Allegato 1: Il contesto di riferimento del Piano triennale¶
1. Il contesto normativo¶
L’Agenda digitale europea, sottoscritta da tutti gli Stati membri e approvata dalla Commissione europea nel 2010, definisce gli obiettivi per sviluppare l’economia e la cultura digitale in Europa nell’ambito della strategia Europa 2020.
L’Agenda digitale italiana è stata istituita il 1° marzo 2012: con il contributo della Conferenza unificata, l’Italia ha elaborato una propria strategia nazionale, che enfatizza la complementarietà tra il livello nazionale, regionale e locale e che individua priorità e azioni da compiere e da misurare sulla base di specifici indicatori, in linea con gli indicatori della stessa Agenda digitale europea. Nel rispetto dell’Accordo di partenariato 2014-2020, siglato dall’Italia con la Commissione europea, il Consiglio dei ministri ha inoltre approvato i piani nazionali «Piano nazionale banda ultra larga» [1] e «Strategia per la crescita digitale» [2].
L’Agenzia per l’Italia Digitale - istituita con decreto legge n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 e sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato - ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana in coerenza con l’Agenda digitale europea, come indicato nello statuto approvato con DPCM dell’8 gennaio 2014.
La legge n.208 del 28 dicembre 2015 (Legge di stabilità 2016), all’art.1, comma 513 prevede che l’Agenzia per l’Italia Digitale predisponga il Piano triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione, approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato, contenente l’elenco dei beni e servizi informatici e di connettività e dei relativi costi per ciascuna Amministrazione.
La stessa legge fissa un obiettivo di risparmio di spesa annuale, da raggiungere alla fine del triennio 2016-2018, pari al 50% della spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore informatico del triennio 2013-2015, al netto dei canoni per servizi di connettività. Vi si fissa inoltre il principio che i risparmi generati siano utilizzati dalle amministrazioni prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica e che dall’obiettivo di risparmio sia esclusa la spesa effettuata tramite Consip e tramite le altre centrali di committenza. Infatti, l’obiettivo da raggiungere dipende dal grado di utilizzo delle centrali di committenza: in linea teorica e al solo scopo di esplicitare ulteriormente il meccanismo messo in essere con la legge di stabilità, se nel triennio 2013-2015 tutta la spesa fosse transitata dalle centrali di committenza, l’obiettivo di risparmio richiesto al sistema nazionale sarebbe stato zero.
Successivamente, AgID ha provveduto a mettere in atto le necessarie azioni preparatorie al Piano attraverso l’emanazione della Circolare n.2 del 2016 [3], in cui si definiscono le modalità di acquisizione di beni e servizi ICT nelle more della definizione del presente Piano e si individuano i progetti nazionali da assumere come modello di riferimento.
Il Codice dell’amministrazione digitale (Decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005 e s.m., di seguito CAD), corpo organico di disposizioni che presiede all’uso dell’informatica da parte della Pubblica amministrazione, assegna all’AgID l’attività di proporre le regole tecniche - in conformità ai requisiti tecnici di accessibilità di cui all’articolo 11 della legge 9 gennaio 2004 - per l’attuazione di quanto previsto nel CAD stesso. Relativamente alle citate regole tecniche, il Decreto Legislativo n. 179 del 26 agosto 2016 prevede che le stesse siano aggiornate e coordinate.
Infine, è opportuno ricordare che sono entrati recentemente in vigore i decreti che disciplinano l’attuazione del CAD per quanto concerne l’intero ciclo di vita del Documento informatico nella Pubblica amministrazione. Sono pertanto maturi i tempi per la realizzazione di soluzioni applicative che realizzino una effettiva digitalizzazione dei processi amministrativi delle Pubbliche amministrazioni.
2. Il quadro europeo¶
Il Piano triennale è lo strumento essenziale per promuovere la trasformazione digitale dell’amministrazione italiana in coerenza con le strategie europee e costituisce immediata derivazione dalla programmazione comunitaria e dall’Agenda digitale europea che gli Stati membri sono vincolati a realizzare.
Di seguito si riepilogano i principali documenti di indirizzo dell’UE:
Comunicazione “Europe 2020”, COM (2010) 2020, 3.3.2010
Europa 2020 è la strategia decennale dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione. Varata nel 2010 per creare le condizioni favorevoli a una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, la strategia viene attuata e controllata nell’ambito del semestre europeo e del ciclo annuale di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dei paesi dell’UE.
Comunicazione “A Digital Agenda for Europe”, COM (2010) 0245, 19.5.2010
L’Agenda digitale, presentata nel 2010 dalla Commissione europea, è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020. L’Agenda si propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie ICT per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso.
Comunicazione “A Digital Single Market Strategy for Europe”, COM (2015) 192, 6.5.2015
Attraverso tale Comunicazione, la Commissione europea si propone di rimuovere tutte le barriere che impediscono la realizzazione di un mercato unico di beni e servizi digitali [4].
Comunicazione “EU eGovernment Action Plan 2016-2020”, COM (2016) 179, 19.4.2016
Il nuovo Piano di azione per l’eGovernment 2016-2020 ha rilevanza sotto il profilo politico-strategico, in quanto enuncia alcuni principi base che tutte le amministrazioni di tutti gli Stati membri devono porre a fondamento delle proprie politiche interne:
digitale per definizione (digital by default): le Pubbliche amministrazioni devono fornire servizi digitali come opzione predefinita;
principio «una tantum» (once only principle): le Pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere ai cittadini e alle imprese informazioni già fornite;
inclusività e accessibilità: le Pubbliche amministrazioni devono progettare servizi pubblici digitali che siano per definizione inclusivi e che vengano incontro alle diverse esigenze delle persone, ad esempio degli anziani e delle persone con disabilità;
apertura e trasparenza dei dati e dei processi amministrativi;
transfrontaliero per definizione: le pubbliche amministrazioni devono rendere disponibili i servizi pubblici digitali rilevanti a livello transfrontaliero;
interoperabile per definizione: i servizi pubblici devono essere progettati in modo da funzionare in modalità integrata e senza interruzioni in tutto il mercato unico;
fiducia e sicurezza: sin dalla fase di progettazione devono essere integrati i profili relativi alla protezione dei dati personali, tutela della vita privata e sicurezza informatica.
Comunicazione “A New Skills Agenda for Europe”, COM (2016) 381, 10.6.2016
La Nuova agenda europea per le competenze ha il principale obiettivo di migliorare la qualità e la pertinenza della formazione di competenze, al fine di stare al passo con la rapida evoluzione dei fabbisogni del mercato del lavoro, dotare tutti di un insieme minimo di competenze di base e rendere le qualifiche più comprensibili, favorire un più facile spostamento dei lavoratori a all’interno dell’UE.
Regolamento 2016/679/UE “General Data Protection” (on the protection of natural persons with regard to the processing of personal data and on the free movement of such data), 27.4.2016
Il Regolamento europeo sulla Protezione dei dati personali stabilisce norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla circolazione di tali dati nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali.
Comunicazione “Towards a thriving data-driven economy”, COM (2014) 442, 2.7.2014
Nella Comunicazione “Verso una florida economia basata sui dati” la Commissione europea si prefigge l’obiettivo di creare un adeguato quadro generale per il mercato unico dei big data (le grandi quantità di dati prodotti a grande velocità da numerosi tipi di fonti) e del cloud computing. La Commissione spinge verso la realizzazione di una “economia dell’innovazione guidata dai dati», facendo riferimento alla capacità delle imprese e degli organismi pubblici di utilizzare le informazioni derivanti da una migliore analisi dei dati raccolti, al fine di sviluppare beni e servizi migliori per individui e organizzazioni, incluse le PMI.
Comunicazione “Open Data”, COM (2011) 882, 12.12.2011
Nella Comunicazione sui dati aperti, ossia quei dati resi liberamente accessibili a tutti per il riutilizzo a fini commerciali e non, la Commissione europea presenta un pacchetto di tre tipologie d’intervento, finalizzate a superare gli ostacoli e la frammentazione che ancora esistono nell’Unione europea attraverso:
l’adeguamento del quadro normativo per il riutilizzo dei dati;
la mobilitazione degli strumenti finanziari a sostegno dei “dati aperti” e l’attuazione di azioni volte alla creazione di portali di dati europei;
il coordinamento e la condivisione di esperienze tra gli Stati membri.
Direttiva 2013/37/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante modifiche alla Direttiva 2003/98/EC sul riuso delle informazioni nel settore pubblico.
La direttiva 2013/37/UE interviene in materia di riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico, attraverso la modifica della direttiva 2003/98/CE, la c.d. direttiva PSI (Public Sector Information), ed è finalizzata a favorire il riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni dell’Unione europea.
Vi si rende obbligatorio per gli enti pubblici di rendere riutilizzabili tutte le informazioni in loro possesso, per scopi commerciali e non commerciali, a condizione che le informazioni non siano escluse dal diritto di accesso ai sensi del diritto nazionale e in conformità alla normativa sulla protezione dei dati.
Il riutilizzo delle informazioni del settore pubblico costituisce da tempo una delle priorità delle politiche dell’Unione europea che si propone di dare un forte impulso alla già significativa crescita del settore che si occupa della trasformazione dei dati grezzi che sono alla base dello sviluppo di molte applicazioni quali mappe, informazioni in tempo reale sul traffico e le condizioni meteo, strumenti di comparazione dei prezzi, ecc. [5].
3. Lo scenario macroeconomico europeo¶
Obiettivo principale dall’Agenda digitale europea è quello di dare origine a una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva in Europa. Il primo dei sette pilastri costitutivi dell’Agenda digitale è la Strategia per il mercato unico digitale in Europa (A Digital Single Market Strategy for Europe) [6], di durata pluriennale e che punta a diffondere le opportunità insite nelle tecnologie digitali a cittadini e imprese, al fine di rafforzare la posizione dell’Europa come leader mondiale nell’economia digitale. La CE ritiene che la DSM possa creare opportunità per nuove imprese e permettere a quelle esistenti di operare in un unico mercato di oltre 500 milioni di persone, arrivando a contribuire per oltre 400 miliardi di Euro annui all’economia europea, creando nuovi posti di lavoro e trasformando i servizi pubblici.
Secondo la Comunicazione A Digital Single Market Strategy, in meno di un decennio la maggior parte dell’attività economica dipenderà da ecosistemi digitali che integreranno infrastrutture digitali, hardware e software, applicazioni e dati. Perché l’UE possa restare competitiva, mantenere una base industriale solida e gestire la transizione verso un’economia industriale e di servizio intelligente, sarà necessaria la digitalizzazione di tutti i settori. Il valore aggiunto dall’economia digitale proviene per il 75% dalle industrie tradizionali; tuttavia, l’integrazione della tecnologia digitale nelle imprese è l’anello più debole: solo l’1,7% delle imprese dell’UE usa le tecnologie digitali avanzate in tutte le loro possibilità [7], mentre il 41% non le usa affatto. La digitalizzazione offre possibilità senza precedenti anche a altri comparti dell’economia, come i trasporti (ad es., sistemi di trasporto intelligenti) o l’energia (ad es., reti intelligenti, contatori intelligenti) [8].
In questo quadro, la presenza on line della Pubblica amministrazione è un elemento essenziale per migliorare l’efficienza in termini di costi e la qualità dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese. A tal fine, la Commissione europea ha definito un piano d’azione per l’e-Government 2016-2020 [9].
Per descrivere in maniera sintetica la posizione dell’Italia nello scenario europeo con il quale il Piano si deve confrontare, è stato preso in esame il DESI (Digital Economy and Society Index) [10], uno strumento elaborato dalla Commissione europea per valutare annualmente lo stato di avanzamento dell’economia e della società digitale negli Stati membri.
L’indice DESI valuta cinque dimensioni (connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione della tecnologia digitale, servizi pubblici digitali), costituite da un insieme di indicatori che, analizzati singolarmente, permettono di comprendere l’evoluzione nel tempo della competitività digitale di ciascuno Stato membro, anche attraverso il raffronto con gli altri Stati.
Come si vede dalla Figura 1, l’Italia si trova complessivamente in una situazione di svantaggio in tutte le dimensioni, a dimostrazione del fatto che sono diversi i problemi strutturali che incidono sensibilmente sul risultato complessivo.
Se si analizzano i dati per ciascuna dimensione [11], si rileva che, per quanto riguarda la connettività (Figura 2), la forbice con il resto d’Europa si va restringendo (tra il 2016 e il 2017, l’Italia passa da 15,7 a 9,3 punti di differenza rispetto alla media). Questo dato conferma che gli investimenti di lungo periodo funzionano: l’Italia ha compiuto infatti progressi significativi grazie soprattutto al forte aumento della copertura delle reti NGA (Next Generation Access). Tuttavia, la diffusione della banda larga fissa rimane ancora limitata, nonostante la diminuzione dei prezzi.
Per quanto riguarda l’uso di Internet, l’Italia si trova molto indietro rispetto agli altri Stati membri, come rappresentato in Figura 3, in particolare per quanto riguarda le transazioni commerciali.
Questo ritardo nell’uso di Internet è connesso a molti fattori, tra cui emerge prepotentemente la scarsa qualità dell’offerta di servizi e contenuti digitali. Ne è prova il fatto che, in quei settori in cui l’offerta è stata ampliata è cresciuta anche l’utenza di Internet. Se infatti prendiamo l’indicatore relativo alla fruizione on line di musica, video e giochi, come rappresentato in Figura 4, si osserva una costante crescita nel periodo 2005-2016 e, nel 2017, l’Italia supera, seppur di poco, la media europea.
Lo svantaggio strutturale dell’Italia è dato anche dalla dimensione delle nostre imprese, come confermato dal dato relativo all’indicatore integrazione delle tecnologie digitali. Se si analizza l’andamento dell’indicatore relativo all’e-commerce (Figura 5), l’Italia, dopo una tendenza positiva, sembra non riuscire a colmare il gap con la media europea. La scarsità di offerta genera una scarsità di domanda, da qui il basso livello di uso di internet.
Analizzando la dimensione negli indicatori di dettaglio (Figura 6), emerge, in particolare, che la percentuale di piccole e medie imprese che vendono on line rimane molto bassa.
Il dato sulla fatturazione elettronica conferma invece che una continua e coerente politica per la promozione di servizi digitali assicura buoni risultati.
Altro grosso svantaggio strutturale, che si può correggere solo nel lungo periodo, è dato dall’indicatore relativo al capitale umano. Nella fascia di età compresa tra i 20 e i 29 anni, solo 15 persone su 1.000 hanno una laurea in discipline tecnico-scientifiche (Figura 7); siamo molto al di sotto della media EU28 (18,5 persone su 1000), ma anche molto indietro rispetto a Stati membri con noi comparabili (24 persone su mille).
Per quanto riguarda la dimensione riferita ai servizi pubblici digitali, l’Italia presenta uno dei livelli più bassi di utilizzo dei servizi in Europa (Figura 8). Anche in questo caso, il dato può dipendere dal fatto che l’Italia risulta avere una delle percentuali più basse di utilizzo di Internet in generale. Tuttavia vale anche la pena sottolineare che l’indice DESI non sempre riesce a cogliere la situazione reale, poiché gli indicatori impiegati sono di carattere generale e al loro interno è difficile riconoscere servizi specifici - anche complessi ed articolati - offerti dalle Pubbliche amministrazioni: ad esempio, in Italia, il servizio offerto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, relativo alla compilazione on line del 730 sulla base di un modulo precompilato contenente con tutti i dati di sanità e catasto non è riconoscibile ai fini del calcolo del DESI.
Nonostante quanto riportato dal DESI, per valutare i progressi fatti e stimare gli sviluppi futuri è necessario comprendere il punto di partenza e analizzare il trend di evoluzione. Il nostro Paese è almeno tre anni indietro nella curva di crescita rispetto alla maggior parte degli Stati membri UE. Perché i dati di crescita abbiano impatto sugli indici definiti in Europa è necessario attuare - con continuità nel tempo - interventi strutturali di lungo periodo. I Paesi che risultano più avanzati e che hanno indici DESI più alti, infatti, sono quelli che hanno cominciato ad investire nella digitalizzazione tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000. Lo hanno fatto, appunto, con continuità e sforzo costante, godendo inoltre di un ingrediente fondamentale: una stabilità politica da cui consegue la volontà politica di attuare le riforme strutturali di lungo periodo.
4. La cittadinanza digitale¶
La cittadinanza digitale può essere definita come il complesso dei diritti e dei doveri dei cittadini formulati in adattamento allo sviluppo dell’e-government e della fruizione dei servizi digitali [12]. Rispetto alla cittadinanza tradizionale, la cittadinanza digitale dà luogo a uno spazio giuridico in cui i diritti e doveri di cittadinanza possono essere esercitati sia nel contesto fisico reale sia in quello virtuale del web. In questo senso, l’equità di trattamento dei cittadini comporta una capacità di accesso alla rete uniformemente distribuita, dove il completo esercizio dei loro diritti si può realizzare con la minimizzazione del digital divide. Tra i principali argomenti normati in diritto vi sono: l’identità digitale (intesa come la disponibilità di un’identità digitale unica assegnata ai cittadini dalle amministrazioni); la protezione dei dati personali; l’accesso e l’inclusione digitale; la formazione per l’acquisizione delle competenze digitali; l’informazione e l’utilizzo dei contenuti digitali pubblici; la partecipazione dei cittadini al processo decisionale politico; la fruizione quotidiana dei benefici delle tecnologie digitali. Tra i doveri si individuano invece il rispetto delle regole del web e la messa in condivisione dei propri contenuti digitali.
La legge delega 7 agosto 2015, n. 124 contiene nell’art. 1 la Carta della cittadinanza digitale, un forte segnale a supporto dell’intenzione del legislatore di rafforzare e rendere effettivi i diritti digitali dei cittadini nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Nello specifico, viene esplicitato l’obiettivo di garantire a cittadini e imprese il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale, con la finalità di garantire la semplificazione nell’accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità dell’accesso fisico agli uffici pubblici. Il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 introduce quindi le modifiche al CAD finalizzate a dare seguito ai principi e ai criteri individuati nella citata L. 124/2015. Fra questi emergono (i) l’individuazione di strumenti per definire il livello minimo di sicurezza, qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività dei servizi online delle amministrazioni pubbliche, (ii) il principio del digital first, (iii) l’alfabetizzazione digitale, (iv) la partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche, (v) la piena disponibilità dei sistemi di pagamento elettronico e (vi) la riduzione del digital divide attraverso l’impulso allo sviluppo delle competenze digitali di base. L’impegno dello Stato nel promuovere una vera e propria cultura digitale, implica la volontà del legislatore di diffondere tra i cittadini, con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, non solo conoscenze e competenze informatiche, ma anche consapevolezza e conoscenza in merito al valore, alle opportunità, alle regole e ai rischi collegati all’utilizzo delle tecnologie.
In questo modo, si riconosce che le opportunità offerte dalla rete e dalle tecnologie digitali devono essere a disposizione di tutti e che l’inclusione, l’informazione e l’alfabetizzazione digitale dei cittadini sono obiettivi a cui si ispirano le politiche in tema di infrastrutture e di semplificazione amministrativa, di cui il presente Piano triennale è architrave, che integra, completa e dà seguito ai documenti Strategia per la crescita digitale 2014-2020 e Piano nazionale per la banda ultralarga.
Il futuro del nostro Paese – per i cittadini così come per le imprese – è sostenibile solo se lo Stato sarà in grado di garantire ai propri cittadini e alle proprie imprese un accesso concreto, innovativo e non discriminatorio alle tecnologie digitali, offrendo loro strumenti culturali, infrastrutturali ed economici per sentirsi parte integrante della nuova comunità globale, esercitare i nuovi diritti di cittadinanza digitale e competere alla pari nei mercati internazionali.
L’accesso alla conoscenza, alle relazioni sociali, alle opportunità economiche e ai servizi pubblici offerti via Internet deve essere favorito, a partire dall’abbattimento delle barriere fisiche all’accesso, nell’ambito di una strategia unitaria che prevede investimenti e utilizzo di tutte le tecnologie necessarie: dalla fibra alla rete mobile ad alta velocità, dal Wi-Fi nei luoghi pubblici allo sviluppo del cloud, focalizzando l’attenzione sugli aspetti di security e di tutela dei dati dei cittadini.
In questo quadro, la PA può fungere da modello e rappresentare un importante volano per la digitalizzazione del Paese, a condizione che sappia trasformarsi profondamente, abbracciando un approccio digital-by-default. Tutto questo anche grazie alle tecnologie cloud, che consentono di ottimizzare l’efficienza economica degli investimenti tecnologici e la loro sostenibilità ambientale e alla integrazione applicativa resa possibile da sistemi interoperabili, che espongono servizi secondo standard definiti ed accessibili.
Con il superamento dell’eterogeneità dell’offerta attuale e l’integrazione dei servizi settoriali attraverso le Piattaforme abilitanti, come il Servizio pubblico d’identità digitale e l’Anagrafe nazionale della popolazione residente, ogni cittadino italiano avrà un profilo civico online dal quale potrà accedere alle informazioni e ai servizi pubblici che lo riguardano. Un luogo di interazione personalizzato con la Pubblica amministrazione e le sue ramificazioni, arricchito dalle segnalazioni sulle opportunità e gli obblighi pubblici che il sistema filtrerà in relazione allo specifico profilo anagrafico.
Ma i diritti di cittadinanza digitale devono essere inclusivi e devono poter essere esercitati da tutti in particolar modo dalle fasce della popolazione più disagiate. In base agli ultimi dati disponibili della Digital Agenda Scoreboard [13], l’uso di Internet negli ultimi 12 mesi riguarda il 71,0% della popolazione, contro una media EU dell’83,5% e la percentuale di Italiani che non ha mai utilizzato Internet è del 24,7%, a fronte del corrispettivo medio UE del 14,4%.
Il problema del digital divide è nel nostro Paese ampio e articolato al punto che si può parlare di divari caratterizzati da componenti diverse. Esiste un divario economico che priva importanti fasce della popolazione e del tessuto micro-imprenditoriale italiano delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie per questioni di reddito. Esiste un divario culturale, che rende persistenti i comportamenti “analogici” di lunga tradizione ma oggi inefficienti, precludendo a cittadini e imprese di esercitare i propri diritti di cittadinanza e di mercato; usiamo poco Internet e il digitale perché non li conosciamo o perché non ne abbiamo colto le straordinarie potenzialità o perché non si è ancora instaurato un clima di fiducia sulla qualità e certezza delle informazioni e dei servizi pubblicati in rete. C’è infine un divario infrastrutturale, che esclude dall’accesso alla rete parti della popolazione e migliaia di imprese. Per quanto riguarda la disponibilità di connessioni Internet ad alta velocità, solo il 43,9% delle famiglie italiane risulta coperta da tale offerta, rispetto a una media europea del 70,9%.
Il problema del digital divide, quindi, non è rappresentato solo e sempre dalla mancanza di un’infrastruttura di rete quanto, più spesso, dall’assenza di una cultura della rete e dalle mancate condizioni economiche necessarie a beneficiarne; ne consegue che anche nelle aree pienamente infrastrutturate, l’effettiva diffusione della connettività rimane bassa. Solo il 77,1% delle famiglie italiane dispone di una connessione a Internet in banda larga, a fronte di una media europea del 82,9% e, considerando le sole connessioni in banda larga fissa (escludendo, quindi, quelle mobili), la percentuale delle famiglie connesse scende al 55,2%, contro una media UE del 73,8%.
5. Le imprese¶
La “buona idea” destinata a rivoluzionare la storia del mondo – come è accaduto per le tante idee nate negli ultimi vent’anni e che oggi rappresentano l’architettura portante di Internet e dei servizi che utilizziamo quotidianamente – può nascere dallo sforzo creativo e inventivo della più piccola tra le imprese italiane che deve essere quindi poter sviluppare la propria attività in una dimensione di costante e non discriminatoria connessione al tessuto imprenditoriale globale.
Nonostante i ritardi evidenziati nei paragrafi precedenti, il processo di digitalizzazione si sta diffondendo rapidamente all’interno delle imprese italiane e il cambiamento che ne segue rappresenta al tempo stesso una sfida e un’opportunità. La trasformazione richiesta non è solo di natura tecnologica ma riguarda l’intera sfera organizzativa e richiede l’inserimento di nuove competenze spesso difficili da reperire e che impongono nuovi percorsi formativi.
Per sostenere questa trasformazione, il Ministero dello Sviluppo economico ha elaborato un Piano nazionale Industria 4.0 2017-2020 [14], con l’obiettivo di favorire l’automazione e l’interconnessione della produzione industriale.
Tale Piano si basa su 4 direttrici strategiche:
- stimolare l’investimento privato nell’adozione delle tecnologie abilitanti dell’industria 4.0;
- assicurare adeguate infrastrutture di rete, garantire la sicurezza e la protezione dei dati, collaborare alla definizione di standard di interoperabilità internazionali;
- creare competenze e promuovere la ricerca mediante percorsi formativi ad hoc;
- diffondere la conoscenza e il potenziale dell’industria 4.0, e garantire una governance pubblico-privata per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Sono soprattutto le piccole e medie imprese che presentano, anche se con intensità diverse, un ritardo nell’avviare iniziative tecnologiche e di trasformazione digitale. Esse appaiono concentrate su obiettivi di riduzione dei costi e di recupero di efficienza, tematiche che si riflettono anche sulle attività IT, in rapporto sia all’utilizzo di dotazioni di base, che all’introduzione di soluzioni e piattaforme più evolute.
Di fatto, il mercato digitale Italiano è - e continuerà ad essere - sostenuto dagli investimenti delle grandi imprese, previsti in crescita tra il 2015 ed il 2018 a un tasso medio annuo del 3,1%, al di sopra dell’andamento complessivo del comparto.
Il Rapporto Assinform 2017 [15] evidenzia infatti, nel corso del 2016, una crescita dell’1,8% del mercato digitale italiano (informatica, telecomunicazioni e contenuti) rafforzando la tendenza iniziata nel 2015 (+1%) e ribaltando il trend discendente degli anni precedenti. Il trend positivo di crescita dovrebbe confermarsi anche nel 2017 (circa + 1,7%) e nel 2018 (circa +2%).
L’andamento atteso è frutto di diversi fattori: il contesto macro economico (ad es. le previsioni di crescita del PIL), le politiche governative (ad es. il Piano nazionale banda ultralarga e la Strategia per la crescita digitale), le dinamiche dell’offerta ICT, lo scenario tecnologico.
Lo sviluppo di un Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, rappresenta una concreta leva per garantire il positivo andamento di crescita per le imprese poiché individua le strategie verso le quali orientare gli investimenti ed assicura un quadro di riferimento certo in termini temporali ed economici.
Note
[1] | http://www.agid.gov.it/sites/default/files/documenti_indirizzo/StrategiaBandaUltraLarga2014.pdf |
[2] | http://www.agid.gov.it/sites/default/files/documenti_indirizzo/crescita_digitale_nov_2014.pdf |
[3] | http://www.agid.gov.it/sites/default/files/documentazione/circolare_piano_triennale_24.6.2016._def.pdf |
[4] | La strategia poggia su tre pilastri: migliorare l’accesso online ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e le imprese — questo implica l’eliminazione in tempi rapidi delle differenze fondamentali che separano il mondo online dal mondo offline al fine di abbattere le barriere che bloccano l’attività online attraverso le frontiere; creare un contesto favorevole affinché le reti e i servizi digitali possano svilupparsi — questo implica la disponibilità di infrastrutture e di servizi contenutistici ad alta velocità protetti e affidabili, sostenuti da condizioni regolamentari propizie all’innovazione, agli investimenti, alla concorrenza leale e alla parità di condizioni; massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale europea — questo implica investimenti nelle infrastrutture e tecnologie delle TIC, come le nuvole informatiche (cloud computing) e i megadati (big data), ricerca e innovazione per rafforzare la competitività industriale e miglioramento dei servizi pubblici, dell’inclusione e delle competenze. |
[5] | www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/777659/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione33-h1_h11 |
[6] | COM(2015) 192 final, https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/the-strategy-dsm |
[7] | Compresi internet mobile, nuvole informatiche, reti sociali e metadati. |
[8] | Cfr. la strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici [COM(2015) 80 final]. |
[9] | Comunicazione “EU eGovernment Action Plan 2016-2020”, COM (2016) 179 |
[10] | nel marzo di quest’anno è stato pubblicato l’indice DESI 2017,con dati aggiornati all’anno 2016, consultabile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi |
[11] | Per la composizione degli indicatori e delle relative sub dimensioni: http://digital-agenda-data.eu/datasets/desi/indicators |
[12] | http://www.treccani.it/enciclopedia/cittadinanza-digitale_(Lessico-del-XXI-Secolo)/ |
[13] | http://digital-agenda-data.eu/ |
[14] | www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/industria-4-0 |
[15] | Rapporto Assinform, Il Digitale in Italia 2017, Mercati, Dinamiche, Policy; Osservatorio delle Competenze digitali 2017. |