezione Linee guida per i processi di digitalizzazione del presente documento.
L’opportunità offerta da questo approccio consiste nel coinvolgimento nella catena di produzione del valore di soggetti esterni agli istituti culturali: le imprese culturali e creative e quelle della filiera turistica, gli enti del terzo settore, gli istituti di ricerca potranno operare in sinergia con le istituzioni culturali al fine di aumentare la quantità e la qualità dei servizi messi a disposizione della collettività. Affinché tale processo sia duraturo e sostenibile, è necessario che le risorse digitali siano prodotte in una filiera certificata e mantenute nel tempo, rimanendo stabilmente accessibili nel lungo periodo (cfr. par. Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale). In particolare, come evidenziato nelle stesse Linee guida sopracitate, le risorse digitali potranno essere impiegate da utenti e imprese per la creazione e la produzione, sia offline che online, di prodotti e servizi a valore aggiunto di forme molto diverse (testi, video, visite virtuali, documentari, film, installazioni, mostre multimediali, audioguide, quiz, trivial, workshop, corsi di formazione online, soluzioni di gamification, edizioni digitali in serie limitata, app, podcast, audiolibri, chatbot, modelli tridimensionali, ecc.).
Modelli di conoscenza per nuove organizzazioni¶
La traiettoria che muove dagli oggetti alle relazioni ha l’obiettivo di abilitare un ecosistema interdipendente capace di valorizzare il capitale semantico, la vera ricchezza del patrimonio informativo pubblico. Questo cambiamento offre la possibilità di creare nuovi modelli di conoscenza, collocati nel cuore dell’organizzazione degli istituti della cultura. Portare il patrimonio culturale al centro delle politiche per i cittadini, ponendo al cuore dell’ecosistema digitale non più le risorse, ma gli utenti e le relazioni che essi instaurano con gli oggetti digitali, è un processo che riscrive la catena del valore culturale e ridefinisce i modelli organizzativi delle istituzioni, affermando il primato della conoscenza e della rilevanza sociale della diffusione dei saperi.
Non si tratta di una questione esclusivamente tecnologica: le entità dell’ecosistema del patrimonio culturale che popolano l’ambiente digitale sono molteplici, e solo in parte delimitate e delimitabili nell’acronimo MAB (Musei, Archivi, Biblioteche) o GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museum). All’interno di questo universo possiamo infatti individuare in modo schematico:
- un segmento “consolidato”, rappresentato dagli istituti che detengono il patrimonio culturale e producono dati e informazioni su di esso;
- un segmento “operativo”, costituito dagli studiosi e dai diversi operatori che a vario titolo agiscono attorno al patrimonio culturale;
- un segmento “aperto”, cioè un universo dinamico e mutevole di utenti generalisti, studenti, associazioni, turisti e imprese culturali e creative operanti nella filiera produttiva.
Per creare catene di valore in un ecosistema così strutturato, occorre trovare linguaggi, forme comunicative e soluzioni tecnologiche capaci di rappresentare la stratificazione semantica degli oggetti digitali, limitando il potere dispersivo della rete. Il principale rischio connesso alla veicolazione di informazioni complesse e di dati collegati reciprocamente, è quello di disorientare gli utenti e disperdere i nessi logici fra le risorse nell’oceano informativo del web. Arginare tale pericolo è il compito di un sistema organizzativo costruito attorno a nuove figure professionali che possiedano le competenze necessarie per guidare le traiettorie di cambiamento dell’innovazione digitale.
Il presidio delle fasi dei progetti di digitalizzazione palesa la necessità di definire una struttura organizzativa interna composta di diverse unità operative [22], che possono anche non essere permanentemente internalizzate o compresenti, ma che devono comunque essere attivate all’avvio dei progetti di innovazione. Di fronte a un quadro tecnologico in costante e rapido mutamento, i nuovi modelli organizzativi devono necessariamente rispondere dinamicamente alle sollecitazioni dell’ambiente; ciò rappresenta la più grande sfida, ma anche una straordinaria opportunità per gli istituti culturali.
[20] | Si rimanda alla parola “accessibilità» definita all‘interno del paragrafo ”Parole chiave” posta in coda al documento, dove è presente anche la relativa rispondenza normativa. |
[21] | Per la progettazione di servizi web si rimanda alle Linee Guida di design per i servizi web delle PA redatte dall’Agenzia per l’Italia digitale: https://docs.italia.it/italia/designers-italia/design-linee-guida-docs/it/stabile/index.html (Ultima consultazione: 24/06/2022). |
[22] | In riferimento agli enti coinvolti e al team di progetto connessi alle attività di digitalizzazione, si veda l’Allegato tecnico “Linee guida per la Digitalizzazione del patrimonio culturale”, sezione C e l’allegato tecnico “Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati”, sezione Data Governance interna. |
[11] | La parola “servizio» verrà utilizzata in contesti molto diversi dei vari componenti che andranno a costituire il piano nazionale di digitalizzazione (cfr. sezione Parole chiave). In questo caso, con l’espressione “nuovi servizi” si fa riferimento alle diverse tipologie di attività o prestazioni erogabili in formato digitale da parte dei luoghi della cultura, nell’ambito dello sviluppo della strategia di digitalizzazione del patrimonio culturale elaborata nel presente documento. |
Strategia 2022-2026¶
Per raggiungere gli obiettivi di cambiamento che il Piano prefigura, è necessario individuare una strategia di attuazione che sappia cogliere le opportunità offerte dal processo di trasformazione digitale e tradurle in azioni concrete.
Il PND 2022-2023 delinea le azioni strategiche da realizzare a livello nazionale, come pre-condizione abilitante per lo sviluppo di un ecosistema digitale della cultura. Questo ovviamente non esaurisce né sostituisce le azioni che ciascun comparto istituzionale o settore disciplinare metterà in campo a partire da ciò che viene realizzato dal Ministero a servizio di tutto l’ecosistema.
Nel contesto storico attuale, tutte le amministrazioni stanno investendo gran parte delle loro energie nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [23], un programma “di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. Per l’Italia il Next Generation EU rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il Next Generation EU può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni” [24].
In coerenza con gli obiettivi del PNRR, nell’ambito della Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, Componente 3 “Turismo e Cultura 4.0” il Ministero della cultura ha previsto uno specifico investimento denominato “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” [25] con lo scopo di attuare un progetto organico e strutturato per:
- sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali nella direzione esplicitata nella Visione del PND, riconducendo la frammentazione attuale a una prospettiva che restituisca l’unitarietà e la complessità del patrimonio culturale nazionale;
- garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine degli archivi digitali e dei prodotti di digitalizzazione del patrimonio culturale, adottando le nuove strategie di conservazione* (approccio cloud*) e capitalizzando i vantaggi che offrono in termini di sicurezza e durata nel tempo;
- semplificare i rapporti con i cittadini e le imprese, ridisegnando le procedure di settore e portando i servizi in rete;
- facilitare la crescita di un mercato complementare dei servizi culturali aperto alle piccole e medie imprese e alle start-up innovative, finalizzato a innovare le modalità di fruizione del patrimonio culturale;
- accrescere il capitale umano degli operatori e dei fruitori, attraverso azioni formative finalizzate alla crescita delle competenze e allo sviluppo consapevole delle potenzialità della co-creazione.
L’investimento mira da un lato a recuperare i gap nella transizione digitale, al pari di ogni altra pubblica amministrazione, e dall’altro vuole stabilizzare alcuni processi avviati negli anni passati e accelerati durante la pandemia, per raggiungere quegli obiettivi di cambiamento descritti in precedenza (cfr. par. Obiettivi). Data l’ampiezza del programma PNRR e il potenziale trasformativo delle azioni che saranno introdotte in tale contesto, l’investimento è articolato in 12 misure tra loro correlate che, come evidenziato dal grafico di fig. 3, tengono conto di tutte le componenti dell’ecosistema andando a creare quelle infrastrutture nazionali abilitanti (hardware, software e di governance) oggi mancanti. Questo anche nell’ottica di concorrere al conseguimento degli obiettivi di digitalizzazione previsti dalla “Raccomandazione della Commissione EU sulla creazione di uno spazio dei dati europeo per il patrimonio culturale” del novembre 2021 [26] nei termini cronologici indicati e a partecipare, come già ricordato nell’incipit del Piano, al Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale [27].
Figura 3. Sistema di relazioni tra gli stream progettuali dell’investimento M1C3 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” del PNRR.
Si tratta di un programma pensato per facilitare e accelerare i cambiamenti strutturali che l’innovazione tecnologica abilita in tutto il settore culturale. Esso prevede un’ottica di cooperazione di lungo periodo, allargata a tutte le componenti dell’ecosistema, per avviare un percorso di crescita capace di alimentare un processo di rinnovamento degli istituti culturali, chiamati a ripensare il proprio ruolo sociale in funzione delle possibilità offerte dall’ambiente digitale.
L’obiettivo strategico è chiaro: fare in modo che il patrimonio culturale digitale non si disperda, che possa essere utilizzato liberamente da tutti e mantenuto nel tempo. Lo Stato s’impegna dunque, attraverso gli investimenti del PNRR, ad assicurare ad ogni istituzione culturale che vorrà cooperare la disponibilità e la preservazione nel lungo periodo dei dati culturali di cui già dispone e di quelli che vorrà produrre e conferire, attraverso processi d’identità, di conservazione, di riuso, non alternativi ma aggiuntivi a quelli esistenti.
In un contesto così eccezionale, è del tutto naturale che il PND fondi la sua strategia nazionale sulle azioni del PNRR, anche se ovviamente la sua portata non si esaurisce con esso. Le azioni strategiche delineate a livello alto nel PND #2022-2023 saranno progressivamente attuate nel prossimo quinquennio, secondo fasi che verranno affinate negli aggiornamenti del Piano e che definiranno per ciascun settore gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, identificando gli indicatori di performance e impostando le metriche di valutazione dei risultati raggiunti e il monitoraggio delle azioni programmate.
Come ricordato in vari punti del presente documento, il PND non ha l’ambizione – ne avrebbe le possibilità – di descrivere i percorsi di trasformazione digitale o i processi di sviluppo dei singoli istituti; tuttavia, rappresentando una cornice culturale e di orientamento strategico, può utilmente indirizzare tale processo fornendo le componenti comuni sia in termini metodologici che di componenti abilitanti. In questa prospettiva vanno letti i capitoli che seguono, che vogliono essere, nella loro stessa “architettura”, una proposta di metodo.
Le linee di azione strategica sono suddivise e descritte secondo tre ambiti: le tecnologie abilitanti, i processi e le persone. Le tecnologie infatti abilitano i processi, che sono governati dalle persone affinché sulle medesime producano i loro effetti. Su questi parametri può dunque essere misurata la maturità digitale di una organizzazione.
Nello schema seguente è riassunta la mappa di navigazione della sezione (Figura 4).
Figura 4. Schema dei contenuti della sezione Strategia del PND
I capitoli “Tecnologie abilitanti” e “Persone” fanno riferimento per la parte operativa alle piattaforme abilitanti previste nel PNRR; il capitolo “Processi”, invece, fa riferimento a quanto approfondito nelle Linee guida allegate al Piano.
Per ciascuna linea strategica individuata in questa prima versione del PND vengono individuate le azioni a breve, medio e lungo termine che il Ministero metterà in atto a livello nazionale per facilitare il funzionamento dell’ecosistema digitale nel suo insieme. Ovviamente queste azioni non rappresentano, né possono rappresentare, la totalità delle azioni che saranno messe in campo da tutte le istituzioni ai vari livelli di governo.
Tecnologie abilitanti¶
La prima serie di azioni strategiche è volta alla creazione di un contesto tecnologico abilitante, su cui fondare il processo di digitalizzazione di beni, prodotti, servizi e processi destinati a migliorare la gestione e la conservazione del patrimonio e al contempo a soddisfare i bisogni degli utenti (cfr. par. Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale ); questo dovrà avvenire secondo diverse prospettive:
- lato strategico, adottando tecnologie digitali per ottenere un vantaggio competitivo;
- lato produttivo, rendendo l’esperienza utente (user journey) più interattiva per le persone;
- lato applicativo: favorire la produzione, il trattamento, la conservazione e la preservazione a lungo termine, la sicurezza e lo scambio dei dati;
- lato operativo: impiego di tecnologie digitali per rendere più efficienti i processi interni;
- lato culturale: creazione di una cultura organizzativa per un ambiente digitale integrato, inclusivo, ricettivo e aperto.
Al centro del nuovo contesto si colloca la necessità di disegnare una strategia per la gestione dei dati e delle risorse digitali del patrimonio culturale, coerenti con le direttive comunitarie e nazionali; la Commissione europea auspica, infatti, che le istituzioni culturali comprendano con fiducia, convinzione e sicurezza le potenzialità dischiuse dalla raccolta, elaborazione e condivisione dei dati e delle risorse digitali culturali.
I dati, dunque, rappresentano il fulcro della trasformazione digitale; essi definiscono il modo in cui produciamo e beneficiamo della cultura, come di qualunque altro ambito della nostra esistenza. L’accesso alla crescente mole di dati e la capacità di utilizzarli criticamente e consapevolmente sono fattori essenziali per l’innovazione e la crescita, dal perfezionamento del processo decisionale al miglioramento della qualità dei servizi pubblici. Le indicazioni della Commissione europea sono chiare e applicabili anche al dominio dei beni culturali: in una società in cui gli individui genereranno quantità crescenti di dati, il modo in cui saranno raccolti e utilizzati deve assumere prioritariamente gli interessi dell’individuo, in conformità con i valori, i diritti fondamentali e le normative europee, oltre ai dettami di quella nazionale. Allo stesso tempo, il volume crescente di dati prodotti dagli istituti e dai cittadini nelle loro interazioni con il patrimonio culturale (big data*), combinato con il cambiamento tecnologico delle relative modalità di archiviazione ed elaborazione, costituirà una fonte di crescita e innovazione che sarebbe colpevole non sfruttare. Questo significa che i dati dovrebbero essere disponibili per tutti, siano essi soggetti pubblici o privati, con o senza finalità di lucro, grandi o piccoli, start-up o over the top. Ciò aiuterà la società a capitalizzare l’innovazione e la crescita della concorrenza e a garantire che tutti beneficino di un “dividendo digitale”, nel senso di assicurare un utilizzo corretto dei dati sia sotto il profilo giuridico che etico, nella prospettiva di una crescita equa delle comunità.
Per questo motivo, nell’ambito dell’Investimento PNRR “Strategie digitali e piattaforme per il patrimonio culturale” il Ministero ha inserito alcuni interventi che mirano a creare un livello infrastrutturale hardware e software a disposizione di tutto l’ecosistema digitale della cultura, sia attraverso la creazione di piattaforme di servizio che operano a livello nazionale (cfr. par. Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale, Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali, Disseminazione culturale e condivisione sociale, Co-creazione e crowdsourcing), sia stimolando e sostenendo gli operatori economici per lo sviluppo di servizi digitali da diffondere sul mercato (cfr. par. Tecnologie abilitanti per un user-centered design ).
Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale¶
Nell’ambito delle azioni finanziate con il PNRR, il Ministero ha avviato la realizzazione di una “Infrastruttura software del patrimonio culturale” (sub-investimento M1C3 1.1.4, periodo di realizzazione 2022-2024) quale spazio nazionale per la gestione e conservazione dei dati del patrimonio culturale, in coerenza con le citate strategie europee e nazionali in materia. Tale infrastruttura, che assume le caratteristiche di una piattaforma software progettata nativamente per il cloud, intende creare un ambiente che garantisca una corretta, affidabile, sicura ed efficiente organizzazione delle risorse digitali del patrimonio culturale e dei metadati connessi, con l’obiettivo di raggiungere un duplice risultato:
- costituire un grande spazio dedicato ai dati della cultura, in linea con la strategia europea che vuole rendere gli stati membri “titolari” della gestione dei propri dati: un ambiente dotato dei migliori standard tecnologici esistenti, sicuro e conforme alle norme nazionali ed internazionali;
- garantire agli istituti culturali pubblici, ma potenzialmente anche privati, livelli di servizio, in termini infrastrutturali e tecnologici, che da soli difficilmente potrebbero raggiungere o mantenere, preservando comunque la titolarità dei dati e dei processi di produzione, manutenzione e arricchimento qualitativo ad essi riferiti.
Questo permetterà a qualsiasi istituto di sviluppare i progetti di digitalizzazione utilizzando i propri sistemi informativi o applicativi, popolando lo spazio dati nazionale e sfruttando al contempo i servizi dell’infrastruttura (es. servizi di storage, servizi di processamento dati per l’acquisizione del pregresso, servizi di integrazione dati cross domain, servizi di archiviazione e conservazione, servizi di attribuzione dell’identità digitale, servizi di interoperabilità, ecc.). Lo spazio dei dati che si andrà generando è pensato separato, sia logicamente che fisicamente, dalle applicazioni di front-end destinate al pubblico; queste utilizzeranno i dati esposti dall’infrastruttura software attraverso specifiche API (Application Programming Interface*) fruibili da un numero quanto più ampio possibile di utenti/sistemi [28]. In questo modo è possibile per tutti i sistemi partecipanti accedere ai dati derivanti da una vasta comunità cross domain, processati e integrati, preservati in sicurezza e resi disponibili per la creazione di applicazioni che rispondano alle esigenze di utenze sempre più eterogenee e sofisticate (cfr. par. Tecnologie abilitanti per un user-centered design ).
L’infrastruttura software del patrimonio culturale sarà caratterizzata dalla flessibilità dei modelli* concettuali per l’integrazione dei dati, così da restituire molteplici e diverse interpretazioni, senza rinunciare allo spazio di conoscenza dei domini specialistici codificati negli standard di contenuto e di struttura in uso presso i sistemi nazionali gestiti dagli Istituti centrali del Ministero.
La piattaforma fornirà, infatti, i suoi servizi in primo luogo proprio agli Istituti centrali del Ministero, abilitandoli alla gestione e fruizione dei contenuti digitali attraverso le più avanzate tecnologie di content processing e visualization. Allo stesso tempo, i dati generati in tali sistemi saranno dinamicamente acquisiti dall’infrastruttura e costituiranno l’articolato nucleo informativo posto alla base dei futuri servizi di accesso al patrimonio culturale. Il valore di questo ecosistema integrato risiede nel duplice vantaggio di avere dati processati secondo le logiche di dominio ma relazionati e riletti su logiche cross-dominio, utilizzando diverse logiche e tecnologie di integrazione, tutt’ora in corso di sperimentazione.
Con lo stesso principio, specifiche macro-componenti logiche dell’infrastruttura saranno preposte all’acquisizione ed elaborazione dei dati provenienti da sistemi terzi, non aderenti ai sistemi nazionali, secondo le diverse regole e i protocolli che li caratterizzano, conferendo in tal modo allo spazio dati dell’infrastruttura una effettiva dimensione nazionale in ogni dominio descrittivo.
Gli istituti culturali, di qualunque natura, potranno relazionarsi con l’infrastruttura software del patrimonio culturale secondo due modelli:
- modello integrato, rivolto ai sistemi che conferiscono i propri dati e oggetti digitali all’infrastruttura, condividendone nativamente i servizi; le risorse digitali sono “ospitate” nell’infrastruttura software e vengono memorizzate e conservate sui sistemi dell’infrastruttura, e anche il ciclo di vita della risorsa digitale viene gestito tramite i servizi dell’infrastruttura; paradigmaticamente questo modello è rappresentato dalla integrazione dei sistemi degli Istituti centrali del Ministero in corso di realizzazione;
- modello federato: pensato per quei sistemi informativi in grado di esporre in modo stabile ed efficiente le risorse digitali mediante API standard; le risorse digitali risiedono nei sistemi di origine e sono “referenziate” nell’infrastruttura, mentre il ciclo di vita dei dati è gestito dall’ente nei propri sistemi. In questo modo i sistemi federati possono condividere con l’infrastruttura solo alcuni servizi, in base alle loro specifiche necessità.
La scelta del modello di riferimento dipende dagli obiettivi dei singoli istituti e dal livello di maturità del sistema cooperante - da stimare a valle di una procedura di analisi e valutazione - e dalla prospettiva di sviluppo che i singoli sistemi immaginano di darsi nel tempo. Specifiche linee guida, rese disponibili a completamento dello sviluppo dei servizi dell’infrastruttura dati, orienteranno gli istituti culturale nella scelta del precorso da intraprendere.
L’infrastruttura software nazionale non sostituisce dunque i sistemi esistenti di catalogazione/descrizione né i siti e i portali di consultazione, ma rappresenta un supporto integrativo per consentire e facilitare il confronto fra risorse provenienti da domini e dimensioni diverse dell’ecosistema. Inoltre, l’adozione di un sistema centralizzato cloud, realizzato sulla logica applicativa a micro-servizi, contribuirà a diminuire i lock-in di settore, riducendo le inefficienze e abbassando i costi di gestione. L’infrastruttura software costituirà, dunque, il nucleo centrale di una rete di sistemi, anche esterni, la cui interconnessione aggiunge valore ai diversi sistemi singolarmente considerati (cfr. par. Disseminazione culturale e condivisione sociale).
Inoltre, l’infrastruttura software del patrimonio culturale incorpora nel suo disegno logiche di processo conformi ai modelli funzionale e informativo OAIS (standard ISO 14721:2012) garantendo in tal modo sia la corretta conservazione delle risorse acquisite nel loro contesto informativo originario che la trasformazione, l’arricchimento e l’esposizione delle stesse verso i sistemi di accesso, tenendo bene separate e allo stesso tempo tracciandole in tutte le fasi. Per la preservazione a lungo termine e la conservazione digitale a norma (o “conservazione sostitutiva”) di determinate tipologie documentarie, l’Infrastruttura colloquierà, integrandosi opportunamente, con sistemi come Magazzini digitali [29] e il Polo di Conservazione digitale [30], parte integrante dell’ecosistema di servizi del Ministero.
In coerenza con la strategia del cloud nazionale [31], la piattaforma software sarà integrata nel Polo strategico nazionale [32], l’infrastruttura progettata per l’erogazione di servizi cloud della pubblica amministrazione, beneficiando così di notevoli vantaggi in termini di efficienza, sicurezza, semplificazione gestionale e costi di manutenzione. Inoltre, sarà sviluppata seguendo le regole tecniche stabilite da AgID per l’interoperabilità tecnica [33], in modo da garantire la collaborazione tra pubbliche amministrazioni e tra queste e soggetti terzi, per mezzo di soluzioni tecnologiche che assicurano l’interazione e lo scambio di informazioni senza vincoli sulle implementazioni.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Produrre un modello di assessment di dati e sistemi per valutare il livello di maturità digitale e individuare il più appropriato modello di partecipazione all’infrastruttura nazionale
- Realizzare l’assessment di n. 50 sistemi a livello territoriale
Azioni previste a medio termine (2023)
- Rilasciare i primi servizi core dell’infrastruttura software, utili per sperimentazioni di early adoption e per gestire i prodotti provenienti dalle campagne di digitalizzazione finanziate con fondi PNRR
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Rilasciare tutti i servizi previsti dell’infrastruttura
- Integrare/federare n. 50 sistemi a livello territoriale
Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali¶
Come definito in precedenza (cfr. par. Patrimonio culturale digitale), il patrimonio culturale digitale è correlato al sistema dei beni culturali, materiali e immateriali, ma non coincide con essi; non esiste infatti una relazione “1 a 1” (a un bene culturale non corrisponde una sola risorsa digitale): piuttosto si generano relazioni “molti a molti” (diversi beni culturali possono corrispondere a una risorsa digitale, diverse risorse digitali possono corrispondere a un bene culturale). Il patrimonio culturale digitale non identifica pertanto l’universo dei beni culturali, ma ne è piuttosto una rappresentazione/interpretazione.
Occorre quindi far evolvere il concetto di “codice identificativo univoco”, utilizzato in molti dei sistemi informativi nazionali e regionali, verso un sistema di certificazione esterno ai medesimi; un sistema che, basato comunque sull’identificazione univoca del bene culturale fisico, la mantenga stabile, disponibile e certa nel tempo, consentendo così a tutti i sistemi e servizi che trattano dati riferiti al medesimo bene di poterla richiamare attraverso servizi di interoperabilità.
Prendendo come esempio intuitivo – e non tecnico – quanto avviene per le persone fisiche nel Sistema Pubblico di identità Digitale (SPiD) [34], il certificato d’identità digitale dei beni culturali rappresenta la chiave abilitante affinché un bene culturale sia riconosciuto univocamente nei diversi sistemi informativi, sia amministrativi (gestione dei procedimenti) che culturali (piattaforme di accesso). Il modello si può declinare con una serie di opportune considerazioni, tra cui quella più evidente riguardo il fatto che un bene culturale è ”passivo” e necessita di una persona fisica o giuridica per poter richiedere la certificazione e, una volta ottenuta, operare nei diversi ambiti digitali.
L’attribuzione del certificato di identità digitale presuppone il riconoscimento dello status giuridico di bene culturale; per questo motivo il processo di attribuzione e certificazione dell’identità digitale dei beni culturali deve essere realizzato esternamente ai sistemi di gestione della conoscenza (i cosiddetti “cataloghi”), che non hanno notoriamente l’autorità amministrativa per operare tale attribuzione, ma si limitano a registrare le informazioni e gli attributi che qualificano un bene. Ogni sistema tuttavia, proprio perché privo della funzione certificante, identifica il bene secondo proprie anagrafiche che devono poi essere allineate con quelle prodotte da altri sistemi.
È quindi necessario concepire un sistema che consenta ai beni culturali di esistere nell’ambiente digitale, con una pluralità di fini, quali ad esempio:
- collegare il bene culturale ai procedimenti amministrativi che lo riguardano, una volta che questi saranno gestiti in modalità digitale;
- collegare il bene culturale alle risorse digitali che ad esso si riferiscono e ai big data che vengono generati dall’interazione con esso;
- consentire di tracciare le interazioni con il bene culturale, anche a rilevanza giuridica, che avvengono nei sistemi informativi dell’amministrazione e di terze parti.
Nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione di una piattaforma per il “Sistema di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali” (sub-investimento M1C3 1.1.2, periodo di realizzazione 2023-2025), che sarà implementata in collaborazione con AgID, con lo scopo di sviluppare un raccordo tra i sistemi che identificano e descrivono i beni culturali e quelli che ne prescrivono il regime giuridico, al fine di poter attribuire e certificare, con procedure completamente digitali, l’identità digitale di un bene culturale, incorporando in essa gli elementi essenziali che lo determinano. L’esito del riconoscimento univoco all’interno di una procedura digitale si perfeziona con la produzione di un certificato digitale e con la sua archiviazione sicura e stabile nel tempo. Non si tratta dunque di un ulteriore sistema di identificazione e codifica dei beni culturali, ma del processo di certificazione delle informazioni in gran parte già esistenti – in maniera frammentata - nei sistemi nazionali al fine di determinare lo status di bene culturale.
Tale sistema costituirà il presupposto per la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi e dei processi di gestione dei beni culturali, in analogia con i progressi compiuti in termini di semplificazione, sicurezza ed efficienza al pari di altri servizi abilitanti come lo SPiD, la Carta Nazionale dei Servizi o PagoPA. Inoltre, potrà aprire la strada all’applicazione in futuro degli smart contract* nell’ambito dei beni culturali, anche se tale prospettiva al momento non è in fase di sviluppo.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Benchmark delle soluzioni esistenti
Azioni previste a medio termine (2023)
- Definizione dei requisiti del sistema e del modello di governance
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Realizzazione e messa in produzione del sistema
Tecnologie abilitanti per un user-centered design¶
Le tecnologie giocano un ruolo chiave nel processo di cambiamento provocato dalla trasformazione digitale. Nuovi strumenti permettono di connettere il patrimonio culturale con le persone, le imprese, gli enti non commerciali e le industrie creative, favorendo la maturazione e la crescita del mercato dei servizi culturali progettati secondo logiche che mettono al centro l’esperienza dell’utente (user-centered design); gli algoritmi di intelligenza artificiale offrono possibilità inattese di organizzazione, interpretazione e manipolazione dei dati; gli sviluppi di prodotti e servizi interattivi (interaction design)e delle tecnologie di visualizzazione immersiva - come la realtà virtuale, aumentata e mista - ammettono sguardi inediti sulle collezioni e consegnano agli operatori culturali potenti strumenti per l’edutainment* (educazione e intrattenimento), la comunicazione, e lo studio e il godimento dei beni e del patrimonio di conoscenze che li accompagnano; i big data, sebbene non siano ancora pienamente sfruttati nel settore culturale, oggi occupano una posizione centrale nella determinazione delle strategie e dei modelli operativi delle istituzioni pubbliche e nelle profilazioni degli utenti propedeutiche alla personalizzazione dei servizi.
In questo panorama è opportuno conoscere e classificare le tecnologie innovative applicabili al patrimonio culturale, al fine di governare lo sviluppo degli applicativi in modo saggio, coniugando logica, sostenibilità - ecologica, ambientale ed economica - e tecnologie, operando scelte consapevoli e mirate al riparo dalle tecnologie emergenti in un determinato momento.
L’innovazione tecnologica, infatti, non genera valore in sé: è imprescindibile valutare preliminarmente come l’introduzione di una determinata tecnologia si inserisce nei processi in essere degli istituti culturali, in relazione al grado di maturità digitale esistente. Secondo questa prospettiva, l’innovazione tecnologica deve arrecare benefici su due piani:
- Valorizzando i profili di competenza e il know-how che rappresentano il patrimonio conoscitivo sedimentato nel tempo dal personale della Pubblica amministrazione.
- Rispondendo efficacemente ai bisogni degli utenti secondo logiche che non siano basate sulla scelta a priori di una determinata tecnologia ma che seguano un processo di user-centered design, focalizzato cioè sui comportamenti e sulle aspettative degli utenti (cfr. par. Co-creazione e crowdsourcing).
Per abilitare lo sviluppo di queste applicazioni tecnologiche, nell’ambito del PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma dei servizi digitali per sviluppatori e imprese” (sub-investimento M1C3 1.1.12, periodo di realizzazione 2024-2026) per facilitare e sostenere l’espansione e l’integrazione di servizi digitali innovativi da parte di soggetti pubblici e privati, start-up e imprese culturali. La misura, la cui attuazione si svilupperà tra il 2024 e il 2026, è tesa ad acquisire alcune tecnologie abilitanti e applicazioni di base da mettere a disposizione in formato aperto per successivi riutilizzi finalizzati allo sviluppo di applicazioni innovative per il patrimonio culturale. Al contempo sarà supportata, attraverso specifiche linee di finanziamento erogate nell’ambito del PNRR, la crescita di tali applicazioni per implementare un catalogo di servizi ad alto valore aggiunto e potenziale creativo per la ricerca, la gestione innovativa, la fruizione avanzata e la valorizzazione del patrimonio culturale digitale, coerentemente con la classificazione proposta nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione).
Azioni previste a breve termine (2022)
- Classificazione puntuale dei prodotti e servizi interessanti per l’ecosistema
- Analisi del mercato
Azioni previste a medio termine (2023)
- Definizione dei bandi
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Erogazione contributi e realizzazione servizi
[28] | Si predilige questo approccio quando il dato originale lo consente. Esistono infatti delle eccezioni, come nel caso di dati lacunosi che possono essere ri-creati solo mediante le applicazioni. |
[29] | Magazzini Digitali è il servizio nazionale di conservazione e accesso ai documenti digitali di interesse culturale, curato dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze (BNCF), in collaborazione con la Biblioteca nazionale centrale di Roma (BNCR) e la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia (BNM). Per i dettagli del servizio consulta il sito https://www.bncf.firenze.sbn.it/biblioteca/magazzini-digitali/ |
[30] | Nell’ambito delle azioni finanziate con il PNRR, il Ministero ha avviato la realizzazione del “Polo di conservazione digitale” (sub-investimento M1C3 1.1.8, periodo di realizzazione 2022-2026), la cui realizzazione è affidata all’Archivio centrale dello Stato. L’obiettivo generale del progetto è quello di regolamentare, in modo chiaro e uniforme, dalla fase di pre-ingestion a quella della dissemination, la policy conservativa del Ministero sia interna (Sistema di conservazione di medio-lungo periodo in house per le strutture del Ministero), sia nei confronti delle Amministrazioni statali che dovranno procedere al versamento dei loro archivi digitali nativi (o digitalizzati “a norma”) agli Archivi di Stato, secondo quanto disposto dalla vigente normativa sui beni culturali (Sistema di conservazione permanente degli Archivi di Stato), contribuendo, per quest’ultimo caso, a definire, in ragioni delle funzioni di tutela sugli archivi pubblici (quali beni culturali ab origine) esclusivamente in capo al Ministero, i requisiti e la policy che devono essere adottate dai sistemi conservativi delle PA statali (e, di riflesso, delle PA non statali), sia in house che in outsourcing, che custodiranno gli archivi digitali oggetto del successivo versamento al Sistema di conservazione permanente degli Archivi di Stato. |
[31] | Cfr. https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/strategia-cloud-italia/ |
[32] | Cfr. https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/polo-strategico-nazionale/ |
[33] | Cfr. https://www.agid.gov.it/it/infrastrutture/sistema-pubblico-connettivita/il-nuovo-modello-interoperabilita |
[34] | Il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) è la chiave di accesso semplice, veloce e sicura ai servizi digitali delle amministrazioni locali e centrali. Un’unica credenziale (username e password) che rappresenta l’identità digitale e personale di ogni cittadino, con cui è riconosciuto dalla Pubblica Amministrazione per utilizzare in maniera personalizzata e sicura i servizi digitali. Per approfondimenti si rimanda al sito dedicato https://www.spid.gov.it/ |
Processi¶
Il secondo insieme di azioni strategiche individua e indirizza i processi chiave della trasformazione digitale: al fine di potenziare l’ecosistema digitale della cultura è fondamentale arricchire il patrimonio culturale digitale esistente e renderlo pienamente fruibile, dal punto di vista materiale e cognitivo. La progressiva digitalizzazione del patrimonio culturale, determinata dall’accrescimento del materiale digitalizzato, dal patrimonio nativo digitale di interesse culturale e dalla implementazione di nuovi servizi, permette il corretto funzionamento delle piattaforme di gestione e fruizione dei dati, le cui potenzialità crescono in proporzione alla quantità di risorse disponibili. Questo schema comporta la fissazione di una strategia della gestione del ciclo di vita dei dati che garantisca il mantenimento e l’organizzazione delle informazioni digitali di lungo periodo. Occorre altresì individuare chiari riferimenti normativi e procedurali per disciplinare le modalità di accesso, circolazione e riuso dei beni culturali tramite l’adozione di politiche chiare e condivise. Tuttavia, la digitalizzazione del patrimonio non produce valore di per sé: senza un accurato design dei servizi digitali, abilitati dalle tecnologie, non è possibile rendere il patrimonio un fattore di crescita sociale, culturale ed economica.
Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale¶
Nella strategia di crescita digitale, il corretto uso dei dati rappresenta un requisito imprescindibile per beneficiare del patrimonio informativo. La definizione e l’adozione di pratiche gestionali riferite ai dati è di capitale importanza per guidare le fasi del ciclo di vita delle informazioni: dalla pianificazione e progettazione, alla creazione, all’elaborazione, al trasferimento, sino alla conservazione di lungo periodo dei dati e delle risorse digitali prodotte.
Tale processo è per sua natura dinamico, dal momento che nell’ambiente digitale non ci si può limitare alla mera descrizione e riproduzione del bene culturale da effettuare una tantum in sistemi informativi dedicati; questo non rappresenta che il primo stadio di un processo che si sviluppa nel tempo con successive fasi di arricchimento, modellazione, processamento/normalizzazione, collegamento; attività che rendono il dato vivo e in costante evoluzione temporale.
Come già osservato in precedenza (cfr. par. Patrimonio culturale digitale, Il capitale semantico delle relazioni, Abilitare ecosistemi interdipendenti), esistendo una pluralità di soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo attivo nei processi di creazione delle informazioni sul patrimonio culturale, è necessario per questo che i dati siano trattati secondo principi, metodi e strumenti che ne facilitino la condivisione e il riuso per generare ulteriore conoscenza. Per raggiungere questo obiettivo bisogna agire su due piani, ovvero nella produzione e nella gestione dei dati.
Nella produzione è opportuno richiamare i principi FAIR [35], ormai riconosciuti a livello internazionale, che descrivono le caratteristiche che le risorse digitali debbono avere per essere usate e riutilizzate a fini scientifici, educativi e divulgativi, sia dalle persone sia dalle macchine che adottano processi automatizzati:
- Rintracciabilità (Findable): le risorse digitali devono essere accompagnate da identificatori persistenti e da adeguati metadati descrittivi, che vanno registrati in repertori indicizzabili anche dalle macchine.
- Accessibilità (Accessible): i metadati devono essere accessibili agli esseri umani e alle macchine mediante protocolli standard e rilasciati in formato aperto, anche qualora gli oggetti digitali collegati non lo siano.
- Interoperabilità (Interoperable): i metadati devono essere interrogabili e indicizzabili da qualsiasi altro sistema informativo, opzione attuabile solo se essi sono espressi in formati standard.
- Riutilizzabilità (Re-usable): le risorse digitali e i metadati associati devono essere rilasciati secondo licenze chiare che ne consentano il riutilizzo e la ricombinazione, ed espressi con linguaggi riconosciuti e comprensibili dalla comunità scientifica del dominio di riferimento.
La tecnologia IIIF [36], per esempio, permette l’esposizione e la gestione dei dati seguendo i principi FAIR, facilitando così l’interoperabilità e il riuso delle riproduzioni di un bene. Questo strumento, infatti, nasce dall’esigenza di alcune importanti biblioteche digitali di trasformare l’immagine in risorsa digitale, senza il bisogno di duplicarla, e di consentirne l’annotazione e la manipolazione.
Per raggiungere un adeguato livello di qualità nella produzione, gestione e pubblicazione dei dati è necessario investire nell’aggiornamento delle competenze di quanti operano nei luoghi della cultura (cfr. par. Formazione e crescita delle competenze ), dal momento che aspetti così importanti non possono essere delegati esclusivamente a specialisti esterni alle amministrazioni o rimandati a momenti successivi, ma debbono essere parte integrante della creazione del contenuto digitale.
Tale approccio postula un livello di consapevolezza individuale e maturità organizzativa che va programmato e governato. A tal fine ogni istituto dovrà dotarsi di un Piano di gestione dei dati (Data Management Plan), per garantire uno sviluppo coerente nel tempo dei progetti di digitalizzazione (cfr. par. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati). Si tratterà di individuare gli attori che concorrono alla produzione del dato e al recupero e normalizzazione di quelli pregressi, alla successiva organizzazione e pubblicazione, distinguendo chi è responsabile e titolare dello stesso da chi aggiunge elementi informativi nel processo di realizzazione delle risorse.
Il Piano di gestione consente a ogni istituto di adottare un modello organizzativo che ha l’obiettivo di garantire la produzione e la pubblicazione di dati di qualità attraverso un processo omogeneo, auto-sostenibile, coordinato tra gli organi interni dell’amministrazione e che prevede un costante aggiornamento, monitoraggio e coinvolgimento degli utenti finali. Inoltre, esso consente di verificare il rispetto dei principi e la corretta applicazione della normativa nazionale per la produzione e pubblicazione dei dati aperti* (Open Data) [37].
Il primo elemento per una corretta gestione dei processi di digitalizzazione, è l’individuazione dei diversi livelli di responsabilità [38] nel ciclo di creazione, gestione, archiviazione, pubblicazione e valorizzazione delle risorse digitali:
- Livello 1 (direzioni generali [39]): responsabili dell’attuazione della strategia, della governance dei processi, dell’allocazione delle risorse e della gestione delle infrastrutture hardware e software centralizzate; le direzioni generali svolgono inoltre le funzioni di monitoraggio sull’attuazione di programmi e progetti;
- Livello 2 (istituti centrali [40]): responsabili della definizione delle metodologie, dei processi, del monitoraggio della qualità dei dati e della gestione dei sistemi e servizi informativi nazionali nel dominio di competenza; a livello territoriale, la funzione degli istituti centrali può essere affiancata da quella di enti o istituti appositamente creati a livello regionale;
- Livello 3 (istituti culturali [41]): responsabili della gestione e conservazione del patrimonio, svolgono un ruolo attivo nella produzione, nella gestione della qualità, e nella valorizzazione dei dati. È infatti a livello del singolo istituto di conservazione che vengono fatte le scelte culturalmente fondative circa la selezione di cosa digitalizzare e di come descrivere il patrimonio, scelte che condizionano in modo molto significativo le potenzialità future di valorizzazione delle informazioni.
A questi tre livelli se ne aggiunge un ulteriore, rappresentato dalle Soprintendenze, che oltre alle funzioni di tutela sui beni culturali pubblici e privati dichiarati attribuite dalla norma, svolgono ultimamente un ruolo di indirizzo e coordinamento, di supporto e orientamento scientifico per tutti i progetti di digitalizzazione e di trattamento di dati e banche dati.
Ciascun istituto, in relazione alle proprie caratteristiche e finalità, e coerentemente con i livelli di governance sopra previsti, prima di intraprendere un progetto di digitalizzazione o la creazione di una banca dati, redige il proprio Piano di gestione dei dati al fine di delineare come le risorse digitali saranno trattate in fase di acquisizione, processamento, archiviazione, conservazione e valorizzazione; questo al fine di controllare i processi, di prevenire i rischi in fase di esecuzione e di non disperdere la memoria delle scelte effettuate. In un prossimo futuro, la raccolta dei Piani - attraverso specifici tool messi a disposizione dal Ministero - consentirà di effettuare ricerche e interrogazioni, in modo che sia possibile per chiunque recuperare e analizzare le informazioni relative a ogni specifico progetto.
Circa le pratiche gestionali riferite al ciclo di vita delle informazioni e ai principi FAIR, è fondamentale la relazione con pratiche e metodologie provenienti dall’open science; le istituzioni di ricerca sono infatti tenute ad applicare gli standard internazionali dei dati della ricerca scientifica (Open Research Data Pilot di H2020), soprattutto se incentrati sul patrimonio culturale.
Nelle Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale (cfr. par. Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale) e nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (Data Management Plan) (cfr. par. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati) sono contenute specifiche indicazioni operative per la gestione del processo sopra descritto.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Creazione di un tool online per la redazione del Piano di gestione dei dati e relativi esempi
Azioni previste a medio termine (2023)
- Condivisione di strumenti e cruscotti per il monitoraggio dei progetti di digitalizzazione e per lo scambio di buone pratiche
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Realizzazione di un programma formativo su vasta scala (cfr. par. Formazione e crescita delle competenze)
Politiche di accesso e riuso¶
L’obiettivo dell’azione consiste nel coordinare, razionalizzare e semplificare le procedure per l’accesso, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali dei beni culturali, declinando in chiave digitale le politiche pubbliche fino ad oggi adottate per la valorizzazione del patrimonio culturale. La disseminazione e il riutilizzo delle risorse digitali rappresentano dei potenti moltiplicatori di ricchezza e sono strumenti strategici per lo sviluppo sociale, culturale ed economico del paese. Pertanto, è doveroso chiarire gli ambiti di applicazione delle norme e dissipare le incertezze in merito alle pratiche connesse alla circolazione e al riuso delle rappresentazioni digitali dei beni, con l’obiettivo di facilitare l’accesso alla cultura e incoraggiare le pratiche connesse alla trasformazione digitale. La disciplina della riproduzione dei beni culturali presenta infatti notevoli complessità, causate dall’intersecazione e sovrapposizione di ambiti legislativi distinti e dalla stratificazione occorsa nel tempo delle normative di riferimento (Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge sul diritto d’autore, le norme sulla tutela della privacy, le disposizioni SIAE, le direttive europee in materia di riuso dei dati del settore pubblico).
Lungi dall’essere temi astrattamente giuridici o meramente organizzativi, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali tendono ad assumere connotazioni culturali, poiché sottendono il modo di intendere i rapporti tra società, patrimonio, istituti di tutela, imprese e utenti e, più in generale, la funzione stessa di musei, archivi e biblioteche. La missione di questi ultimi non si esaurisce più nella - pur fondamentale - garanzia di tutela, gestione e fruizione fisica delle collezioni, ma si misura con obiettivi di disseminazione delle risorse culturali digitali per il soddisfacimento delle crescenti istanze di partecipazione, riuso e co-creazione di contenuti (cfr. par. Disseminazione culturale e condivisione sociale e Co-creazione e crowdsourcing).
Il patrimonio culturale digitale, esistendo di per sé (cfr. par. Patrimonio culturale digitale), ha propri processi di gestione (cfr. par. Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale); esso è tuttavia rappresentativo di beni culturali materiali e immateriali, per i quali può costituire forme autonome e innovative di fruizione e valorizzazione. Ne consegue che l’attuale regolamentazione, discendente dalla normativa di tutela concepita evidentemente per un mondo “analogico”, deve essere correttamente declinata nel contesto digitale. Per descrivere questo aspetto, che ha presupposti sostanzialmente giuridici, è necessario distinguere tre dimensioni:
- la prima, che impatta sulle attività di digitalizzazione, deriva dai diversi ambiti di protezione gravanti sui beni culturali (tutela culturale, tutela del diritto d’autore, tutela della riservatezza), che vanno posti in relazione con le due principali tipologie di riproduzione previste dal diritto d’autore (riproduzioni fedeli e riproduzione “creative”);
- la seconda concerne le modalità di acquisizione di una riproduzione e la relativa regolamentazione (riproduzione eseguita dall’utente con mezzi propri, riproduzione eseguita con mezzi professionali, riproduzione eseguita dall’amministrazione, riproduzione acquisita da una banca dati, ecc.). Le diverse modalità di acquisizione delle riproduzioni hanno differenti regolamentazioni, a seconda delle risorse e degli impatti organizzativi necessari per la loro generazione;
- la terza attiene allo scopo per il quale si richiede/ottiene una riproduzione, dal momento che usi diversi determinano differenti soluzioni. Poiché le tipologie d’uso nell’ambiente digitale si sono moltiplicate ed evolute (cfr. par. Design dei servizi e modelli per la creazione di valore ), è inevitabile adeguare le regole ai nuovi scenari, nel rispetto dei principi della normativa nazionale e comunitaria.
L’incrocio delle tre dimensioni determina l’individuazione delle procedure da adottare per la creazione, circolazione e riuso delle riproduzioni dei beni culturali, rammentando che l’obiettivo primario degli istituti culturali è incentivare la circolazione e il riuso delle risorse digitali per finalità culturali e per scopi commerciali, nei modi previsti dal Codice dei beni culturali. Va pertanto definito un modello misto, in cui la funzione “sociale” della libera fruizione (si pensi al fruttuoso dibattito anglosassone sulla disciplina dei fair use per scopi didattici e formativi) e dell’apertura inclusiva e democratica delle risorse digitali (testimoniata dal successo delle licenze Creative Commons [42]) conviva armoniosamente con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato, tanto da parte degli istituti pubblici che dei soggetti privati. L’attuale sistema di autorizzazione/concessione sulla singola immagine od oggetto audio-video, è destinato nel tempo ad essere sostituito dalla gestione (anche machine to machine*) degli accessi alle risorse contenute nelle Digital Library* locali e nazionali, applicando politiche di licenzamirate al concetto di “servizio” piuttosto che sull’anacronistica nozione di “prodotto”. In questo modo il processo di gestione dei riusi commerciali può essere governato e adeguato agli obiettivi della normativa di tutela italiana, senza che questo crei un impedimento alla circolazione della conoscenza e allo sviluppo di servizi innovativi.
Con questo obiettivo, nelle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (cfr. par. Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale) vengono forniti gli indirizzi operativi che, partendo dal quadro normativo vigente, possano cogliere il senso dei cambiamenti in atto, restituendo un contesto procedurale chiaro ed omogeneo per l’adozione di opportune discipline e licenze d’uso alla pubblicazione online delle riproduzioni dei beni culturali.
Accanto al tema delle riproduzioni dei beni culturali, che impatta evidentemente sulla crescente domanda di “immagini” e materiali audiovisivi di svariata natura, si innesta il principio del libero riutilizzo dei dati della pubblica amministrazione, introdotto dalle direttive comunitarie [43] e consolidato nel Codice dell’amministrazione digitale [44]; tali disposizioni sanciscono l’obbligo per il settore pubblico di rilasciare i propri dati in modalità aperta (Open Data) [45]. Questo principio, pilastro della strategia europea dei dati [46], muove dalla convinzione che il libero riutilizzo dei dati, anche per fini commerciali, contribuisca alla creazione di valore per la società grazie alle potenzialità connesse allo sviluppo di servizi connessi: tanto più sono elevate la qualità e quantità dei dati aperti messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni, quanto maggiori saranno le probabilità che essi vengano riutilizzati nella creazione di servizi innovativi.
I dati del patrimonio culturale rientrano appieno in tale prospettiva e pertanto vanno trattati in conformità a quanto previsto nel quadro legislativo e procedurale tracciato dalle norme sovraordinate; in particolare si fa qui riferimento:
- ai dati descrittivi del patrimonio culturale contenute nei cataloghi e nelle banche dati nazionali e territoriali;
- ai dati prodotti nell’ambito dell’attività istituzionale del Ministero e degli istituti culturali;
- ai contenuti culturali prodotti nelle attività di valorizzazione, laddove compatibile con la disciplina del diritto d’autore.
Analizzando una recente ricerca empirica sull’adozione di politiche di Open Access* presso istituti GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museums) di tutto il mondo [47], è possibile constatare come l’apertura dei dati non sia una pratica ancora adottata sistematicamente dagli istituti culturali italiani [48]. Per superare questo divario, dovuto a un più lento adeguamento del comparto cultura alle nuove opportunità aperte dalla condivisione e circolazioni di dati e conoscenze, occorre superare le resistenze ancora esistenti derivanti, più che da posizioni di principio, da una oggettiva difficoltà da parte degli istituti culturali a confrontarsi con un tema che richiede specifiche competenze tecniche.
Il PND, combinando le indicazioni operative contenute nelle Linee guida della parte terza (cfr. par. Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale e Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati) con il programma formativo previsto nell’ambito del PNRR (cfr. par. Formazione e crescita delle competenze), intende perseguire diverse finalità: favorire la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le pubbliche amministrazioni e da parte di cittadini e imprese, aumentare la qualità dei dati e dei metadati, aumentare la consapevolezza sulle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e su una moderna economia dei dati.
Nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (cfr. par. Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati) sono contenute una serie di indicazioni operative volte a facilitare l’adozione di pratiche di apertura dei dati come momento qualificante del ciclo di vita della risorsa digitale.
Azioni previste dal livello 1 (direzioni generali [49])
Gestione e sviluppo del sito dei dati aperti della cultura dati.beniculturali.it, inteso quale interfaccia unica rispetto alla “Piattaforma digitale nazionale dati” [50]; identificazione delle basi dati strategiche del Ministero e pubblicazione del relativo catalogo in coerenza con il profilo DCAT-AP_IT [51]; identificazione dei sistemi informativi pubblici che espongono API coerenti con il modello di interoperabilità e con i modelli di riferimento di dati nazionali ed europei; normalizzazione delle licenze d’uso aperte utilizzate; promozione di iniziative di formazione e divulgazione sul tema.
Azioni previste dal livello 2 (istituti centrali [52])
Aumento del numero di dataset aperti di tipo dinamico e del numero di dataset con metadati di qualità conformi agli standard di riferimento europei e dei cataloghi nazionali (dati.gov.it, geodati.gov.it), pubblicati sul sito dati.beniculturali.it in coerenza con quanto previsto dal quadro normativo nazionale ed europeo; attivazione dell’interoperabilità con l’infrastruttura software del patrimonio culturale (cfr. par. Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale) secondo API standard; realizzazione di iniziative di coinvolgimento di utenti e sviluppatori per il riuso dei dataset rilasciati in formato aperto.
Azioni previste dal livello 3 (istituti culturali [53])
Produzione e gestione dei dati, sulla base delle proprie finalità istituzionali, conformemente gli standard nazionali e alle indicazioni espresse nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale; utilizzo di software di catalogazione, se diversi da quelli messi a disposizione gratuitamente dagli Istituti centrali, che siano pienamente interoperabili con i sistemi nazionali attraverso l’esposizione di API standard o attraverso il conferimento ai sistemi nazionali secondo i formati di trasferimento definiti dagli istituti centrali; crescita qualitativa e aggiornamento dei dati nel tempo; chiara associazione delle licenze d’uso ai dataset rilasciati in formato aperto.
Design dei servizi e modelli per la creazione di valore¶
Per migliorare e innovare l’attuale gestione del patrimonio digitale, basata quasi esclusivamente sull’offerta di prodotti (ovvero di risorse digitali intese come mere riproduzioni di beni culturali fisici), è necessario intraprendere un percorso sfidante di progettazione dei servizi e dei modelli per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Per condurre quest’operazione in modo efficace ed efficiente si possono distinguere tre macro-categorie di servizi digitali erogabili:
- servizi digitali di base: riguardano la ricerca di informazioni (lato fruizione) e la condivisione di contenuti (lato creazione);
- prodotti e servizi digitali a valore aggiunto: sono rappresentati da servizi innovativi di elaborazione avanzata dei dati e dei contenuti per la creazione di prodotti educativi, espositivi, editoriali, commerciali;
- servizi digitali per la gestione: includono i servizi dedicati alla gestione del patrimonio (back-end), delle attività istituzionali (front-end) e delle funzioni legate alla fruizione (ticketing, prenotazione, pagamenti, segnalazioni, ecc.).
La mappatura delle tipologie dei beni culturali, condotta in funzione del loro potenziale di valorizzazione insieme all’analisi dei mercati e dei target di riferimento per l’erogazione dei servizi da parte degli istituti culturali, costituisce la base per la definizione di processi end-to-end. Questi vanno progettati nel contesto di una strategia circolare - che muove dal gestore all’utente e viceversa - e poi implementati a seconda dei potenziali utilizzatori: le istituzioni (modello B2I Business-to-Institutions), le imprese (modello B2B Business-to-Business), gli utenti (modello B2C Business-to-Consumer); ciò indipendentemente dal fatto che vengano sviluppati a livello centrale o territoriale.
Sulla base dei servizi digitali e dei processi end-to-end saranno adottati nuovi modelli di gestione capaci di armonizzare la funzione dell’apertura inclusiva, partecipata e democratica delle collezioni con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato. La finalità di questa azione strategica consiste nel proporre modalità di gestione sostenibili nel tempo. I nuovi servizi si rivolgeranno a tutte le categorie individuate nei mercati di riferimento (B2I, B2B, B2C) e, potenzialmente, potranno estendersi oltre i confini nazionali per intercettare la domanda internazionale.
Il corrispettivo naturale del processo di design dei servizi è l’adozione di indici di misurazione delle performance e di metriche per l’autovalutazione delle condizioni di partenza, dei progressi registrati nel tempo e dei risultati finali degli istituti culturali (il cosiddetto Digital Maturity Assesment già sperimentato con successo su base volontaria in altre nazioni europee).
La capacità di comprendere e vagliare il proprio livello di maturità digitale è un’opportunità fondamentale per un’istituzione culturale, poiché rappresenta la base di partenza su cui fondare il proprio processo di sviluppo. L’impiego di metodologie e strumenti di valutazione della maturità digitale consente di monitorare i livelli di attuazione delle misure proposte, ottenendo dati quantitativi e qualitativi che permettono di rilevare oggettivamente gli stati di avanzamento della transizione digitale. In questo modo sarà possibile incentivare – anche tra gli enti gestori del patrimonio – l’adozione di processi decisionali guidati da evidenze quantitative e qualitative (data-driven), che valorizzino i dati originati dall’espletamento delle funzioni degli istituti nell’interpretazione del cambiamento.
Tutti questi aspetti troveranno una più approfondita trattazione nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione) che metteranno a fuoco le tipologie dei beni culturali e il loro potenziale di valorizzazione, identificheranno i prodotti realizzabili e i servizi erogabili, definiranno i processi end-to-end e analizzeranno i modelli di gestione applicabili per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Nel documento Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali (cfr. par. Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali ) vengono invece descritti i principali modelli di Digital Maturity Assessment, le opportunità di applicazione al patrimonio culturale e alcuni casi di strumenti esistenti.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Creazione di un tool online per l’auto-valutazione della maturità digitale
Azioni previste a medio termine (2023)
- Creazione di un catalogo ragionato di esempi e buone pratiche
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Realizzazione di un programma formativo su vasta scala (cfr. par. Formazione e crescita delle competenze)
- Creazione del catalogo dei servizi digitali per il patrimonio culturale disponibili sul mercato (cfr. par. Tecnologie abilitanti per un user-centered design)
[35] | Nel 2014 sono stati elaborati alcuni principi fondamentali, denominati F.A.I.R. (Findable, Accessible, Interoperable, Re-Usable), per ottimizzare la riutilizzabilità dei dati della ricerca; il testo completo è disponibile all’indirizzo https://www.force11.org/group/fairgroup/fairprinciples |
[36] | Il IIIF (International Image Interoperability Framework) è una tecnologia sviluppata negli ultimi anni che si è diffusa molto rapidamente a livello internazionale e in tutto il mondo GLAM. Promossa da un consorzio di importanti istituzioni culturali, è supportata da una comunità internazionale che sviluppa e implementa le specifiche delle API (Application Programming Interface) che lo costituiscono (cfr. https://iiif.io/). |
[37] | Per un approfondimento sui dati aperti si veda il documento “FAQ per la pubblicazione di dati aperti” allegato alle Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati (Data Management Plan). |
[38] | Il sistema di livelli proposto descrive il modello organizzativo del Ministero della cultura ma può essere facilmente adattato anche alle amministrazioni regionali e comunali. |
[39] | Per gli enti locali questo livello può essere svolto dalle direzioni generali dell’ente Regione. |
[40] | Per quanto riguarda il Ministero della cultura, si fa riferimento agli Istituti centrali identificati all’art. 33 comma 2 del dpcm 169/2019 per i profili di rispettiva competenza, ed in particolare: l’Archivio centrale dello Stato, l’Istituto centrale per gli archivi, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane, l’Istituto centrale per il patrimonio immateriale, l’Istituto centrale per il restauro, l’Istituto centrale per la patologia degli archivi e del libro, l’Istituto centrale per la grafica, l’Istituto centrale per l’archeologia. Per gli enti locali questo livello può essere svolto dai “Servizi cultura” dell’ente Regione se ha specifiche deleghe in materia o da enti regionali dedicati al patrimonio culturale. |
[41] | Tutti gli uffici, gli istituti culturali e i luoghi della cultura, come definiti nei rispettivi ordinamenti, che conservano e valorizzano beni culturali, indipendentemente dai livelli di autonomia. |
[42] | Creative Commons è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fornisce licenze gratuite, strumenti che i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi possono utilizzare per consentire ad altri di condividere, riutilizzare e remixare legalmente le proprie opere. Il rilascio di materiale con una delle sei licenze CC chiarisce agli utenti cosa possono o non possono fare. Per approfondimenti cfr. https://creativecommons.it/chapterIT/. |
[43] | La direttiva europea (UE) 2019/1024, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, rifonde in un unico testo le precedenti direttive 2003/98/CE e 2013/37/UE; la norma italiana di recepimento è il decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36. |
[44] | Il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 recante il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), è un testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese. Tra le molte disposizioni relative al trattamento dei dati e documenti informatici, il CAD dall’art. 50 all’art. 62 introduce una serie di norme relative ai dati delle pubbliche amministrazioni e alla loro fruizione. |
[45] | Alla data di emanazione delle presenti Linee guida, sono in corso di redazione da parte di AgID le nuove Linee Guida recanti regole tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e s.m.i. relativo all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, disponibili in consultazione all’indirizzo https://docs.italia.it/AgID/documenti-in-consultazione/lg-opendata-docs/it/bozza/index.html |
[46] | “La strategia europea in materia di dati mira a fare dell’UE un leader in una società basata sui dati. La creazione di un mercato unico dei dati consentirà a questi ultimi di circolare liberamente all’interno dell’UE e in tutti i settori a vantaggio delle imprese, dei ricercatori e delle amministrazioni pubbliche. Le singole persone, le imprese e le organizzazioni dovrebbero essere messe in grado di adottare decisioni migliori sulla base delle informazioni derivate da dati non personali”. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/european-data-strategy_it |
[47] | Douglas McCarthy, Andrea Wallace, Survey of GLAM open access policy and practice, 2018 to present, CC BY 4.0, https://docs.google.com/spreadsheets/d/1WPS-KJptUJ-o8SXtg00llcxq0IKJu8eO6Ege_GrLaNc/edit#gid=1216556120 |
[48] | Su 934 soggetti dell’ecosistema GLAM europeo che mettono a disposizione dati della cultura in accesso aperto per mezzo dei loro siti web e/o di piattaforme esterne, come Europeana e Wikimedia Commons, solo 24 sono italiani, contro 178 della Germania, 89 del Regno Unito, 82 della Svezia, 75 della Polonia, 62 di Francia e Olanda, 45 di Spagna, 39 di Portogallo, 36 di Svizzera e Norvegia, 33 di Belgio. |
[49] | Cfr. nota 39. |
[50] | Art. 53 -ter del Codice dell’amministrazione digitale. |
[51] | Profilo italiano dei metadati richiesti per descrivere tutti i dati disponibili presso la pubblica amministrazione. Il profilo è elaborato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Il profilo nazionale, denominato anche “Profilo italiano di DCAT-AP” (DCAT-AP_IT), si inserisce nel contesto del framework europeo di interoperabilità. È una estensione della specifica DCAT-AP (Data Catalog Vocabulary – Application Profile) rilasciata a novembre 2015. Per approfondimenti cfr. https://dati.gov.it/content/dcat-ap-it-v10-profilo-italiano-dcat-ap-0. |
[52] | Cfr. nota 40. |
[53] | Cfr. nota 41. |
Persone¶
Affinché la transizione digitale produca valore culturale, economico e sociale è doveroso porre le persone al centro dei processi di cambiamento. Investire sul capitale umano è imprescindibile per creare l’impianto organizzativo necessario alle amministrazioni: troppo spesso infatti la trasformazione digitale è impedita o ostacolata dalla mancanza di competenze interne di natura tecnica e organizzativa. La formazione rappresenta lo strumento fondamentale per far sì che l’innovazione possa radicarsi, crescere e generare valore; in questo contesto essa va intesa come un processo trasversale di lunga durata, volto all’aggiornamento costante delle competenze e delle conoscenze degli individui.
Al contempo è necessario trasformare le forme e le modalità di interazione dei pubblici con i patrimoni culturali: le istituzioni sono chiamate a superare la logica del passato basata sulla fruizione passiva degli utenti, in favore di pratiche di disseminazione culturale e condivisione sociale ad ampio raggio, capaci di mettere le persone al centro delle strategie e di farle interagire con la cultura in modo consapevole e innovativo. Le istituzioni culturali dovrebbero incentivare la partecipazione attiva mediante pratiche di co-creazione e crowdsourcing, incrementando le potenzialità di individui, enti non commerciali, imprese e comunità. Solo implementando azioni strategiche volte al costante aggiornamento delle competenze del personale interno e abilitando la partecipazione di strati sempre più ampi di cittadinanza si potrà favorire la creatività culturale, intesa come processo permanente di ri-contestualizzazione e re-interpretazione del patrimonio all’interno dei paesaggi culturali (cfr. par. Contesti come paesaggi culturali).
Formazione e crescita delle competenze¶
Le competenze digitali si presentano come tessere di un ampio mosaico, nella cui composizione rientrano abilità tecnologiche, conoscenze metodologiche, attitudini gestionali e processi mentali che consentono di creare e gestire informazioni e contenuti mediante le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
In affiancamento delle attività formative ordinarie, nell’ambito dell’investimento del PNRR è prevista la realizzazione di un programma di “Formazione e aggiornamento delle competenze” (sub-investimento M1C3 1.1.6, periodo di realizzazione 2023-2026); quest’azione strategica non ha solo lo scopo di arricchire la competenza del personale interno del Ministero - e di tutti i professionisti che operano a vario titolo nelle istituzioni culturali - mediante un programma di apprendimento permanente (lifelong learning) pensato per supportare il processo di cambiamento richiesto, ma anche quello di individuare i fabbisogni in termini di adeguamento organizzativo, assicurando una gestione del cambiamento (Change Management) in tutte le sue fasi. L’intervento formativo tenderà alla creazione di un patrimonio condiviso di competenze, in linea con quanto già stabilito nel Piano per l’Educazione al Patrimonio [54], che possa favorire l’ibridazione degli ambiti disciplinari e operativi e l’integrazione dei livelli di conoscenza.
Affinché la progettazione formativa possa rispondere alle istanze di un’ampia ed eterogenea platea di destinatari e alla rapidità con cui evolve il quadro tecnologico, è necessario elaborare un modello di sviluppo delle competenze che individui ambiti comuni a più categorie di destinatari, piuttosto che specifici profili di ruolo, che rischiano di non rispondere più, già nel breve periodo, agli scenari e agli obiettivi del processo di cambiamento. Il modello che verrà implementato consiste in una matrice che incrocia le aree del processo di digitalizzazione (creare, usare, conservare, governare) con i livelli delle competenze richieste (di base, specialistiche, avanzate). In questo modo sarà possibile definire un quadro dinamico delle competenze necessarie per attuare la trasformazione digitale degli istituti culturali, in linea con quanto previsto a livello europeo, con lo scopo di orientare le future politiche di reclutamento.
Il progetto prevede, in particolare, l’attivazione di un’offerta formativa articolata, secondo principi di modularità e scalabilità, in percorsi che consentano ai diversi destinatari di sviluppare e/o rafforzare, a seconda delle proprie esigenze e del proprio rapporto con il digitale, una o più competenze:
- un percorso di life long learning, da fruirsi principalmente a distanza, rivolto al personale del Ministero e a tutti i professionisti che operano nel settore del patrimonio culturale, per aggiornare e incrementare le conoscenze e le competenze necessarie per affrontare e gestire la trasformazione digitale;
- specifiche azioni di formazione, aggiornamento e assistenza dedicate alle organizzazioni, per orientare e supportare gli enti che affrontino un percorso di trasformazione digitale, sviluppino progetti di digitalizzazione del patrimonio culturale e/o creino nuovi servizi.
L’offerta formativa sarà affiancata dalla messa a disposizione di un sistema di auto-valutazione delle competenze digitali possedute dagli operatori, così da consentire loro di individuare i propri fabbisogni formativi specifici e costruire percorsi di aggiornamento personalizzati, scegliendo i programmi che corrispondono alle proprie esigenze. Tale attività sarà propedeutica alla realizzazione di “centri di accompagnamento” per l’attuazione del PND, realizzati anche con il coinvolgimento delle associazioni professionali, creati con lo scopo di attivare tavoli permanenti di ascolto e confronto sulle principali problematiche incontrate dagli istituti nella gestione dei progetti di digitalizzazione e nel design dei servizi per l’utenza.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Definizione del modello formativo e dei tool di autovalutazione
- Definizione del modello operativo dei centri di accompagnamento
Azioni previste a medio termine (2023)
- Realizzazione prima tranche di corsi
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Realizzazione del programma formativo nella sua completezza
Disseminazione culturale e condivisione sociale¶
La pervasività delle tecnologie digitali ha generato aspettative di servizi nel pubblico; ciò ha influito inevitabilmente sulle modalità con cui gli individui immaginano di interagire con il patrimonio culturale. Approfittando di questa opportunità, è possibile accompagnare le attività di formazione e sviluppo delle competenze con azioni che incidano sulla consapevolezza sociale del patrimonio culturale fruito e agito nell’ambiente digitale, stimolando il passaggio dalla percezione individualizzata dei beni, tipica degli accessi a fini d’intrattenimento o commerciali, a una elaborazione collettiva più matura e partecipata, tendente a rimuovere le repliche tecnologicamente aggiornate di visioni tradizionali, ideologiche o stereotipate.
Le pratiche e i processi di patrimonializzazione* che stanno spontaneamente emergendo nelle comunità territoriali, sociali e politiche possono prosperare nell’ambiente digitale: si tratta di un percorso già individuato dalla Convenzione di Faro come indicativo di un rapporto rinnovato fra cittadini e patrimonio, che nel presente documento è declinato in termini di paesaggi culturali. I nuovi bisogni del pubblico, resi plausibili dalle caratteristiche intrinseche che differenziano i beni culturali fisici dai loro corrispettivi digitali (come ad esempio l’uso non rivale, che permette l’accesso simultaneo e plurimo da parte di più utenti) possono essere soddisfatti da una ramificata struttura di servizi, distribuiti capillarmente sul territorio in virtù della loro dematerializzazione.
Le nuove forme di costruzione condivisa dei contesti patrimoniali necessitano di una solida architettura informativa che sappia offrire dati di qualità e informazioni attendibili. Le politiche culturali abilitate dalla costruzione di uno spazio comune dei dati (cfr. par. Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale) dovranno perciò ampliare il pubblico sia a livelloterritoriale (nello spazio geografico) sia sociale, coinvolgendo segmenti più ampi - e in passato esclusi - della popolazione. Il digitale offre inedite possibilità per la disseminazione culturale: le piattaforme di accesso al patrimonio propongono efficaci strumenti per l’accesso ai dati dei beni culturali, la condivisione dei risultati della ricerca, l’impiego per finalità didattiche e formative, la divulgazione scientifica, la partecipazione alla creazione di contenuti digitali con nuovi linguaggi: tutto ciò allarga l’impatto generato dalla fruizione culturale, che non è più solamente passiva.
Allo stato attuale sono pochi i siti web degli istituti culturali che offrono i propri contenuti secondo modalità che consentano al pubblico di poter interagire; per lo più ci si trova di fronte a “siti vetrina” che offrono informazioni in modo statico. Il patrimonio culturale digitale necessita, invece, di spazi virtuali adeguati per la sua fruizione. In questo senso si ritiene che il modello “Biblioteca digitale” (Digital library) possa essere utilizzato in ogni settore del patrimonio culturale, per promuovere e diffondere la conoscenza, integrare le comunità, erogare servizi digitali. Tale processo evolutivo sarà facilitato dai servizi erogati dall’infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale (cfr. par. Infrastruttura nazionale dei dati del patrimonio culturale), che esporrà le risorse digitali in modo integrato e strutturato, per essere poi utilizzate nelle applicazioni di front-end settoriali o realizzate a livello di singolo istituto. Le Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione e allegato 4) forniscono una guida per individuare i prodotti e servizi che possono essere realizzati e integrati nelle diverse Digital Library.
A livello nazionale, nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma per l’accesso integrato al patrimonio culturale digitale” (sub-investimento M1C3 1.1.10, periodo di realizzazione 2023-2025) che, in quanto hub, consentirà a cittadini, esperti, docenti, enti formativi, imprese e operatori del settore di costruire la propria esperienza di navigazione nell’enorme contesto informativo del patrimonio culturale italiano, costantemente incrementato dalle attività di digitalizzazione. Tale piattaforma, che avrà le funzioni di una Digital Library, metterà in relazione i progetti di digitalizzazione passati con quelli correnti, valorizzandone l’apporto culturale. La piattaforma costituirà uno dei possibili punti di accesso ai dati del patrimonio culturale, che non sostituisce ma integra quelli già esistenti a livello centrale e territoriale, aggiungendo un livello di servizio che oggi manca. Le caratteristiche principali di questa piattaforma saranno legate alle modalità di presentazione delle risorse digitali, che verranno diversificate in modo da garantire una pluralità di approcci: dalla più semplice funzione di “aggregatore” di risorse, alla capacità di svolgere ricerche integrate su domini differenti dei dati presenti nell’infrastruttura software nazionale, alla possibilità di correlare dati presenti in altri sistemi attraverso le tecnologie del IIIF e dei LOD, fino a funzionalità avanzate di visualizzazione dei dati per la ricostruzione di contesti interattivi.
Con finalità analoghe proseguiranno le azioni tese ad accrescere le funzionalità delle piattaforme nazionali di settore, sviluppate e gestite dagli istituti centrali del Ministero, che continueranno a rappresentare i primi riferimenti dei diversi ambiti disciplinari, in sinergia con le piattaforme regionali che proseguiranno la funzione di “racconto” del patrimonio culturale locale.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Benchmark a livello nazionale e internazionale
Azioni previste a medio termine (2023)
- Predisposizione di un prototipo per sperimentazione attraverso la
reingegnerizzazione di soluzioni esistenti
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Progettazione e sviluppo della piattaforma
- Azioni di disseminazione
Co-creazione e crowdsourcing¶
Il digitale offre la possibilità di operare un cambio di prospettiva: chi interagisce con il patrimonio non è più un fruitore passivo, ma un soggetto attivo, capace di arricchire l’universo informativo e di co-creare in modo partecipato, mettendosi in rapporto con gli altri. Non è più sufficiente coinvolgere gli utenti nella fruizione del patrimonio, ma è necessario “attivarli” come agenti consapevoli dei processi di produzione culturale.
Il riuso delle risorse digitali, se opportunamente disciplinato da politiche pubblichechiare e linee guida user-friendly, è in grado di generare valore culturale grazie alla creazione partecipata di contenuti e alla diffusione delle pratiche di interazione, incentivando meccanismi di co-creazione e di produzione di valore dal basso e offrendo nuove opportunità di sviluppo alla cittadinanza dal punto di vista culturale, economico e sociale.
Il patrimonio culturale digitale può così trasformarsi, elevandosi da risorsa “mineraria” (la valorizzazione è staccata dal bene, che ha valore in quanto tale) a risorsa “dinamica” (il valore intellettuale è incorporato nelle risorse ed è da esse inscindibile). Inoltre, la crescente disponibilità di oggetti digitali può innescare virtuosi meccanismi che consentano di instaurare ex novo e/o riqualificare i rapporti fra i luoghi della cultura e gli utenti, anche al di fuori degli ambiti specialistici.
Per accompagnare questi processi, che necessitano di competenze e strumenti specifici, nell’ambito dell’investimento PNRR è prevista la realizzazione di una “Piattaforma di co-creazione e crowdsourcing” (sub-investimento M1C3 1.1.11, periodo di realizzazione 2024-2026), che offrirà nuove prospettive di interazione col patrimonio. La piattaforma, all’interno dello spazio delle applicazioni del nuovo sistema digitale della cultura, potrà arricchire di informazioni e significati il patrimonio digitale attraverso la partecipazione attiva degli utenti. Costoro potranno produrre, caricare e condividere i loro contenuti originali, partecipare a progetti di crowdsourcing per l’arricchimento dei tag e delle descrizioni del patrimonio culturale, contribuire ai processi di riconoscimento e metadatazione delle risorse digitali ed essere protagonisti della costruzione o ri-costruzione di contesti culturali, attivando processi di patrimonializzazione di natura digitale.
La piattaforma di co-creazione costituirà dunque una “sorgente” di contenuti digitali prodotti da molteplici e diversificati attori, che potranno entrare nella filiera certificata dei sistemi di dominio se avranno le necessarie caratteristiche scientifiche e tecniche, ma che manterranno comunque nella piattaforma di co-creazione una loro autonomia derivante dal processo specifico di partecipazione da cui originano. In questo senso, la piattaforma sarà in grado di raccogliere le forme di “documentazione” dei paesaggi e del patrimonio culturale diffuso, che esistono in virtù della presenza di comunità patrimoniali di riferimento. Queste forme culturali, fino ad oggi considerate come “patrimoni minori”, in un giusto paragone con il patrimonio nazionali dei grandi attrattori culturali, potranno così avere una loro piena riconoscibilità e con esse le persone da cui originano.
Azioni previste a breve termine (2022)
- Benchmark a livello nazionale e internazionale
Azioni previste a medio termine (2023)
- Individuazione di partner, stakeholder e mediatori
Azioni a medio/lungo termine (2024-2026)
- Progettazione e sviluppo della piattaforma
- Azioni di disseminazione
[54] | Sul Piano per l’Educazione al Patrimonio 2021: https://dger.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/11/Piano-Nazionale-per-lEducazione-al-patrimonio-2021.pdf |
[23] | Per una visione complessiva del PNRR si rimanda al sito informativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri https://italiadomani.gov.it/it/home.html |
[24] | Cfr. https://italiadomani.gov.it/content/dam/sogei-ng/documenti/PNRR%20Aggiornato.pdf |
[25] | Per un approfondimento dell’investimento PNRR 1.1 “Strategie e piattaforma digitali per il patrimonio culturale” si rimanda ai seguenti link: https://pnrr.cultura.gov.it/ |
[26] | Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione del 10 novembre 2021 relativa a uno spazio comune europeo di dati per il patrimonio culturale (OJ L 401 12.11.2021, p. 5, CELEX: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:32021H1970). |
[27] | Cfr. note 5 e 6 Contesto di riferimento . |
Linee guida per i processi di digitalizzazione¶
Questa sezione del PND intende mettere a disposizione alcuni strumenti per la pianificazione e l’esecuzione delle attività relative alla digitalizzazione del patrimonio culturale e dei servizi connessi. La sezione si articola in una serie di allegati tecnici, ciascuno dei quali approfondisce uno specifico aspetto delle pratiche di digitalizzazione. Questi documenti, strutturati in forma di linee guida, saranno sottoposti a periodiche verifiche per garantirne l’aggiornamento rispetto all’evoluzione delle normative, dei metodi, degli standard e dei progressi tecnologici.
Le linee guida definiscono approcci e procedure e forniscono riferimenti informativi e non prescrittivi, illustrando i principali riferimenti metodologici e tecnici, con il relativo corredo bibliografico. I documenti si rivolgono al personale che negli istituti culturali è coinvolto a vario titolo nei processi di trasformazione digitale, cui viene fornito un quadro operativo multilivello, che può essere d’ausilio sia nelle pratiche decisionali e strategiche, sia nella pianificazione e nell’esecuzione delle operazioni.
Esiste una specifica correlazione fra le azioni strategiche e gli strumenti a corredo del PND. Gli allegati tecnici offrono modelli e suggeriscono procedure utili per affrontare le sfide organizzative e metodologiche poste dall’attuazione dei processi individuati nella sezione Strategia. Nello schema seguente (Figura 5) sono evidenziate le relazioni fra i processi individuati nel PND e le corrispondenti Linee guida:
Figura 5. Relazione fra i processi della sezione Strategia e le Linee guida del PND
A valle di una prima fase di utilizzo sul campo delle Linee guida, saranno individuati esempi e buone pratiche per ciascun processo descritto nelle Linee guida, così da facilitarne l’adozione.
Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale¶
Le Linee guida 1 definiscono gli approcci e le procedure per la creazione, la metadatazione e l’archiviazione degli oggetti digitali. Il documento, dal carattere informativo e non prescrittivo, fornisce una base metodologica e tecnica al personale che negli istituti culturali segue la progettazione e la gestione dei progetti di digitalizzazione. Queste linee guida offrono schemi processuali e modelli operativi utili per impostare progetti di digitalizzazione efficaci, efficienti e organizzati, creando dati di qualità allineati ai più aggiornati standard nazionali e internazionali, in grado di assicurarne l’interoperabilità e la longevità. Tali Linee guida offrono dunque paradigmi di processo e modelli operativi volti a creare una solida base comune per la corretta impostazione di progetti di digitalizzazione, così da contribuire al processo di trasformazione digitale del patrimonio culturale. Il documento verrà sottoposto ad una fase di revisione e arricchimento entro la fine del 2022 in cui verranno specificati e trattati con maggior dettaglio aspetti relativi al recupero del pregresso, alle competenze necessarie per il gruppo di lavoro di digitalizzazione ed esempi concreti di applicazione delle Linee guida.
Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati¶
Le Linee guida 2 hanno l’obiettivo di definire il percorso per costruire piani di gestione dei dati (Data Management Plan) che specifichino come descrivere, analizzare, archiviare, condividere e conservare i dati provenienti dai progetti di digitalizzazione del patrimonio culturale e dalle banche date esistenti. Queste Linee guida comprendono esempi e suggeriscono buone pratiche nel campo dei dati aperti, fornendo spunti fondamentali sugli Open Data (espressi in forma di Frequently Asked Questions, rivolte ad un ampio pubblico) che possono essere utilizzati da parte degli istituti di tutela per strutturare la pubblicazione di dati aperti. Il medesimo documento riporta inoltre i principali riferimenti normativi italiani ed europei che disciplinano l’uso e l’applicazione delle licenze aperte, con particolare attenzione alla pubblicazione dei dati della cultura.
In questa prima versione, l’obiettivo del documento è introdurre la metodologia al fine di una sua concreta sperimentazione sul campo. In seguito, in relazione agli aggiornamenti del PND, saranno definiti gli strumenti operativi per rendere la compilazione dei DMP un metodo sistematico per presentare e accompagnare i progetti di digitalizzazione.
Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale¶
Le Linee guida 3 chiariscono le norme che disciplinano l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale, qui intesi nella loro accezione più ampia. Il documento inquadra il contesto normativo di riferimento, fornendo strumenti operativi (come diagrammi di flusso e tavole sinottiche) che permettono di individuare gli ambiti legislativi corretti, in funzione delle tipologie di bene culturale e delle modalità di riproduzione e acquisizione di immagini e materiali audiovisivi, in relazione alle diverse finalità di utilizzo e ai diritti d’autore eventualmente gravanti sui beni e sulle riproduzioni. L’obiettivo dell’allegato è mettere le istituzioni e gli utenti nelle condizioni di distinguere senza equivoci i limiti e le possibilità di riutilizzo delle riproduzioni rese disponibili in rete dagli istituti.
Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione¶
Partendo dalle diverse tipologie dei beni culturali e dal loro potenziale di valorizzazione, le Linee guida 4 individuano e descrivono le diverse tassonomie e mappature di processi e servizi menzionate nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND), al fine di ordinare i differenti concetti per tipologie “di senso” e orientare il lettore.
Il documento illustra tre ambiti principali, tra loro interrelati: l’individuazione dei prodotti realizzabili e dei servizi erogabili; la definizione dei processi end-to-end; l’analisi dei modelli di gestione applicabili per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. L’obiettivo consiste nel fornire agli istituti culturali una base conoscitiva per comprendere i pro e i contro delle diverse soluzioni adottabili, dacché le scelte devono essere effettuate in funzione del grado di maturità digitale e dopo aver attentamente valutato alcuni aspetti-chiave (es. target utenti e profilazione audience, base dati a disposizione, ecc.).
Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali¶
La capacità di analizzare il proprio livello iniziale di maturità digitale è un’opportunità fondamentale per un istituto culturale, poiché rappresenta la base conoscitiva su cui fondare l’intero progetto di trasformazione digitale. L’impiego di metodologie e strumenti di valutazione della maturità digitale (digital maturity assessment) facilita l’implementazione del processo e consente il monitoraggio dei livelli di attuazione delle misure proposte, permettendo di ottenere dati quantitativi e qualitativi sui gradi di avanzamento e sulla qualità gestionale dei processi di transizione digitale. Il documento illustra i modelli di digital maturity assessment adottabili per gli istituti culturali, evidenziandone le opportunità di applicazione al patrimonio pubblico e proponendo l’utilizzo, a livello nazionale, della metodologia valutativa più appropriata per consentire alle istituzioni di comprendere con chiarezza il proprio livello iniziale e governare più efficacemente i processi di transizione digitale.
Parole chiave¶
I termini che seguono sono stati selezionati dal testo del PND in quanto rappresentano dei concetti chiave necessari per comprendere il contesto culturale e tecnico da cui trae origine il documento. Questa sezione Parole chiave non vuole dunque offrire un “vocabolario” esaustivo o un elenco di definizioni, ma una disambiguazione dei termini e approfondimento dei concetti per aiutare il lettore nella comprensione del significato complessivo del Piano.
- Accessibilità
L’accessibilità è considerata, in generale, come il facile accesso da parte di un numero quanto più ampio di persone, rappresentative della società, a un oggetto, un servizio o un ambiente. In base ai diversi ambiti e contesti di utilizzo la definizione si arricchisce nei significati.
In relazione al contesto culturale, il concetto di accessibilità compare già nell’ Art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, dove si legge: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici” [55]. La cultura, l’arte e la scienza appaiono già in questa definizione come beni necessari per la comunità. L’accessibilità culturale significa dunque garantire pari opportunità di accesso alla cultura tramite l’abbattimento di molteplici barriere, siano esse fisiche, sociali, intellettuali, sensoriali, culturali, economiche o tecnologiche (Da Milano, 2014). Il termine accessibilità, infatti, è profondamente legato al riconoscimento del concetto di barriera e di privilegio, l’uno inteso come qualsiasi tipo di ostacolo che impedisce la completa fruizione di un bene o servizio, e l’altro come qualsiasi rapporto gerarchico fra individui in una società.
In questo senso, i paradigmi espressi nel PND hanno l’obiettivo di superare qualsiasi tipo di barriera, visibile o invisibile, per abbracciare invece il concetto di accessibilità diffusa, ovvero: la fruizione del patrimonio culturale - pubblico e privato - senza dislivelli sociali e marginalità territoriali; il superamento delle barriere linguistiche e del divario scolastico; il coinvolgimento di diverse fasce di pubblico e target generazionali e multiculturali; l’accesso, sia allo spazio fisico che a quello digitale, da parte di persone con esigenze di accesso specifiche [56]; la disponibilità di risorse culturali; l’usabilità e l’accessibilità a lungo termine degli oggetti digitali attraverso l’adozione di nuove strategie di conservazione (approccio cloud); un’adeguata metadatazione attraverso protocolli standard rilasciati in formato aperto.
L’obiettivo è quello di considerare l’accessibilità in ogni forma, così da avviare un cambio di paradigma sia culturale che sociale, attuando i principi espressi nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 [57]. La Convenzione, fondata sul concetto non solo di accessibilità ma anche di inclusività, ha introdotto il concetto di “utenza ampliata” secondo cui è necessario considerare le differenti caratteristiche individuali, dal bambino all’anziano, includendo tra queste anche la molteplicità delle condizioni di disabilità, al fine di trovare soluzioni inclusive valide per tutti e non dedicate esclusivamente alle persone con disabilità (Del Zanna, 2015). Il tema dell’inclusività è stato ripreso anche dall’Agenda ONU 2030, declinato nell’obiettivo numero quattro, ”Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.
- Application Programming Interface (API)
- Un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (API) è un insieme di protocolli, funzioni e/o comandi che i programmatori usano per facilitare l’interazione tra servizi e software distinti; sono dunque interfacce con cui le macchine si relazionano. Le API permettono a un servizio software di accedere ai dati di un altro servizio software senza che lo sviluppatore debba sapere come funziona l’altro servizio. A livello tecnico, esse permettono ad agenti eterogenei di accedere dinamicamente e riutilizzare gli stessi set di dati e flussi di lavoro standardizzati. Attraverso le API i dati possono dunque essere interrogati, estratti, scambiati, arricchiti; integrare e diffondere la conoscenza, invece di limitarsi a catturarla e incapsularla, è l’obiettivo dei moderni sistemi informativi culturali. Questo cambiamento tecnico e intellettuale può essere visto come la «svolta infrastrutturale» nelle Digital Humanities (Tasovac et al., 2015) e della trasformazione digitale.
- Big Data
Si definiscono big data quei dati, siano essi strutturati, semi strutturati e non strutturati, che abbiano almeno una delle seguenti caratteristiche:
- Volume: ovvero un grande volume di dati distribuiti in diversi ambienti che non è possibile raccogliere con tecnologie tradizionali.
- Velocità: si fa riferimento alla velocità con cui molti dati vengono generati, raccolti ed elaborati, con l’obiettivo di analizzare grandi volumi di dati in tempo reale.
- Varietà: Si fa riferimento alle differenti tipologie di dati provenienti da un numero crescente di fonti eterogenee.
Oltre a queste tre caratteristiche fondamentali, i big data si contraddistinguono anche per:
- Veridicità: la qualità e l’integrità dei dati dovrebbe essere sempre garantita. I dati devono essere affidabili nonostante la velocità con la quale vengono raccolti in relazione ad una varietà di fonti diverse.
- Variabilità: si fa riferimento ai diversi formati di dati, ai differenti contesti di provenienza e ai significati mutevoli in relazione al contesto.
- Valore: in base alle diverse metodologie di Big Data Analytics è possibile estrarre valore dai dati, ovvero informazioni consapevoli utili nei diversi domini di appartenenza.
La crescente trasformazione digitale, unita all’evoluzione tecnologica e allo sviluppo della potenza computazionale, stanno plasmando una società cibernetica i cui meccanismi di lavoro sono basati sempre più sulla produzione, l’impiego e lo sfruttamento di grandi volumi di dati (Kaplan, 2015). Grazie al passaggio da un web informativo a un web più profondamente interconnesso, con il conseguente emergere di una grande quantità di dati senza precedenti spesso non strutturati, si stanno trasformando le modalità con cui creiamo, interpretiamo, valorizziamo, gestiamo, analizziamo e visualizziamo le risorse digitali e di conseguenza anche le informazioni e i contenuti inerenti al patrimonio culturale (Rojas, 2017 e Jocker, 2016). Il fenomeno dei big data sta rimodellando i modi in cui le istituzioni della cultura selezionano i materiali da raccogliere, conservare e condividere nell’interesse pubblico e quali futuri vengono creati attraverso queste pratiche di raccolta.
Nel dominio culturale, tuttavia, la nozione di big data è ancora nella sua fase embrionale, e solo negli ultimi anni si è iniziato a indagare, esplorare e sperimentare l’impiego e lo sfruttamento dei big data e a comprendere le possibili forme di collaborazione e di opportunità basate su di essi. L’uso dei big data all’interno dell’ecosistema della cultura può dare gli strumenti per capire alcune tendenze, per cogliere le opportunità di intercettare nuovi pubblici e ottimizzare la pianificazione di progetti facilitando forme di accessibilità. L’analisi di questi dati può prevedere le esigenze future e innovative per la creazione di valore e la partecipazione sociale attiva.
- Cloud
Cloud, letteralmente “nuvola informatica”, è il termine con cui si fa riferimento alla tecnologia che permette di gestire e processare dati in rete. Secondo la definizione fornita dalla National Institute of Standards and Technology, il cloud computing è un modello per abilitare, tramite la rete, l’accesso diffuso, agevole e a richiesta, ad un insieme condiviso e configurabile di risorse di elaborazione (ad esempio reti, server, memoria, applicazioni e servizi) che possono essere acquisite e rilasciate rapidamente e con minimo sforzo di gestione o di interazione con il fornitore di servizi (Grance e Mell, 2011) [58]. Le risorse condivise, elaborate in server cloud situati in un datacenter, sono caratterizzate da rapida scalabilità e dalla misurabilità puntuale dei livelli di performance.
Tale modello cloud è caratterizzato da tre modalità di servizio (SaaS, Software as a Service; PaaS, Platform as a Service; IaaS, Infrastructure as a Service) e quattro modelli di distribuzione (cloud privato, comunitario, pubblico e ibrido).
Dunque, il cloud computing si riferisce a un nuovo paradigma per la fornitura di infrastrutture informatiche e di architettura di sistemi basati su servizi che possono essere alla base dell’ecosistema digitale della cultura (Regalado, 2011). Questa tecnologia comporta lo spostamento della localizzazione di infrastrutture nella rete con l’obiettivo di aumentare la sostenibilità e ridurre i costi per la gestione delle risorse hardware e software, permettendo dunque non solo di accogliere gli oggetti digitali ma di usufruire di servizi per il loro processamento, invocandoli a richiesta in modo scalabile.
In coerenza con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è stata elaborata dal Dipartimento per la trasformazione digitale e dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) la Strategia Cloud Italia [59]. Tale strategia, che ha avviato la migrazione dei dati della Pubblica Amministrazione verso il cloud dei dati nazionale e i servizi digitali, risponde a tre sfide principali: 1. assicurare l’autonomia tecnologica del Paese; 2. garantire il controllo sui dati; 3. aumentare la resilienza dei servizi digitali.
- Co-creazione
Con il termine “co-creazione” si intende un’attività di progettazione partecipativa, in cui rientrano anche la “co-produzione” e il “co-design”. Non vi è una definizione chiara e univoca di tale termine, sia perché è spesso usato in contesti e discipline differenti, sia perché afferisce al concetto di progettazione partecipativa che fa uso di termini interscambiabili o correlati. Alcuni autori hanno identificato la co-creazione come la composizione di co-produzione e co-progettazione, mentre altri hanno indicato la co-creazione come un particolare caso di co-progettazione. (Dudau et al., 2019, Grönroos 2011, Sanders 2008).
Nel contesto del PND, ci si riferisce al processo di co-creazione che si basa sul coinvolgimento attivo degli utenti finali nelle diverse fasi del processo produttivo di un prodotto o servizio. Si tratta di una “cultura partecipativa” (Uricchio, 2004) in cui il processo di diffondere, condividere e mettere in relazione contenuti è reso possibile dall’attuale rivoluzione digitale e diffusione transmediale (video games, Internet, piattaforme mobile, social networks, ecc.), secondo un modello di produzione di contenuti orizzontale e dominato dalle “user generated stories”.
- Conservazione digitale
Archiviazione, preservazione e conservazione degli oggetti digitali sono termini che spesso vengono utilizzati nel linguaggio corrente in modo alternativo, ma nel contesto specifico dei documenti tecnici assumono significati precisi e non coincidenti. I tre termini identificano procedure distinte, ma interconnesse, del ciclo di vita dei dati.
Per archiviazione si intende il processo che consente di immagazzinare dati e metadati su idonei supporti di memorizzazione, che possono essere di varia natura (hard disk, NAS, repository cloud, ecc.) e accessibili mediante strumenti informatici. Si tratta di un processo tecnico di cui occorre valutare le implicazioni pratiche e tecnologiche nei confronti delle future fasi del ciclo di vita della risorsa digitale. I dati da archiviare devono essere preventivamente incapsulati in un pacchetto di archiviazione (noto con la sigla AIP, Archival Information Package) capace di supportare il versioning dei dati e del software, ovvero la gestione di multiple versioni dei medesimi documenti, in genere distinte da un suffisso incrementale.
La conservazione digitale è un termine che assume un diverso significato a seconda del contesto di applicazione. Nell’ambito del patrimonio culturale digitale, essa consiste nell’insieme dei processi e delle attività volte a garantire la permanenza a lungo termine delle informazioni in formato digitale. La conservazione digitale deve garantire la continua accessibilità degli oggetti digitali nel tempo, cercando di evitare i rischi connessi all’obsolescenza degli hardware e dei software, all’incompatibilità dei formati e alla duplicazione dei file. Secondo la definizione dell’Agenzia per l’Italia Digitale, la conservazione è “l’attività volta a proteggere e custodire nel tempo gli archivi di documenti e dati informatici” [60].
Nella lingua inglese è invece più diffuso il termine “digital preservation”, che talvolta viene tradotto in italiano con il corrispettivo “preservazione digitale”: il significato della locuzione è analogo a quello di conservazione digitale (vedi sopra) come dimostrano alcuni casi d’uso concreti, che di fatto pongono “conservazione digitale” e “preservazione digitale” sul piano dei sinonimi (si veda, a tal proposito, il par. 7.7.3 “Preservazione dei dati” delle Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati) [61].
Diverso è il caso della conservazione digitale “a norma” (detta anche “conservazione sostitutiva”), procedura informatica regolamentata dalla legge e volte a garantire, nel tempo, la validità dei documenti informatici (cfr. Art. 44 del CAD, “Requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici”). Questa deve assicurare l’integrità, l’affidabilità, la leggibilità e l’autenticità dei documenti digitali.
- Contesto
- Il contesto, nel campo informatico, è fondamentale per ricavare un dominio di conoscenza. L’elemento minimo del contesto è il dato inteso come un’informazione grezza, spesso costituita o codificata da simboli che devono essere elaborati e contestualizzati. Il dato, quando arricchito di un contesto, diventa informazione. Il contesto viene determinato da diversi altri aspetti, quali, ad esempio, i metadati; quindi un dato può essere visto come informazione o un sistema informativo solo quando inserito in un contesto (Tomasi, 2022). Un dato è un fatto distinto che viene rappresentato in un certo modo e che si verifica sempre con delle precise circostanze che ne determinano il significato. Un dato avulso dal contesto può non essere interpretabile, e diventa informazione attraverso l’elaborazione di più dati che lo collocano in un determinato valore semantico o conoscenza. Il contesto può essere visto come un insieme di variabili i cui valori possono creare dei cambiamenti nella rappresentazione dell’informazione e del significato. Non si può dunque prescindere dal contesto nel quale un’informazione si trova a operare perché composto da relazioni fra entità, da strutture, regole, sintassi e logiche ben determinate. I metadati hanno un ruolo fondamentale nella descrizione dei contenuti e nella determinazione di un contesto; per questo per i dati della cultura, la scelta dei modelli di metadati si collega a un atto di preservazione, interpretazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
- Crowdsourcing
Il neologismo crowdsourcing è stato introdotto nel 2005e significa appaltare un compito (il tradizionale outsourcing) a un gruppo di persone(crowd, folla) attraverso con una “chiamata aperta” di collaborazione a progetti rivolta a chiunque voglia partecipare. Questa pratica collaborativa, oltre a ottimizzare i costi di produzione, crea meno separazione fra chi è un professionista e chi non lo è. In questo quadro sono state sviluppate diverse piattaforme e progetti che hanno permesso di contribuire alla costruzione di contenuti in rete da parte degli stessi utenti e, come nel caso di Wikipedia, in vari ambiti della cultura. Il crowdsourcing rappresenta uno strumento di partecipazione, e può essere un modo per coinvolgere un pubblico più ampio in attività che sono state tradizionalmente appannaggio degli esperti di settore (Van Hyning, 2019). Queste pratiche portano quindi a nuove modalità di interazione e confronto con il patrimonio culturale e creano le possibilità di apprendere e misurarsi in modo diverso da come tradizionalmente si è abituati, coinvolgendo potenzialmente un pubblico più ampio.
Infatti, diversi sono i progetti provenienti dalle Digital Humanities in cui compiti molto complessi, tradizionalmente svolti da studiosi, sono stati affidati a persone non esperte, producendo così un cambio di approccio e di valore ai documenti del patrimonio culturale. Un esempio è Transcribe Bentham [62]_ un progetto sviluppato presso l’University College London (UCL) sui manoscritti del filosofo inglese, per il quale è stata richiesta la collaborazione degli utenti nella correzione delle trascrizioni prodotte attraverso l’ausilio di software HTR (vedi Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale). In progetti di questo tipo le istituzioni sono obbligate a trovare una chiave interpretativa alternativa di fruizione del patrimonio culturale, in cui l’utente diventa protagonista della stessa trasmissione culturale.
- Cultura digitale
- Con il termine cultura digitale si intende il corpus delle conoscenze e competenze di natura digitale fruite attraverso il web, la cui accessibilità è strettamente legata alla pervasività delle nuove tecnologie nella società. La cultura digitale comincia a prendere forma a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, quando negli Stati Uniti si avviano i primi progetti relativi alla rete internet. Il concetto si sviluppa in relazione al diffondersi delle Information and Communication Technologies (ICT), ovvero alla grande capacità di processare dati e informazioni e alla capacità di muovere e relazionare dati e informazioni attraverso la rete. La cultura digitale si caratterizza per tre elementi: partecipazione, digitalizzazione e riuso dell’informazione (Miller, 2020). Basata su rapporti decentrati dove la trasmissione del sapere avviene nella forma della rete, essa appare come un vero e proprio ecosistema, capace di riformulare i saperi del passato e contemporaneamente di proiettarsi nel futuro; una ‘intelligenza collettiva’ che può essere valorizzata grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi media (Lévy, 1996). La cultura digitale è anche connessa alla necessità di preservare l’accessibilità ai diversi formati nel tempo, soprattutto per quelli nativamente digitali, e per questo promuove l’utilizzo di standard nella produzione e archiviazione dei contenuti.
- Data as a Service
- Il Data as a Service (DaaS, “Dati come servizio”) è un modello di fornitura e distribuzione delle informazioni in cui i file di dati (inclusi testo, immagini, suoni e video) sono resi disponibili agli utenti attraverso una rete, tipicamente Internet. Il modello utilizza una tecnologia di base fondata sul cloud computing che supporta servizi web e la SOA (Service Oriented Architecture, “architettura orientata ai servizi”). Le informazioni reperibili mediante un DaaS sono memorizzate nel cloud, e accessibili attraverso diversi dispositivi. Come tutte le tecnologie “as a service” (aaS), DaaS si basa sul concetto per cui il servizio erogato mediante tale tecnologia possa essere fornito all’utente «su richiesta» (Agrawal et al., 2009). L’architettura orientata ai servizi (SOA) e l’uso sempre più diffuso delle API permettono di interrogare direttamente le banche dati, prescindendo dalle piattaforme di presentazione delle informazioni. Esempi comuni di DaaS includono, a titolo esemplificativo, i servizi di georeferenziazione, che forniscono dati geografici agli utenti.
- Dati aperti
I dati o, altri tipi di contenuto connessi a questi, sono aperti se chiunque ha la libertà di usarli, riutilizzarli e ridistribuirli per qualsiasi finalità. A seconda delle licenze con cui i dati vengono pubblicati, possono essere soggetti a requisiti di attribuzione e di condivisione tramite le stesse licenze con cui sono stati originariamente rilasciati. Secondo la Open Knowledge Foundation il concetto di “apertura” si declina secondo i seguenti principi:
- Disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili nel loro insieme e a non più di un costo di riproduzione ragionevole, preferibilmente scaricando su internet. I dati devono anche essere disponibili in una forma conveniente e modificabile.
- Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a condizioni che consentano il riutilizzo e la ridistribuzione, inclusa la commistione con altri set di dati.
- Partecipazione universale: tutti devono essere in grado di usare, riutilizzare e ridistribuire. non ci dovrebbero essere discriminazioni contro campi di attività o contro persone o gruppi.
Per avere una panoramica completa delle regole tecniche e del riutilizzo dei dati aperti nel contesto della pubblica amministrazione, è possibile consultare le Linee guida “Open Data” redatte da Agid [63].
- Digital library
Il termine digital library, utilizzato per la prima volta nel 1987, vanta una molteplicità di definizioni e interpretazioni. La declinazione più usata del termine digital library è legata al dominio delle biblioteche, ma sono comuni anche descrizioni che si riferiscono a progetti dell’intero ecosistema GLAM (Galleries, Libraries, Archives and Museums). Ci sono stati vari tentativi di giungere ad una visione comune. Uno tra questi è stato quello della Digital Library Federation (DLF) nel 1998 (“A working definition of digital library”), secondo cui le digital library sono organizzazioni che forniscono risorse, compreso il personale specializzato, per selezionare, strutturare, offrire accesso, interpretare, distribuire, preservare l’integrità e assicurare la persistenza nel tempo delle collezioni di oggetti digitali, in modo che siano facilmente disponibili per l’uso e fruibili all’esterno da parte di un insieme di comunità.
Questa definizione si è arricchita di nuovi significati con la successiva evoluzione del web e dei cambiamenti tecnologici, dominati dalle relazioni semantiche, dall’interoperabilità e dal riutilizzo delle risorse digitali (Salarelli e Tammaro, 2006).
Nelle varie accezioni, si identifica con digital library il progetto World Digital Library della Library of Congress, le cui collezioni includono varie tipologie di beni traversali all’universo GLAM. In questo contesto si condivide il significato di digital library che si riferisce ad una struttura unica e coerente, in cui le risorse digitali sono messe in relazione fra loro in base all’ambito di appartenenza (biblioteche, archivi, musei), alla tipologia di formati (es. immagini, testo, audio, ecc.) e alla natura degli oggetti digitali (digitali nativi o risultati di campagne di digitalizzazione). Questa declinazione di digital library supera il concetto di “teca digitale”, visto come un aggregatore di risorse, per abbracciare quello di ecosistema governato da relazioni semantiche, cross-disciplinarietà, interscambio e relazioni, sia fra le risorse stesse, sia fra le risorse e gli utenti finali.
In ambito italiano si richiama infine il Nuovo manifesto delle biblioteche digitali redatto nel 2020 dal Gruppo di lavoro sulle biblioteche digitali (GBDIG) dell’Associazione italiana biblioteche [64].
- Digitale nativo
Si dicono digitali nativi i documenti che hanno origine in una forma digitale, in inglese born digital, e non sono una riproduzione di beni analogici. I materiali nativamente digitali sono al centro del dibattito odierno sia per la raccolta e la gestione ma anche per le problematiche che sussistono ad archiviare tale materiale in relazione all’obsolescenza di hardware e software e alla mole dei documenti che viene prodotta, in costante aumento. La definizione di un oggetto born digital include diverse tipologie di documenti digitali e di archivi, che possono essere sia archivi personali sia di istituzioni della cultura (Jaillant, 2022). Gli archivi nativamente digitali comprendono una varia tipologia di materiali che includono siti web, documenti informatici, fotografie, interviste audio, video creativi o di documentazione, informazioni di eventi, materiale di riproduzioni digitali pregresse, copie di siti e di social network, ecc. Un esempio di archivio di documenti digitali di scrittori contemporanei in Italia è PAD (Pavia Archivi Digitali) (Weston e Carbé, 2015).
Seppur l’Italia figura tra i Paesi europei che ancora non hanno regolamentato il deposito legale delle risorse native digitali e il Web archiving, il progetto “Magazzini Digitali”, avviato nel 2006 dalla Fondazione Rinascimento Digitale, dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, a cui successivamente si è aggiunta la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, è un primo tentativo di mettere a regime un sistema per la conservazione permanente di oggetti nativamente digitali e diffusi tramite rete informatica, in attuazione della normativa sul deposito legale (L. 106/2004, D.P.R. 252/2006), che estende l’obbligo del deposito legale anche al digitale. Questo servizio affronta la conservazione nel lungo periodo distinta su più livelli: vitalità (un salvataggio affidabile dei dati); traducibilità (i formati di oggi devono essere interpretabili anche da un elaboratore di domani); autenticità (considerare metadati specifici per assicurare identità e integrità delle risorse); fruibilità (considerare metadati specifici per garantire l’accesso nel lungo periodo) [65].
- Ecosistema digitale
Il termine ecosistema ha diversi significati a seconda delle declinazioni d’uso. Si parla di ecosistema naturale in riferimento ad una comunità che svolge interazioni, flussi e scambi in un equilibrio dinamico e che si evolve continuamente nel contesto circostante. Tale termine è spesso usato anche nella sua declinazione “digitale”, per descrivere un fenomeno che si è avviato con le prime campagne di digitalizzazione e che è esploso con lo sviluppo del web 2.0, la diffusione di dispositivi mobile e la cross-medialità (Marinelli, 2020). Come in natura, anche nell’ecosistema digitale si creano “ambienti” complessi in cui entità diverse tra loro per origine, struttura, funzionamento e scopo, risultano interdipendenti all’interno di una infrastruttura (organizzativa, logica o semantica). Caratteristiche predominanti dell’ecosistema digitale sono (Rosati, 2010):
- Le relazioni: all’interno di un ecosistema non è possibile concepire nessun item come entità a sé stante, ma come parte di un ambiente in cui ciascun elemento intrattiene molteplici rapporti con tutti gli altri e con l’utente.
- Gli utenti: essi sono parte dell’ecosistema e contribuiscono attivamente alla sua costruzione o ri-mediazione. L’utente (sia esso autore, fruitore, produttore e/o consumatore), partecipa attivamente al processo produttivo stabilendo nuove relazioni fra items/contenuti (aggregatori, social network, ecc.), suggerendo nuove proposte e collaborando al processo di produzione (wiki, blog, community, ecc.).
- L’architettura: essa è dinamica, aperta ed estendibile. Da un lato aggrega (o ri-aggrega) contenuti che fisicamente risiedono altrove e che sono stati concepiti in modo indipendente. Dall’altro, il ruolo attivo degli utenti-intermediari rende tale architettura continuamente in divenire, aperta a continue manipolazioni non prevedibili.
- L’ibridazione: l’ecosistema accoglie differenti domini (fisico, digitale, misto), entità (informazioni, oggetti, persone) e media.
- La dimensione orizzontale: in queste architetture, la dimensione orizzontale – ovvero la correlazione fra elementi - prevale su quella verticale, che invece fa riferimento alla subordinazione gerarchica fra gli oggetti propria delle tassonomie tradizionali. All’interno di questa struttura, aperta e mobile, i modelli gerarchici lasciano spazio alla correlazione spontanea, estemporanea e multidimensionale degli utenti-intermediari.
- Il design dei processi: la progettazione non è più incentrata sul singolo elemento (contenuti, prodotti, servizi) ma sulla rete degli elementi.
All’interno dell’ecosistema digitale cambia il modo in cui le risorse culturali vengono create, cercate, trovate, analizzate ed elaborate, risultando sempre più disponibili in modalità “diffusa” e partecipata. In questo scenario qualunque artefatto culturale (prodotto, informazione, servizio) si muove all’interno di un sistema complesso in cui ogni elemento intrattiene fitte relazioni con altri elementi del sistema, e come tale è concepito e fruito, trasformando l’esperienza di fruizione finale.
- Edutainment
- Il termine edutainment, coniato nel 1973 dal documentarista Bob Heyman, è un lemma composto dalla crasi di due sostantivi: education, che si riferisce alla fase educativa e di apprendimento, ed entertainment, che connota invece il carattere di divertimento e di svago (Cervellini et al., 2011). Questo approccio è stato inizialmente utilizzato come formula classica nella produzione di video-game educativi che si basano sulle teorie dell’apprendimento. Il termine è stato in seguito declinato nell’ambiente dell’educazione e considerato come un ramo dell’e-learning che consente di apprendere nozioni scolastiche ed extrascolastiche in modo ludico, attraverso contenuti formativi multimediali resi disponibili attraverso supporti informatici (Valentino et al., 2004). Nel corso dei decenni, per la duttilità che questo termine ha in numerosi contesti d’utilizzo, vi sono state associate molteplici altre definizioni: a un primo accostamento al settore dell’educazione scolastica è seguita l’estensione a ogni forma di intrattenimento che abbia al contempo lo scopo di far acquisire conoscenza. Attualmente, l’edutainment si riferisce a tutte le attività volte a integrare due obbiettivi della comunicazione culturale, quali “apprendimento” e “divertimento” (Ippoliti et al., 2011, p.49), tra cui il patrimonio culturale. Diverse istituzioni museali e luoghi della cultura hanno adottato il tema dell’edutainment quale forma di intrattenimento ed educazione, con l’obiettivo di promuovere una diversa modalità di partecipazione basata sull’economia dell’esperienza, e stimolare la fruizione da parte di pubblici eterogenei per età e formazione.
- Infosfera
Col termine infosfera (composto da “informazione” e “sfera”), nella filosofia dell’informazione, si intende la globalità dello spazio delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso; l’habitat finale per la mente umana, generato dalle tecnologie digitali, in cui gli utenti si trovano immersi e condizionati dalle logiche di influenza degli algoritmi di funzionamento. Pertanto, essa include sia il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali) sia i mass media classici (Amicucci 2021, Peyron 2019).
Il filosofo etico Luciano Floridi ha definito l’infosfera come «lo spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni», dove per «documenti» si intende qualsiasi tipo di dato, informazione e conoscenza, codificata e attuata in qualsiasi formato semiotico; per «agenti», qualsiasi sistema in grado di interagire con un documento indipendente (ad esempio una persona, un’organizzazione o un robot software sul web); per «operazioni» qualsiasi tipo di azione, interazione e trasformazione che può essere eseguita da un agente e che può essere presentata in un documento (Floridi 2017, Floridi 2020).
Secondo il filosofo Maurizio Ferraris l’infosfera è uno spazio di pura informazione, ma questa non è che la minima parte di ciò che ci circonda; l’infosfera poggia su una “docusfera”, ossia su documenti che registrano le azioni umane senza necessariamente portare informazioni, e quest’ultima a sua volta poggia su una biosfera, ossia sul mondo della vita (Ferraris, 2021). Secondo questa visione, quella che noi concepivamo come infosfera è in realtà una docusfera, cioè un gigantesco oceano fatto di documenti e questi documenti sono l’accumulo di tutti gli atti dell’umanità depositati nel web. La sfida che ci aspetta nell’attuale processo di trasformazione digitale dei beni culturali non sarà l’innovazione tecnologica ma la gestione della complessità, la governance del digitale.
- Knowledge as a Service
- Con Knowledge as a Service (KaaS, “conoscenza come servizio”) si indica un servizio informatico che fornisce agli utenti informazioni organizzate da uno o più combinazioni di modelli di conoscenza. Assieme a Data/Software/Infrastructure as as Service (D/S/Iass) fa parte dei principali modelli di cloud computing (Chrysikos e Ward, 2014). Termine recentemente entrato nell’uso degli addetti ai lavori, un KaaS si differenzia in modo sostanziale da un DaaS: mentre quest’ultimo è volto principalmente a fornire dati, un Kaas mette a disposizione “conoscenza”, intesa come una rete di relazioni di dati e informazioni riguardo a un ambito di conoscenza oggetto di interesse dell’utente (18th International Semantic Web Conference). Per mezzo di un sistema Knowledge as si può accedere, mediante uno specifico servizio erogato tramite internet, a elementi di conoscenza strutturata sotto forma di grafi di conoscenza (knowledge graphs). In questo modo, un KaaS è in grado di trarre informazioni dal contesto relativo sia all’utente, sia all’informazione richiesta dall’utente stesso: sfruttando le potenzialità del web semantico, questa nuova forma di servizio si configura come un processo di conoscenza dinamico e interrelato.
- Licenza d’uso
- La licenza d’uso è un contratto, redatto in genere in forma elettronica, con il quale un autore concede ad altri la “la facoltà di utilizzo di un’opera o di altri materiali protetti” (Orlandi et al., 2021); in un contratto di licenza i diritti, quindi, non vengono ceduti ma rimango del titolare che stabilisce le modalità di utilizzo dei contenuti licenziati. Le licenze si dicono “aperte” quando consentono permetta l’utilizzo dei contenuti da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato. Alcuni esempi di licenze aperte standard sono: Creative Commons (CC), Open Government Licence (OGL), Open Data Commons (ODC), Italian Open Data License (IODL).
- Machine-to-machine
- L’espressione machine-to-machine è nata in campo industriale per definire processi di controllo in cui le macchine aiutano a gestire le attrezzature. In informatica, si intende una tecnologia che collega dispositivi in rete per scambiare informazioni, per eseguire azioni automaticamente o fornire servizi (Verma et al., 2016).
- Maturità digitale
- La maturità digitale (digital maturity) è definita come la capacità di un’istituzione di utilizzare, gestire, creare e comprendere il digitale, in modo contestuale (adatto al proprio ambiente e alle proprie esigenze specifiche), olistico (che coinvolge la visione, la leadership, il processo, la cultura e l’organizzazione) e propositivo (costantemente allineato alla missione dell’istituzione) (Finnis, 2020). Nel caso specifico degli istituti culturali, la valutazione del grado di maturità digitale (maturity assessment) consente di comprendere e misurare la propria capacità digitale, stabilendo delle strategie e dei piani di miglioramento in funzione degli obiettivi di trasformazione digitale.
- Metadati
I metadati sono informazioni strutturate che descrivono dati o insiemi di dati. Indistricabilmente legati e necessari per la corretta gestione del ciclo di vista di una risorsa digitale, i metadati sono in genere sviluppati per mezzo di pratiche e metodologie di comunità scientifiche di specifici domini di conoscenza, e fanno ampio uso di standard nazionali e internazionali, schemi e vocabolari controllati specifici per ciascun ambito del sapere (Tomasi, 2010).
Vengono spesso definiti come dati che descrivono altri dati, o come insiemi di dati associati a un determinato documento informatico che permettono di identificarlo, di descriverne il contenuto e il contesto, garantendone la sostenibilità nel tempo. I metadati sono informazioni che descrivono, spiegano e rappresentano i dati facilitandone l’uso, la gestione e il recupero. Esistono diverse tipologie di metadati che appartengono a fasi diverse di produzione, gestione e pubblicazione dei dati. I file di metadati possono essere esterni o interni agli oggetti digitali. Descrivere una risorsa attraverso i metadati ne permette la comprensione da parte di persone e macchine in modo da facilitare e promuovere l’interoperabilità. A seconda della tipologia di informazione veicolata, i metadati sono distinti in diverse categorie: metadati descrittivi, gestionali, amministratici, tecnici, di conservazione, sui diritti, strutturali.
- Modelli
Il termine modello può assumere diversi significati a seconda del contesto. I modelli possono essere: le strutture con cui si rappresentano e si formalizzano, nell’ambiente digitale, gli oggetti del patrimonio culturale nella loro riproduzione dall’analogico; il modo in cui vengono ridisegnati nella struttura di un sistema più ampio delle tecnologie che lo accompagnano nella realizzazione; i modelli di fruizione che vengono offerti all’utente per coinvolgerli e catturarne l’attenzione; i modelli gestionali del lavoro che richiedono competenze trasversali e ibride (Faioli, 2018). Dunque, il concetto di modello può essere declinato non soltanto per ciò che pertiene il digitale, l’aspetto informatico o di scienze dell’informazione, ma anche per quanto concerne l’organizzazione del lavoro, la formazione, l’organizzazione della conoscenza e dei servizi creati agli utenti.
Nelle Digital Humanities il concetto di modellizzazione rappresenta una delle attività principali e può essere inteso come un processo creativo e di formalizzazione di un ragionamento o di rappresentazione di un dominio di interesse (McCarty, 2005 – Flanders e Jannidis, 2015). Il modello concettuale permette l’interpretazione e la restituzione della conoscenza (Ciula et al., 2018). Questo modello, che precede generalmente il modello dei dati, si basa sempre su un’interpretazione di cui dovrebbe farsi carico un esperto di dominio e su cui si instaurano le fondamenta di un quadro metodologico ampio, costituito dai campi disciplinari molto diversi.
Nel campo informatico, i modelli includono diverse attività di architettura del software (ma anche dell’hardware), il modo di organizzazione delle informazioni e di disegni di sistemi. Possiamo includere a questa panoramica generale: la modellizzazione dei dati, di scenari, orientata verso il flusso dei dati o approcci che riguardano l’architettura software (applicazioni, infrastruttura di rete, gestione dei dati, ecc.).
- Open Access
- L’Open Access (“accesso aperto”) si afferma come movimento, con una sua definizione e una programmazione di attività, a partire dal 2001 con la Conferenza di Budapest organizzata dall’Open Society Institute (OSI), seguita nel 2002 dalla Budapest Open Access Initiative (BOAI), che ne segna l’atto di nascita ufficiale. La dichiarazione conclusiva dell’incontro contiene una prima definizione di contributo ad accesso aperto e l’individuazione delle due vie principali dell’Open Access (“green” e “gold” Open Access). Per «accesso aperto» si intende la disponibilità libera su Internet, con rete pubblica, permettendo a qualsiasi utente di leggere, scaricare, copiare, distribuire, stampare, cercare o collegare i testi completi di questi articoli, strisciarli per l’indicizzazione, passarli come dati al software o usarli per qualsiasi altro scopo legale, senza barriere finanziarie, legali o tecniche diverse da quelle inseparabili dall’accesso a Internet stesso (Orlandi et al., 2021). L’unico vincolo alla riproduzione e alla distribuzione, e l’unico ruolo del copyright in questo campo, dovrebbe essere quello di dare agli autori il controllo dell’integrità del loro lavoro e il diritto di essere adeguatamente riconosciuti e citati.
- Paesaggio culturale
Il termine paesaggio culturale identifica un sistema di valori connotato dalla relazione fra beni culturali, cittadini/comunità e contesti fisici/virtuali. Il campo determinato da tali relazioni consente di superare lo storico isolamento degli oggetti culturali nelle istituzioni di conservazione, per intercettare nuovi pubblici e promuovere nuovi significati, anche di natura sociale.
L’ordinamento italiano ha storicamente ben definito la natura individuale dei beni: antichità, monumenti, belle arti, cose, bellezze naturali, ecc. (Parpagliolo L., 1913). L’attenzione riservata alle istituzioni destinate a contenerle e/o a tutelarle è sempre stata relativamente secondaria; basti pensare alla faticosa gestazione di una nozione standardizzata di museo, che in parte trova un punto di arrivo nella costituzione del Sistema museale nazionale, ed alla attenzione posta al tema dei rapporti tra museo e territorio [66]. Dalla Convenzione di Faro (2005) in poi (Gualdani A., 2020), l’interesse delle istituzioni internazionali è ulteriormente slittato verso i contesti, mettendo in luce la natura fluida e negoziale (su base “comunitaria”) delle azioni formali deputate ad intercettare i processi di patrimonializzazione. ICOM, nel 2014, con la Carta di Siena (perfezionata a Cagliari nel 2016), ha tentato d’interpretare l’impianto di Faro, mediandone l’impatto con la “tradizione” italiana.
- Patrimonio culturale digitale
Per Patrimonio culturale digitale si intende l’insieme di oggetti digitali prodotti dalla modellizzazione di dati informativi o dalla organizzazione di contenuti nativamente digitali, per conseguire obiettivi più avanzati di conoscenza, attraverso lo sviluppo del potenziale relazionale che ne connota la disseminazione. La disponibilità di tali oggetti nell’ambito di un ecosistema che li valorizzi, insieme all’uso o il riuso degli stessi in forma creativa, contribuiscono alla formazione, al pari dei beni materiali e immateriali, del patrimonio culturale (Bertini et al., 2020).
I dati grezzi e le riproduzioni digitali non costituiscono di per sé elementi di valore culturale, se non latamente. Essi lo diventano solo attraverso una forma elaborata e organizzata, quella degli oggetti digitali, in grado d’interagire con altre simili e di produrre nella relazione elementi connotativi patrimoniali, ritenutati rilevanti e quindi selezionati dal punto di vista culturale e sociale. Rispetto alla patrimonializzazione dei beni tradizionali, imperniata sul riconoscimento formale da parte di istituzioni, la patrimonializzazione degli oggetti digitali, derivando dalle relazioni e non dalle cose, trae la sua legittimazione dalla capacità d’interpretare una qualità o un bisogno di senso non episodico o puntuale, ma radicato in un’esperienza di conoscenza, da parte di una comunità, più strutturale e identitaria.
- Piattaforma
- Una piattaforma è qualsiasi sistema hardware e software utilizzato per ospitare applicazioni o servizi e serve come base per lo sviluppo o la gestione di altre applicazioni, processi o tecnologie. Le piattaforme possono essere distinte a seconda della loro funzionalità, e dell’obiettivo e dei servizi per cui sono state realizzate. Possono avere diversi sistemi operativi e software sviluppati ad hoc, oppure utilizzare software multi-piattaforma. Inoltre possono essere dotate di diverse interfacce sia per l’esposizione dei dati sia per l’interscambio con altre piattaforme.
- Processo di patrimonializzazione
Per processo di patrimonializzazione si identifica l’insieme delle azioni, promosse su istanze sociali di tipo culturale, tecnico-scientifico e giuridico-amministrativo, attraverso le quali un qualsiasi oggetto, materiale, immateriale o digitale, viene considerato degno di sopravvivere al deperimento naturale per essere conservato nel tempo come testimonianza di civiltà.
La patrimonializzazione è un processo intenzionale che interessa, fin dalle origini, oggetti destinati a perdere gli originari attributi funzionali per assumere uno statuto nuovo, all’interno del perimetro definito dal valore culturale (Hartog, 2021, Fabre, 2013). La patrimonializzazione in realtà non è irreversibile: un bene così come è entrato a far parte del patrimonio, può uscirne per i più vari motivi. Lo studio dei percorsi d’inclusione e di esclusione toccano ambiti diversi, fra i quali quelli del potere simbolico, dei paradigmi culturali, delle istituzioni, della gestione/destinazione delle risorse, della partecipazione/mobilitazione delle comunità, dell’efficacia della tutela e della conservazione (Balzani, 2007).
- Processo end-to-end
- Il concetto di end-to-end fa riferimento a una logica secondo cui si analizzano i processi dall’inizio fino alla loro conclusione, in maniera trasversale rispetto all’assetto organizzativo dell’azienda, superando così la frammentazione in “silos” creata dell’organizzazione per funzioni.
- Relazione
- L’ambiente digitale, e in particolare il web, sono il luogo in cui si manifesta un ecosistema basato su molteplici relazioni e scambi di dati, di reti, utenti e risorse digitali interconnesse “tanto eterogenee quanto ramificate” (Tomasi, 2022). Le tecnologie e gli standard del web attuale hanno contribuito a creare nuove forme di rappresentazione delle informazioni e dei documenti storici (siano essi analogici o nativamente digitali), offrendo la capacità di avere più espressività degli oggetti digitali e di mettere in relazione sempre diversa le informazioni. L’utente, interagendo, manipolando e associando secondo un proprio criterio le risorse digitali, ne ridefinisce il contesto, che appare così arricchito da nuove prospettive di senso e stratificazione di significati. Questo insieme di relazioni sta così cambiando sia la produzione e fruizione del patrimonio culturale, sia l’accesso alle informazioni, sempre più accessibili nello spazio digitale.
- Risorsa digitale
- Le risorse digitali possono essere definite come materiali che sono stati concepiti e creati digitalmente, oppure ottenuti convertendo materiali analogici in un formato digitale. Quando si parla di risorsa digitale semantica, si tratta di un processo in cui alcune entità (documenti, contenuti web, servizi) sono ritracciabili o ricercati con caratteristica specifica del loro significato in un certo dominio della conoscenza umana (Tomasi, 2022).
- Servizi
I servizi rappresentano attività svolte indirettamente attraverso beni economici, allo scopo di soddisfare bisogni, e sono generalmente definiti come «beni immateriali e istantanei che si possono consumare in presenza del cliente, da cui sono fisicamente inseparabili» (Dizionario di Economia e Finanza, 2012). I servizi, intesi come output di una attività, possono essere definiti quindi come «una prestazione o un complesso di prestazioni realizzate, di natura più o meno intangibile che normalmente, ma non necessariamente, hanno luogo nell’interazione tra il cliente e fornitore del servizio» (Zuffada, 2011). In particolare, le principali caratteristiche che distinguono i servizi dai prodotti sono:
- Intangibilità e immaterialità dell’output.
- Congiunzione spazio-temporale dei processi di produzione e di consumo.
- Non trasferibilità nel tempo e nello spazio.
- Partecipazione degli utenti.
- Eterogeneità.
- Impossibilità di essere tenuti in magazzino.
Il termine “servizi” viene utilizzato nel PND in vari contesti e può assumere significati molto diversi. Possono essere individuate categorie che delineano delle caratteristiche comuni a seconda della funzionalità e del contesto digitale.
In campo informatico, un servizio può essere considerato come un componente hardware, software o architetturale. Questi possono dunque rispondere a diverse esigenze come operazioni di back-end, di esposizione dei dati (come ad esempio API), o di creazione di applicazioni per l’utente: dalle piattaforme di crowdsourcing al servizio di prenotazione dei biglietti, ecc.
- Silos di dati
- Con l’espressione silos di dati si intende una componente isolata di un sistema informativo che non condivide i dati, le informazioni e/o i processi con le altre componenti del sistema. I componenti di un’architettura a silos (o monolitica) sono integrati in un blocco compatto di codice, per cui la modifica anche di un solo componente può incidere sull’intera infrastruttura di base. Questo comporta problemi di manutenibilità e sostenibilità: ogni aggiornamento appesantisce la base del codice e un singolo componente dipende molto spesso dall’intera applicazione; un altro problema legato alla poca flessibilità della gestione dei dati è, ad esempio, il malfunzionamento o la scarsa performance di un solo componente che può mettere a rischio il funzionamento di tutto il sistema applicativo. Un silos di dati si verifica ogni volta che un sistema di dati è incompatibile o poco integrato con altri sistemi di dati. Questa incompatibilità può verificarsi a tre livelli architetturali: tecnico, applicativo, dei dati in sé. È già stato dimostrato che le scelte alla base della modellazione sono la causa principale dei problemi di integrazione tra dati e, di conseguenza, la maggior parte dei sistemi di gestione sono incompatibili tra loro a partire dallo strato di base, quello della architettura dei dati stessi (O’Neill e Stapleton, 2022). I silos impediscono la condivisione dei dati, la possibilità di accederne e di riutilizzarli scoraggiando così il lavoro collaborativo e le incongruenze.
- Sistema federato
- Per sistema federato ci si riferisce a un tipo di sistema di gestione di basi di dati che integra più database autonomi preesistenti, che possono essere geograficamente decentrati e conservati in DBMS (Database Management System) eterogenei, in un unico sistema. Alla base del sistema federato (multi-database) vi è un server in grado di ricevere richieste di query e distribuirle ad origini dati remote (Atzeni et. al, 2002). Le tecniche per la gestione di basi di dati federate devono tenere conto delle eterogeneità di sistemi e applicazioni, consentendo uno scambio dei dati che superi le differenze di rappresentazione dei vari sistemi e permetta una opportuna integrazione, conversione e riconciliazione dei dati fra un’applicazione e l’altra. Un database federato può essere ad accoppiamento libero, che richiede quindi l’accesso ad altri componenti del database, ad accoppiamento stretto, che utilizza processi indipendenti per lavorare in un sistema federato, o un database blockchain, che gestisce le transizioni finanziarie e di altro tipo (Heimbigner et al., 1985).
- Smart Contract
- Un “contratto intelligente” è un accordo tra due persone o entità sotto forma di codice informatico programmato per essere eseguito automaticamente. L’idea è stata proposta nel 1996 da Nick Szabo, un pioniere della crittografia, che ha definito lo smart contract come un insieme di contratti virtuali con protocolli associati per farli rispettare (Mohanta et al., 2018). Il protocollo Bitcoin, che sostanzialmente registra la prova di un pagamento, può essere visto come una versione primitiva di smart contract. Questi sono eseguiti su tecnologie blockchain, il che significa che i termini sono memorizzati in un database distribuito e non possono essere modificati.
- Teca digitale
- Con termine teca digitale si indica un sistema in grado di acquisire, organizzare e archiviare risorse digitali multimediali e i relativi metadati gestionali. Viene spesso associata alle piattaforme di pubblicazione di collezioni di risorse digitali, e per questo viene ambiguamente associata all’idea di digital library. Molti istituti che conservano il patrimonio culturale si sono dotati negli anni di una teca digitale per archiviare oggetti digitali e per permettere la fruizione del loro patrimonio digitalizzato.
- Trasformazione digitale
- In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni (Calveri et al., 2021). La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è quindi un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, ecc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento.
- User-Centered Design
- Con User-centered design, in italiano progettazione centrata sulle persone o design antropocentrico, si fa riferimento ad un metodo progettuale iterativo che pone al centro del progetto una o più tipologie di persone, definite personas, individuate come fruitrici principali di un prodotto digitale (applicazioni e siti web o mobile, software, ecc.). Il termine è stato proposto dagli studiosi Norman e Draper nel 1986 e si basa sull’assunzione per cui, se i progettisti terranno in considerazione le caratteristiche, le abitudini, le preferenze e il comportamento degli utenti, saranno in grado di progettare sistemi più semplici da usare. Secondo la definizione ufficiale fornita dall’Organizzazione Internazionale per la Normazione con la norma ISO 9241-210 del 2019 (processo per la progettazione di sistemi interattivi utilizzabli), che segue lo standard ISO 13407 sulla progettazione orientata all’utente di sistemi interattivi, questo approccio alla progettazione prevede quattro fasi di sviluppo, quali: 1. capire e specificare il contesto d’uso; 2. definire l’utente e le sue esigenze; 3. proporre soluzioni progettuali; 4. valutare le soluzioni da un punto di vista tecnico-funzionale e della user experience.
- User journey
- Lo User journey, in italiano “percorso dell’utente”, è una tecnica utilizzata in particolare nei modelli di business e di marketing per conoscere e riprogettare l’esperienza dell’utente con un particolare brand, prodotto o servizio, soprattutto nell’analisi dei processi di acquisto. Si considera e analizza l’intero percorso dell’interazione: da quando viene a conoscenza di un determinato oggetto digitale alle esperienze che può avere (Kokins et al., 2021). L’attenzione non è posta sulle transazioni, ma su come l’utente si sente dopo aver interagito con quel particolare oggetto. Dunque, lo user journey documenta l’intera esperienza di un utente per costruire e garantire la fruizione del prodotto digitale (che sarà dinamico e cambierà a seconda dell’utente).
[55] | Per la dichiarazione universale dei diritti umani cfr. https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/DICHIARAZIONE_diritti_umani_4lingue.pdf; per la convenzione ONU cfr. https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2016/07/c_01_convenzione_onu_ita.pdf |
[56] | Come ad esempio utenti con disabilità fisiche, cognitive o sensoriali. In merito all’accessibilità fisica in Italia sono stati emanati numerosi decreti e leggi, come il D.P.R. 384/1978, la Legge 41/1986, il D.L. 371/1987, la Legge Quadro 13/1989, il D.M. 236/1989, la Legge Quadro 104/1992, il D.P.R. 380/2001, il D.Lgs. 156/2006, infine anche le Linee Guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale, pubblicate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2008 (MiBAC, 2008), e le Linee guida per la redazione del Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (P.E.B.A) nei musei, complessi museali, aree e parchi archeologici, pubblicate nel 2018 dalla Direzione Generali Musei. In merito alle disabilità sensoriali e rimozione delle barriere comunicative, in Italia è stata approvata la Legge 136/2021. Di recente redazione è anche la Legge delega sulla disabilità 227/2021 che ha “L’obiettivo principale di modificare la legislazione sulle disabilità e promuovere la deistituzionalizzazione (vale a dire il trasferimento dalle istituzioni pubbliche o private alla famiglia o alle case della comunità) e l’autonomia delle persone con disabilità”. |
[57] | Per quanto riguarda le regole tecniche cfr.»Linee Guida sull’Accessibilità degli strumenti informatici» redatte da Agid nel 2020, che indirizzano la Pubblica Amministrazione all’erogazione di servizi accessibili ed informazioni fruibili, https://www.agid.gov.it/it/design-servizi/accessibilita |
[58] | Per la definizione di cloud computing fornita dalla National Institute of Standards and Technology si veda https://nvlpubs.nist.gov/nistpubs/legacy/sp/nistspecialpublication800-145.pdf. |
[59] | Per un approfondimento sulla strategia cloud nazionale si rimanda a quanto pubblicato dal Dipartimento per la trasformazione digitale: https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/strategia-cloud-italia/. |
[60] | https://www.agid.gov.it/it/piattaforme/conservazione |
[61] | https://bibliotecadigitale.cab.unipd.it/biblioteca-digitale/archivi-istituzionali/digital-preservation-preservazione-digitale |
[62] | http://transcribe-bentham.ucl.ac.uk/td/Transcribe_Bentham |
[63] | Linee Guida recanti regole tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e s.m.i. relativo all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico. Le linee guida in consultazione fino al 17 luglio 2022: https://docs.italia.it/AgID/documenti-in-consultazione/lg-opendata-docs/it/bozza/index.html. Per aggiornamenti le pagine delle Linee guida Agid: https://www.agid.gov.it/it/argomenti/linee-guida. |
[64] | https://www.aib.it/struttura/commissioni-e-gruppi/gruppo-di-lavoro-biblioteche-digitali/2020/82764-nuovo-manifesto-per-le-biblioteche-digitali/ |
[65] | Un approfondimento sul progetto ”Magazzini Digitali” è disponibile al seguente indirizzo: https://www.bncf.firenze.sbn.it/biblioteca/magazzini-digitali/ |
[66] | Decreto ministeriale 21 febbraio 2018, rep. 113 “Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale”, ed in particolare l’allegato “Livelli uniformi di qualità per i musei”, Ambito III” Comunicazione e rapporti con il territorio”; documentazione disponibile all’indirizzo internet http://musei.beniculturali.it/progetti/sistema-museale-nazionale. |
Bibliografia¶
Di seguito sono riportati i principali riferimenti bibliografici che hanno sostenuto la scrittura del PND; non sono pertanto esaustivi delle tematiche trattate né rappresentativi di tutti i punti di vista esistenti sulle materie prese in esame. Ulteriore bibliografia specifica è contenuta in appendice nelle diverse Linee guida. Tutti i link sono stati consultati alla data del 28/06/2022.
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Riferimenti normativi essenziali¶
Di seguito sono elencati i riferimenti normativi essenziali da cui discendono i contenuti del PND, necessari quindi per comprendere i contenuti trattati nel documento.
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Legge del 28 febbraio 1986, n. 41, Art. 32 - “superamento delle barriere architettoniche”.
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Crediti¶
Il presente documento è stato redatto dall’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library, nell’ambito di tavoli tecnici composti da rappresentanti degli istituti e degli uffici centrali e periferici del Ministero della cultura. Nello specifico hanno contribuito:
Diego Aprea, Martina Bagnoli, Francesco Baldi, Stefania Baldinotti, Alessandra Barbuto, Luca Bellingeri, Stefano Benedetto, Angela Benintende, Carlo Birrozzi, Valeria Boi, Simonetta Buttò, Vassili Casula, Laura Ciancio, Alessandro Coco, Valentina Conticelli, Alfredo Corrao, Chiara Cundari, Fabio De Chirico, Martina De Luca, Andrea De Pasquale, Grazia De Rubeis, Eva Degl’Innocenti, Maria Luisa Desiderio, Fabio Fichera, Emanuela Fiorletta, Monica Grossi, Egidio Incelli, Luigi La Rocca, Costantino Landino, Fabrizio Laria, Anna Lucarelli, Maria Letizia Mancinelli, Tiziana Mancinelli, Claudio Maurizi, Sabrina Mingarelli, Mirco Modolo, Paola Musollino, Oscar Nalesini, Maria Teresa Natale, Antonella Negri, Pasquale Orsini, Roberto Palermo, Guglielmo Papi, Giovanni Pescarmona, Ivano Pescosolido, Stefania Piersanti, Stefano Pilato, Federica Pitzalis, Elisabetta Reale, Enrico Rinaldi, Valentina Rossetti, Marco Scarbaci, Michela Sediari, Lino Traini, Silvia Trani, Chiara Veninata, Leandro Ventura, Stefano Vitali, Gabriel Zuchtriegel.
In fase di consultazione pubblica hanno contributo con note aperte, commenti e osservazioni:
AIB – Associazione Italiana Biblioteche
AIUCD – Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale
ANAI – Associazione Nazionale Archivistica Italiana
Alma Mater Studiorum Università di Bologna (BUB - Biblioteca Universitaria di Bologna; Archivio storico dell’Università, SMA - Sistema Museale di Ateneo, SBA – Sistema Bibliotecario di Ateneo, DHDK - Dipartimento di Digital Humanities Digital Knowledge, DHARC – Digital Humanities Advanced Research Center)
Consiglio Superiore Beni culturali e paesaggistici
Coordinamento istituti culturali del Piemonte
FCdA - Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia
ICOM – International Council of Museums, Italia
Rete Ecomusei di Lombardia
Wikimedia Italia
Si ringraziano inoltre tutti coloro che hanno partecipato alla consultazione pubblica dando il loro contributo attraverso il questionario anonimo proposto.
Coordinamento: Laura Moro