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Documenti pubblici, digitali.

3.2 Tipologie d’uso delle riproduzioni di beni culturali

Il paragrafo si concentra sulle possibili forme di riutilizzo delle riproduzioni fedeli (R1) dei beni culturali pubblici in pubblico dominio (B1). Acquisizione e riuso sono ambiti distinti, ma nello stesso tempo strettamente legati tra loro, perché l’acquisizione di una riproduzione è sempre funzionale a una intenzione di riutilizzo da parte dell’utente.

Di seguito sono elencate le principali finalità di Utilizzo delle immagini di beni culturali pubblici in pubblico dominio (U1-U11) disciplinate in base al Codice dei beni culturali.

U1. Fini di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa

  • Uso personale e di studio (compresa la pubblicazione sui blog e profili social personali, l’uso amministrativo e attività di studio svolta da ricercatori e professionisti)
  • Attività di ricerca (include prodotti della ricerca come tesi di diploma, laurea e dottorato e l’attività di studio per l’espletamento di pratiche professionali di avvocati, architetti, archeologi e ingegneri a favore di terzi)
  • Libera manifestazione del pensiero ed espressione creativa (pubblicazioni su siti web e pagine social da parte di privati, compresi designer, artisti e blogger di professione)

Il Codice dei beni culturali stabilisce il principio della gratuità per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro [26]; inoltre, l‘art. 108, comma 3-bis liberalizza le riproduzioni dei beni culturali introducendo il principio della libera diffusione di immagini di beni culturali pubblici purché svolta senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale [27].

Rientrano in queste casistiche le riproduzioni eseguite a scopo personale e di studio che non implicano in altri termini la divulgazione commerciale delle immagini, così come le riproduzioni eseguite o richieste da studenti, ricercatori, docenti per esigenze di studio personale o le riproduzioni eseguite o richieste da professionisti per attività di ricerca finalizzate all’espletamento di pratiche professionali a favore di terzi; in questo caso oggetto del lucro non è da considerarsi la riproduzione del bene culturale in sé, quanto il lavoro d’opera intellettuale oggetto della prestazione professionale [28]. È egualmente da ritenersi libera la divulgazione delle immagini per finalità di ricerca. Ciò si verifica, ad esempio, quando le immagini sono parte integrante di elaborati scientifici distribuiti in canali non commerciali (come tesi di laurea, master o dottorato); è infine libera la divulgazione per fini di “libera manifestazione del pensiero o espressione creativa”, comprendente la pubblicazione di immagini da parte di privati (compresi designer, artisti e blogger) su blog personali, social network, siti web caratterizzati dall’accesso gratuito, oppure la proiezione temporanea di immagini nell’ambito di eventi pubblici o privati. In ogni caso il carattere commerciale proprio dei più comuni social network non permette di qualificare come attività lucrativa la semplice ”condivisione“ di immagini in simili piattaforme [29].

U2. Usi editoriali

  • Editoria scientifica in Open Access (monografie o riviste)
  • Editoria in canali commerciali online o tradizionale (monografie o riviste)
  • Editoria didattica
  • Quotidiani e riviste connesse

Negli istituti ministeriali si riscontra una certa frammentarietà regolamentare tra musei, archivi e biblioteche per ciò che riguarda la pubblicazione editoriale delle riproduzioni di beni culturali. Ad esempio, il limite della gratuità per pubblicazioni inferiori alle 2000 copie e ai 70 euro come prezzo di copertina, che deriva dal decreto ministeriale 8 aprile del 1994, è presente soprattutto nella realtà degli archivi e biblioteche [30], mentre non è oggi la regola nei musei.

Si ravvisa pertanto la necessità di delineare prassi il più possibile uniformi e semplificate per gli usi editoriali delle riproduzioni dei beni culturali, prevedendo, in linea generale, la gratuità per qualsiasi tipo di pubblicazione editoriale in forma di monografia, rivista o periodico sia in formato cartaceo che digitale. Ciò consentirà di agevolare in primis la divulgazione della ricerca scientifica e la valorizzazione del patrimonio culturale, come esplicitamente previsto dal Codice, ma più in generale di promuovere il sistema editoriale, già frequentemente oggetto di contributi e forme di sostegno economico da parte del governo, anche in considerazione dei limitati margini di ricavi per autori ed editori di pubblicazioni riproducenti beni culturali.

Si tenga conto a riguardo che, con la modifica del Codice dei beni culturali operata con la legge n. 124/2017, è stato eliminato il concetto di “lucro indiretto” per la libera divulgazione delle immagini, estendendo di fatto il perimetro della riutilizzabilità delle immagini in modo molto più ampio rispetto al solo fine personale o di studio. L’attività editoriale può essere inclusa nella fattispecie del “lucro indiretto” per l’inscindibile compresenza nel libro dell’elemento commerciale e di quello culturale, e quindi le immagini possono essere concesse, in linea generale, senza applicazione di canoni di concessione. Inoltre è opportuno sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi le richieste di utilizzo per fini editoriali pervengono non dagli editori ma dagli autori dei saggi e delle ricerche, che non traggono, com’è noto, alcun profitto dalla pubblicazione.

La richiesta di autorizzazione all’uso per la pubblicazione in qualunque periodico o prodotto editoriale è così sostituita da una semplice comunicazione da parte dell’utente, come già avviene in ambito archivistico e bibliotecario per le pubblicazioni al di sotto delle 2000 copie e dei 70 euro di prezzo di copertina, contenente i riferimenti della pubblicazione e l’impegno ad inviare una copia del prodotto editoriale all’istituto detentore del bene oggetto della riproduzione. Un procedimento così concepito può prevedere la compilazione di semplici form da rendere disponibili online, mettendo in atto in questo modo una notevole semplificazione procedurale a beneficio sia degli utenti che degli istituti culturali; ciò ovviamente non preclude la possibilità per gli istituti di tutela di intervenire in casi di utilizzi eventualmente giudicati non consoni.

Il principio generale di gratuità per le pubblicazioni editoriali, al pari degli altri casi di riutilizzo disciplinati nel presente paragrafo, è parte integrante del contenuto dell’etichetta “MiC standard” concepita per facilitare il rilascio in rete delle immagini del patrimonio culturale statale (cfr. par. 5.2). Eventuali deroghe a questo principio potranno essere introdotte dagli istituti, motivatamente, solo per prodotti editoriali venduti a un prezzo di copertina superiore a 70 euro. Tali eccezioni, che rappresentano un’alternativa all’etichetta “MiC standard”, dovranno essere dettagliate dagli istituti interessati nella pagina web dedicata ai termini d’uso delle immagini [31].

U3. Usi connessi con l’impresa culturale e l’industria creativa

  • Mostre ed eventi culturali (ingresso gratuito o a pagamento)
  • Format espositivi a pagamento
  • Documentari
  • Produzioni cinematografiche e programmi televisivi
  • App di terze parti

L’utilizzo di riproduzioni di beni culturali in occasione di mostre o manifestazioni culturali da chiunque organizzate è gratuito, indipendentemente dal fatto che sia previsto o meno il pagamento di un biglietto di ingresso [32]. In questi casi si richiede al soggetto organizzatore dell’evento l’invio all’istituto detentore del bene di una informativa sulla manifestazione mediante la compilazione di un form online, nella quale sarà riportato l’impegno a consegnare una copia dell’eventuale catalogo dell’esposizione come forma di cooperazione alla valorizzazione del bene.

Qualora le immagini siano parte integrante di un format di un’esposizione oggetto di commercializzazione, laddove il prodotto commerciale sia da considerarsi la mostra stessa, rimane invece ferma la richiesta di autorizzazione e il pagamento di un corrispettivo di riproduzione.

La presenza di immagini o videoriprese che riproducono beni culturali pubblici all’interno di produzioni cinematografiche è soggetta ad autorizzazione e al pagamento di diritti di riproduzione. Viceversa, l’inserimento di immagini del patrimonio culturale in documentari o programmi televisivi rimane gratuito a condizione che l’interessato invii all’istituto detentore del bene una informativa sulla pubblicazione mediante la compilazione di un form online, nella quale è espresso l’invito a consegnare una copia della riproduzione anche in questo caso come forma di cooperazione alla valorizzazione del bene.

Per il riutilizzo di immagini di beni culturali pubblici all’interno di applicazioni informatiche commerciali fruite a pagamento deve essere infine richiesta l’autorizzazione e il versamento di un corrispettivo all’istituto che conserva i beni riprodotti.

U4. Usi pubblicitari e commerciali

  • Merchandising
  • Uso promozionale e pubblicitario
  • Fondali e ambientazioni per eventi o attività commerciali

Rimangono soggette ad autorizzazione, e alla corresponsione di un corrispettivo di riproduzione a favore dell’ente che ha in consegna il bene, la riproduzioni del bene su prodotti commerciali (merchandising), l’associazione tra marchi aziendali e riproduzione in presenza o meno di grafiche realizzate a scopo promozionale o pubblicitario e infine l’utilizzo delle immagini come ambientazione per eventi o attività commerciali (ad esempio fondali per sfilate di moda o all’interno di spazi commerciali).

U5. Licensing e vendita di immagini

  • Commercializzazione delle riproduzioni
  • Copie certificate destinate al mercato

Tra le principali attività di sfruttamento economico delle riproduzioni di beni culturali si inserisce tradizionalmente la vendita di tali riproduzioni (prevalentemente fotografie) in formato analogico (poster, cartoline, stampe fine art, ecc.) alla quale si è affiancata, in misura ormai prevalente, la vendita di immagini digitali per lo più ad alta e altissima definizione, la quale non si limita alla cessione della risorsa immateriale ma si accompagna in genere alla gestione del licensing sulle immagini. La cessione dell’immagine prevede infatti l’applicazione di tariffe diversificate a seconda delle modalità di utilizzo da parte dell’utente. Il mercato del licensing coinvolge sia gli istituti pubblici che detengono il bene materiale, sia gli operatori economici privati che acquisiscono le riproduzioni per realizzare servizi di vendita di prodotti o diritti d’uso, in accordo con l’istituto che conserva il bene.

Accanto a questo settore consolidato, in tempi recenti si sta sviluppando il mercato di oggetti digitali e di copie uniche digitali certificate; questa pratica ha creato occasioni di notevole valorizzazione economica per il collezionismo e il mercato dell’arte e, da ultimo, anche nel panorama dei musei statali che hanno saputo cogliere prontamente il potenziale economico derivante dall’applicazione di questo strumento. È oggi più che mai urgente, dunque, governare questi processi dal punto di vista contabile e normativo. La vendita di riproduzioni di questo genere costituisce infatti a tutti gli effetti una forma di sfruttamento commerciale della riproduzione del bene culturale pubblico, soggiacente come tale alla disciplina del Codice dei beni culturali, che impone non solo l’autorizzazione per la riproduzione ad altissima definizione delle opere (che necessita ovviamente di strumentazione altamente sofisticata), ma può comportare anche la stipula di accordi attraverso la concessione di servizi per la gestione dei diritti di riproduzione a favore dell’ente pubblico, da calcolare in quota percentuale sulla base degli introiti derivanti dalla vendita di questa particolare forma di riproduzioni.

Poiché si tratta di un tema emergente, per il quale esistono ad oggi pochi precedenti nel settore del patrimonio culturale pubblico, è stato istituito presso il MiC un gruppo di lavoro in vista dell’emanazione di specifiche linee guida in merito agli NFT e alla cripto-arte. Tali linee guida, una volta mature, saranno inserite tra gli strumenti tecnici del PND.

Quadro sinottico (U-Tipologie d’uso delle riproduzioni di beni culturali)

image0 Di seguito viene riportata una tabella riepilogativa delle diverse discipline d’uso applicabili in relazione alle tipologie d’uso in caso di una riproduzione fedele (digitalizzazione) di bene culturale pubblico in pubblico dominio:

image1

image2

image3

Tale tabella va considerata come un riepilogo volto a riassumere le tipologie di casistiche ricorrenti, utile soprattutto per disciplinare gli usi e i riusi degli oggetti digitali disponibili online; rimane la considerazione che la qualificazione giuridica del rapporto intercorrente tra l’istituto che conserva il bene materiale e gli operatori economici privati possa atteggiarsi diversamente nel singolo caso concreto.

[26]Art. 108, comma 3: “Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente”.
[27]Art. 108, comma 3-bis: “Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, nè l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, nè, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro”.
[28]Qualora l’amministrazione realizzi delle banche dati specificatamente indirizzate a soddisfare le esigenze dei professionisti (come ad esempio banche dati cartografiche, banche dati dei vincoli, ecc.) queste devono intendersi come servizio e quindi possono essere oggetto di un’adeguata valorizzazione economica.
[29]Ciò ovviamente a condizione che le regole d’uso delle piattaforme lascino in capo agli utenti la titolarità delle immagini pubblicate.
[30]Circolari n. 33/2017 della Direzione generale Archivi e n. 14/2017 della Direzione generale Biblioteche.
[31]In prospettiva, la perdurante applicazione di diritti di riproduzione sui prodotti editoriali a medio termine potrebbe indurre l’editoria nazionale e internazionale a ricercare immagini di opere d’arte dai siti web di istituti culturali stranieri che già permettono il libero download e riutilizzo delle stesse immagini, con il rischio quindi di una progressiva marginalizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese.
[32]Il biglietto di ingresso a un‘esposizione in sé non sembra sufficiente a qualificare l’iniziativa culturale come “lucrativa”.