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Documenti pubblici, digitali.

5.1. Cosa sono le licenze

Qualsiasi progetto di digitalizzazione deve porsi anche l’obiettivo di mettere al corrente l’utenza delle effettive possibilità di riutilizzo delle risorse digitali. Assume quindi notevole importanza la definizione dei termini d’uso delle immagini che faccia riferimento alla disciplina del diritto d’autore e/o del Codice dei beni culturali e l’identificazione di una licenza d’uso, la quale si può definire come un contratto tramite il quale il titolare dei diritti (il licenziante) seleziona preventivamente quali diritti riservare a sé e quali, eventualmente, cedere in godimento a terzi (i licenziatari).

Le licenze più note a livello internazionale sono le Creative Commons (CC) [40], proposte nel 2002 da Lawrence Lessig, d’uso ormai sempre più comune nell’editoria, nel mercato audiovisivo e nelle pratiche di digitalizzazione delle collezioni museali in tutto il mondo; tali licenze favoriscono una gestione più flessibile e intuitiva dei diritti d’autore gravanti sulle opere rilasciate in rete mediante il ricorso a loghi internazionalmente riconosciuti e a metadati machine-readable in grado di rendere immediatamente comprensibili all’utenza i termini di utilizzo dell’opera. Lo strumento della licenza ha dunque il pregio di permettere all’autore dell’opera, o comunque al titolare dei diritti di sfruttamento economici, una gestione più agile ed equilibrata dei propri diritti favorendo al tempo stesso un uso più responsabile e consapevole delle risorse digitali da parte del pubblico. Le licenze CC si basano sul concetto di “some rights reserved” (alcuni diritti riservati) in opposizione alla formula tradizionale “all rights reserved” (tutti i diritti riservati). Quest’ultima dovrà essere in ogni caso evitata nei termini d’uso dei siti web istituzionali in caso di pubblicazione di risorse digitali creative sulle quali la pubblica amministrazione detenga la titolarità dei diritti d‘autore (testi, immagini e banche dati) per privilegiare invece l’adozione di licenze più flessibili come appunto le CC. A maggior ragione la medesima espressione (”tutti i diritti riservati”) dovrà essere esclusa in presenza di semplici dati o riproduzioni digitali in pubblico dominio.

Le licenze CC sono complessivamente sei e derivano dalla combinazione dei seguenti quattro attributi:

  • Attribuzione/Attribution (BY): l’utente è tenuto ad attribuire la paternità dell’opera nel modo indicato dall’autore stesso;
  • Non opere derivate/No Derivatives (ND): l’opera non può essere alterata o modificata dall’utente in nessun modo, né utilizzata per crearne una simile. È alternativa alla SA;
  • Non commerciale/Non Commercial (NC): l’opera non può essere sfruttata dall’utente per fini commerciali;
  • Condividi allo stesso modo/Share Alike (SA): l’opera può essere modificata e può circolare solo per il tramite di una licenza equivalente a quella originaria. È alternativa alla ND.

Oltre alle sei licenze autoriali Creative Commons mette a disposizione altri due strumenti specificatamente riservati alle opere in pubblico dominio: l’etichetta PDM (Public Domain Mark) e il dispositivo CC0. PDM è propriamente un’etichetta, non una licenza, concepita per comunicare che l’opera risulta priva di restrizioni sul piano del diritto d’autore note a livello internazionale. Il dispositivo CC0 è invece uno strumento, dotato di valore legale (a differenza di PDM), che permette all’autore di rinunciare a ogni diritto sulle opere prodotte, compreso quello di attribuzione espressa (BY). In questo modo l’opera entra nel pubblico dominio non già in seguito alla scadenza dei termini di protezione, bensì per scelta volontaria del suo autore.

[40]https://creativecommons.it/chapterIT/