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2.2 Processi

Il secondo insieme di azioni strategiche individua e indirizza i processi chiave della trasformazione digitale: al fine di potenziare l’ecosistema digitale della cultura è fondamentale arricchire il patrimonio culturale digitale esistente e renderlo pienamente fruibile, dal punto di vista materiale e cognitivo. La progressiva digitalizzazione del patrimonio culturale, determinata dall’accrescimento del materiale digitalizzato e dalla implementazione di nuovi servizi, permette il corretto funzionamento delle piattaforme di gestione e fruizione dei dati, le cui potenzialità crescono in proporzione alla quantità di risorse disponibili. Questo schema comporta la fissazione di una strategia della gestione del ciclo di vita dei dati che garantisca il mantenimento e l’organizzazione delle informazioni digitali di lungo periodo. Occorre altresì individuare chiari riferimenti normativi e procedurali per disciplinare le modalità di accesso, circolazione e riuso dei beni culturali tramite l’adozione di politiche chiare e condivise. Tuttavia, la digitalizzazione del patrimonio non produce valore di per sé: senza un accurato design dei servizi digitali, abilitati dalle tecnologie, non è possibile rendere il patrimonio un fattore di crescita sociale, culturale ed economica.

2.2.a. Digitalizzazione e ciclo di vita della risorsa digitale

Nella strategia di crescita digitale, il corretto uso del dato rappresenta il fattore differenziante per una gestione responsabile dei dati e del loro ciclo di vita, un requisito imprescindibile per beneficiare del patrimonio informativo. La definizione e l’adozione di pratiche gestionali riferite ai dati è di capitale importanza per guidare le fasi del ciclo di vita delle informazioni: dalla pianificazione e progettazione, alla creazione, all’elaborazione, al trasferimento, sino alla conservazione di lungo periodo dei dati e delle risorse digitali prodotte.

Tale processo è per sua natura dinamico, dal momento che nell’ambiente digitale non ci si può limitare alla mera descrizione e riproduzione del bene culturale da effettuare una tantum in sistemi informativi dedicati; questo non rappresenta che il primo stadio di un processo che si sviluppa nel tempo con successive fasi di arricchimento, modellazione, processamento/normalizzazione, collegamento; attività che rendono il dato vivo e in costante evoluzione temporale.

Come già osservato in precedenza (cfr. par. 1.1.b, 1.1.c, 1.2.c), esistendo una pluralità di soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo attivo nei processi di creazione delle informazioni sul patrimonio culturale, è necessario che i dati siano trattati secondo principi che ne facilitino la condivisione e il riuso per generare ulteriore conoscenza. Per raggiungere questo obiettivo bisogna agire su due piani, ovvero nella produzione e nella gestione dei dati.

Nella produzione è opportuno richiamare i principi FAIR [11], ormai riconosciuti a livello internazionale, che descrivono le caratteristiche che le risorse digitali debbono avere per essere usate e riutilizzate a fini scientifici, educativi e divulgativi, sia dalle persone sia dalle macchine che adottano processi automatizzati:

  • Rintracciabilità: le risorse digitali devono essere accompagnate da identificatori persistenti e da adeguati metadati descrittivi, che vanno registrati in repertori indicizzabili anche dalle macchine.
  • Accessibilità: i metadati devono essere accessibili agli esseri umani e alle macchine mediante protocolli standard e rilasciati in formato aperto, anche qualora gli oggetti digitali collegati non lo siano.
  • Interoperabilità: i metadati devono essere interrogabili e indicizzabili da qualsiasi altro sistema informativo, opzione attuabile solo se essi sono espressi in formati standard.
  • Riutilizzabilità: le risorse digitali e i metadati associati devono essere rilasciati secondo licenze chiare che ne consentano il riutilizzo e la ricombinazione, ed espressi con linguaggi riconosciuti e comprensibili dalla comunità scientifica del dominio di riferimento.

Per raggiungere un adeguato livello di qualità nella produzione dei dati è necessario investire nell’aggiornamento delle competenze di quanti operano nei luoghi della cultura (cfr. par. 2.3.a), dal momento che aspetti così importanti non possono essere delegati esclusivamente a specialisti esterni alle amministrazioni o rimandati a momenti successivi, ma debbono essere parte integrante della creazione del contenuto digitale.

Tale approccio postula un livello di consapevolezza individuale e maturità organizzativa che va programmato e governato. A tal fine ogni istituto dovrà dotarsi di un Piano di gestione dei dati (Data Management Plan), per garantire uno sviluppo coerente nel tempo dei progetti di digitalizzazione (cfr. par. 3.2). Si tratterà di individuare gli attori che concorrono alla produzione del dato e al recupero e normalizzazione di quelli pregressi, alla successiva organizzazione e pubblicazione, distinguendo chi è responsabile e titolare dello stesso da chi aggiunge elementi informativi nel processo di realizzazione delle risorse.

Il Piano di gestione consente a ogni istituto di adottare un modello organizzativo che ha l’obiettivo di garantire la produzione e la pubblicazione di dati di qualità attraverso un processo omogeneo, auto-sostenibile, coordinato tra gli organi interni dell’amministrazione e che prevede un costante aggiornamento, monitoraggio e coinvolgimento degli utenti finali. Inoltre, esso consente di verificare il rispetto dei principi e la corretta applicazione della normativa nazionale per la produzione e pubblicazione dei dati aperti (Open Data) [12].

Elemento cardine per una corretta gestione dei processi di digitalizzazione, è l’individuazione dei diversi livelli di responsabilità [13] nel ciclo di creazione, gestione, pubblicazione, valorizzazione e conservazione a lungo termine delle risorse digitali:

  • Livello 1 (direzioni generali): responsabile della governance e della gestione delle infrastrutture hardware e software.
  • Livello 2 (istituti centrali): responsabili della definizione delle metodologie, dei processi, e della gestione dei sistemi e servizi informativi nazionali di dominio.
  • Livello 3 (istituti culturali): responsabili della produzione, della gestione della qualità, della valorizzazione dei dati.

A questi tre livelli se ne aggiunge uno ulteriore, relativo ai beni culturali pubblici non statali e privati dichiarati, sui quali le Soprintendenze, oltre alle funzioni di tutela attribuite dalla norma, svolgono ultimamente un ruolo di indirizzo e coordinamento, di supporto e orientamento scientifico per tutti i progetti di digitalizzazione e di trattamento di dati e banche dati.

Ciascun istituto, in relazione alle proprie caratteristiche e finalità, e coerentemente con i tre livelli di governance sopra previsti, prima di intraprendere un progetto di digitalizzazione o la creazione di una banca dati, redige il proprio Piano di gestione dei dati al fine di delineare come le risorse digitali saranno trattate in fase di acquisizione, processamento, conservazione e valorizzazione; questo al fine di controllare i processi, di prevenire i rischi in fase di esecuzione e di non disperdere la memoria delle scelte effettuate. In un prossimo futuro, la raccolta dei Piani - attraverso specifici tool messi a disposizione dal Ministero - consentirà di effettuare ricerche e interrogazioni, in modo che sia possibile per chiunque recuperare e analizzare le informazioni relative a ogni specifico progetto.

Nelle Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale (cfr. par. 3.1) e nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (Data Management Plan) (cfr. par. 3.2) sono contenute specifiche indicazioni operative per la gestione del processo sopra descritto.

2.2.b. Politiche di accesso e riuso

L’obiettivo dell’azione consiste nel coordinare, razionalizzare e semplificare le procedure per l’accesso, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali dei beni culturali, declinando in chiave digitale le politiche pubbliche fino ad oggi adottate per la valorizzazione del patrimonio culturale. La disseminazione e il riutilizzo delle risorse digitali rappresentano dei potenti moltiplicatori di ricchezza e sono strumenti strategici per lo sviluppo sociale, culturale ed economico del paese. Pertanto, è doveroso chiarire gli ambiti di applicazione delle norme e dissipare le incertezze in merito alle pratiche connesse alla circolazione e al riuso delle rappresentazioni digitali dei beni, con l’obiettivo di facilitare l’accesso alla cultura e incoraggiare le pratiche connesse alla trasformazione digitale. La disciplina della riproduzione dei beni culturali presenta infatti notevoli complessità, causate dall’intersecazione e sovrapposizione di ambiti legislativi distinti e dalla stratificazione occorsa nel tempo delle normative di riferimento (Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge sul diritto d’autore, le norme sulla tutela della privacy, le disposizioni SIAE, le direttive europee in materia di riuso dei dati del settore pubblico).

Lungi dall’essere temi astrattamente giuridici o meramente organizzativi, la circolazione e il riuso delle riproduzioni digitali tendono ad assumere connotazioni culturali, poiché sottendono il modo di intendere i rapporti tra società, patrimonio, istituti di tutela, imprese e utenti e, più in generale, la funzione stessa di musei, archivi e biblioteche. La missione di questi ultimi non si esaurisce più nella - pur fondamentale -garanzia di tutela, gestione e fruizione fisica delle collezioni, ma si misura con obiettivi di disseminazione delle risorse culturali digitali per il soddisfacimento delle crescenti istanze di partecipazione, riuso e co-creazione di contenuti (cfr. par. 2.3.b e 2.3.c).

Il patrimonio culturale digitale, esistendo di per sé (cfr. par. 1.1.b), ha propri processi di gestione (cfr. par. 2.2.a); esso è tuttavia rappresentativo di beni culturali materiali e immateriali, per i quali può costituire forme autonome e innovative di fruizione e valorizzazione. Ne consegue che l’attuale regolamentazione, discendente dalla normativa di tutela concepita evidentemente per un mondo “analogico”, deve essere correttamente declinata nel contesto digitale. Per descrivere questo aspetto, che ha presupposti sostanzialmente giuridici, è necessario distinguere tre dimensioni:

  1. la prima, che impatta sulle attività di digitalizzazione, deriva dai diversi ambiti di protezione gravanti sui beni culturali (tutela culturale, tutela del diritto d’autore, tutela della riservatezza), che vanno posti in relazione con le due principali tipologie di riproduzione previste dal diritto d’autore (riproduzioni fedeli e riproduzione “creative”);
  2. la seconda concerne le modalità di acquisizione di una riproduzione e la relativa regolamentazione (riproduzione eseguita dall’utente con mezzi propri, riproduzione eseguita con mezzi professionali, riproduzione eseguita dall’amministrazione, riproduzione acquisita da una banca dati, ecc.). Le diverse modalità di acquisizione delle riproduzioni hanno differenti regolamentazioni, a seconda delle risorse e degli impatti organizzativi necessari per la loro generazione;
  3. la terza attiene allo scopo per il quale si richiede/ottiene una riproduzione, dal momento che usi diversi determinano differenti soluzioni. Poiché le tipologie d’uso nell’ambiente digitale si sono moltiplicate ed evolute (cfr. par. 2.2.c), è inevitabile adeguare le regole ai nuovi scenari, nel rispetto dei principi della normativa nazionale e comunitaria.

L’incrocio delle tre dimensioni determina l’individuazione delle procedure da adottare per la creazione, circolazione e riuso delle riproduzioni dei beni culturali, rammentando che l’obiettivo primario degli istituti culturali è incentivare la circolazione e il riuso, seppur regolamentato, delle risorse digitali culturali. Va pertanto definito un modello misto, in cui la funzione “sociale” della libera fruizione (si pensi al fruttuoso dibattito anglosassone sulla disciplina dei fair use per scopi didattici e formativi) e dell’apertura inclusiva e democratica delle risorse digitali (testimoniata dal successo delle licenze Creative Commons [14]) conviva armoniosamente con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato, tanto da parte degli istituti pubblici che dei soggetti privati. L’attuale sistema di autorizzazione/concessione sulla singola immagine od oggetto audio-video, è destinato nel tempo ad essere sostituito dalla gestione (anche machine to machine) degli accessi alle risorse contenute nelle Digital Library locali e nazionali, applicando politiche di licenza mirate al concetto di “servizio” piuttosto che sull’anacronistica nozione di “prodotto”. In questo modo il processo di apertura ai riusi commerciali può essere governato e adeguato agli obiettivi che si vogliono raggiungere e agli effetti che si intendono generare.

Con questo obiettivo, nelle Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale (cfr. par. 3.3) vengono forniti gli indirizzi operativi che, partendo dal quadro normativo vigente, possano cogliere il senso dei cambiamenti in atto, restituendo un contesto procedurale chiaro ed omogeneo per l’adozione di opportune discipline e licenze d’uso alla pubblicazione online delle riproduzioni dei beni culturali.

Accanto al tema delle riproduzioni dei beni culturali, che impatta evidentemente sulla crescente domanda di “immagini” e materiali audiovisivi di svariata natura, si innesta il principio del libero riutilizzo dei dati della pubblica amministrazione, introdotto dalle direttive comunitarie [15] e consolidato nel Codice dell’amministrazione digitale [16]_ (CAD); tali disposizioni sanciscono l’obbligo per il settore pubblico di rilasciare i propri dati in modalità aperta (Open Data). Questo principio muove dalla convinzione che il libero riutilizzo dei dati, anche per fini commerciali, contribuisca alla creazione di valore per la società grazie alle potenzialità connesse allo sviluppo di servizi connessi: tanto più sono elevate la qualità e quantità dei dati aperti messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni, quanto maggiori saranno le probabilità che essi vengano riutilizzati nella creazione di servizi innovativi.

Questo percorso rientra in una più ampia strategia europea dei dati [17], che trova nel CAD e nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione [18] la declinazione nel contesto italiano. I dati del patrimonio culturale rientrano appieno in tale prospettiva e pertanto vanno trattati in conformità a quanto previsto nel quadro legislativo e procedurale tracciato dalle norme sovraordinate.

Prima di delineare le azioni strategiche collegate al processo di apertura dei dati degli istituti culturali, occorre precisare che le riflessioni che seguono si intendono applicate:

  • Ai dati descrittivi del patrimonio culturale contenute nei cataloghi e nelle banche dati nazionali e territoriali.
  • Ai dati prodotti nell’ambito dell’attività istituzionale del Ministero e degli istituti culturali.
  • Ai contenuti culturali prodotti nelle attività di valorizzazione, laddove compatibile con la disciplina del diritto d’autore.

Analizzando una recente ricerca empirica sull’adozione di politiche di Open Access presso istituti GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museums) di tutto il mondo [19], è possibile constatare come l’apertura dei dati non sia una pratica ancora adottata sistematicamente dagli istituti culturali italiani [20]. Per superare questo divario, dovuto a un più lento adeguamento del comparto cultura alle nuove opportunità aperte dalla condivisione e circolazioni di dati e conoscenze, occorre superare le resistenze ancora esistenti derivanti, più che da posizioni di principio, da una oggettiva difficoltà da parte degli istituti culturali a confrontarsi con un tema che richiede specifiche competenze tecniche.

Il PND, combinando le indicazioni operative contenute nelle Linee guida della parte terza (cfr. par. 3.1 e 3.2) con il programma formativo previsto nell’ambito del PNRR (cfr. par. 2.3.a), intende perseguire diverse finalità: favorire la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le pubbliche amministrazioni e da parte di cittadini e imprese, aumentare la qualità dei dati e dei metadati, aumentare la consapevolezza sulle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e su una moderna economia dei dati. A tale scopo, riprendendo la schematizzazione del precedente paragrafo 2.2.a [21], si individuano le seguenti azioni strategiche:

  • Livello 1 (direzioni generali): gestione e sviluppo del sito dati.beniculturali.it, inteso quale interfaccia unica rispetto alla “Piattaforma digitale nazionale dati” [22]; identificazione delle basi dati strategiche del Ministero e pubblicazione del relativo catalogo in coerenza con il profilo DCAT-AP_IT [23]; identificazione dei sistemi informativi pubblici che espongono API coerenti con il modello di interoperabilità e con i modelli di riferimento di dati nazionali ed europei; normalizzazione delle licenze d’uso aperte utilizzate; promozione di iniziative di formazione e divulgazione sul tema.
  • Livello 2 (istituti centrali): aumento del numero di dataset aperti di tipo dinamico e del numero di dataset con metadati di qualità conformi agli standard di riferimento europei e dei cataloghi nazionali (dati.gov.it, geodati.gov.it), pubblicati sul sito dati.beniculturali.it in coerenza con quanto previsto dal quadro normativo nazionale ed europeo; attivazione dell’interoperabilità con l’infrastruttura software del patrimonio culturale (cfr. par. 2.1.a) secondo API standard; realizzazione di iniziative di coinvolgimento di utenti e sviluppatori per il riuso dei dataset rilasciati in formato aperto.
  • Livello 3 (istituti culturali): produzione e gestione dei dati, sulla base delle proprie finalità istituzionali, conformemente gli standard nazionali e alle indicazioni espresse nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale; utilizzo di software di catalogazione, se diversi da quelli messi a disposizione gratuitamente dagli Istituti centrali, che siano pienamente interoperabili con i sistemi nazionali attraverso l’esposizione di API standard o attraverso il conferimento ai sistemi nazionali secondo i formati di trasferimento definiti dagli istituti centrali; crescita qualitativa e aggiornamento dei dati nel tempo; chiara associazione delle licenze d’uso ai dataset rilasciati in formato aperto.

Nelle Linee guida per la redazione del Piano di gestione dei dati (cfr. par. 3.2) sono contenute una serie di indicazioni operative volte a facilitare l’adozione di pratiche di apertura dei dati come momento qualificante del ciclo di vita della risorsa digitale.

2.2.c. Design dei servizi e modelli per la creazione di valore

Per migliorare e innovare l’attuale gestione del patrimonio digitale, basata quasi esclusivamente sull’offerta di prodotti (ovvero di risorse digitali intese come mere riproduzioni di beni culturali fisici), è necessario intraprendere un percorso sfidante di progettazione dei servizi e dei modelli per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Per condurre quest’operazione in modo efficace ed efficiente si possono distinguere tre macro-categorie di servizi digitali erogabili:

  • Servizi digitali di base: riguardano la ricerca di informazioni (lato fruizione) e la condivisione di contenuti (lato creazione);
  • Prodotti e servizi digitali a valore aggiunto: sono rappresentati da servizi innovativi di elaborazione avanzata dei dati e dei contenuti per la creazione di prodotti educativi, espositivi, editoriali, commerciali;
  • Servizi digitali per la gestione: includono i servizi dedicati alla gestione del patrimonio (back-end), delle attività istituzionali (front-end) e delle funzioni legate alla fruizione (ticketing, prenotazione, pagamenti, segnalazioni, ecc.).

La mappatura delle tipologie dei beni culturali, condotta in funzione del loro potenziale di valorizzazione insieme all’analisi dei mercati e dei target di riferimento per l’erogazione dei servizi da parte degli istituti culturali, costituisce la base per la definizione di processi end to end. Questi vanno progettati nel contesto di una strategia circolare - che muove dal gestore all’utente e viceversa - e poi implementati a seconda dei potenziali utilizzatori: le istituzioni (modello B2I Business-to-Institutions), le imprese (modello B2B Business-to-Business), gli utenti (modello B2C Business-to-Consumer); ciò indipendentemente dal fatto che vengano sviluppati a livello centrale o territoriale.

Sulla base dei servizi digitali e dei processi end-to-end saranno adottati nuovi modelli di gestione capaci di armonizzare la funzione dell’apertura inclusiva, partecipata e democratica delle collezioni con gli obiettivi di valorizzazione, anche economica, del patrimonio culturale digitalizzato. La finalità di questa azione strategica consiste nel proporre modalità di gestione sostenibili nel tempo. I nuovi servizi si rivolgeranno a tutte le categorie individuate nei mercati di riferimento (B2I, B2B, B2C) e, potenzialmente, potranno estendersi oltre i confini nazionali per intercettare la domanda internazionale.

Il corrispettivo naturale del processo di design dei servizi è l’adozione di indici di misurazione delle performance e di metriche per l’autovalutazione delle condizioni di partenza, dei progressi registrati nel tempo e dei risultati finali degli istituti culturali (il cosiddetto Digital Maturity Assesment già sperimentato con successo su base volontaria in altre nazioni europee).

La capacità di comprendere e vagliare il proprio livello di maturità digitale è un’opportunità fondamentale per un’istituzione culturale, poiché rappresenta la base di partenza su cui fondare il proprio processo di sviluppo. L’impiego di metodologie e strumenti di valutazione della maturità digitale consente di monitorare i livelli di attuazione delle misure proposte, ottenendo dati quantitativi e qualitativi che permettono di rilevare oggettivamente gli stati di avanzamento della transizione digitale. In questo modo sarà possibile incentivare–anche tra gli enti gestori del patrimonio – l’adozione di processi decisionali guidati da evidenze quantitative e qualitative (data-driven), che valorizzino i dati originati dall’espletamento delle funzioni degli istituti nell’interpretazione del cambiamento.

Tutti questi aspetti troveranno una più approfondita trattazione nelle Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione (cfr. par. 3.4) che metteranno a fuoco le tipologie dei beni culturali e il loro potenziale di valorizzazione, identificheranno i prodotti realizzabili e i servizi erogabili, definiranno i processi end-to-end e analizzeranno i modelli di gestione applicabili per la creazione di valore culturale, sociale ed economico. Nel documento Introduzione alla metodologia per la valutazione della maturità digitale degli istituti culturali (cfr. par. 3.5) vengono invece descritti i principali modelli di Digital Maturity Assessment, le opportunità di applicazione al patrimonio culturale e alcuni casi di strumenti esistenti.

[11]Nel 2014 sono stati elaborati alcuni principi fondamentali, denominati F.A.I.R. (Findable, Accessible, Interoperable, Re-Usable), per ottimizzare la riutilizzabilità dei dati della ricerca; il testo completo è disponibile all’indirizzo https://www.force11.org/group/fairgroup/fairprinciples
[12]Per un approfondimento sui dati aperti si veda il documento “FAQ per la pubblicazione di dati aperti” allegato alle Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati (Data Management Plan).
[13]Il sistema di livelli proposto descrive il modello organizzativo del Ministero della cultura ma può essere facilmente adattato anche alle amministrazioni regionali e comunali.
[14]Creative Commons è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fornisce licenze gratuite, strumenti che i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi possono utilizzare per consentire ad altri di condividere, riutilizzare e remixare legalmente le proprie opere. Il rilascio di materiale con una delle sei licenze CC chiarisce agli utenti cosa possono o non possono fare. Per approfondimenti cfr. https://creativecommons.it/chapterIT/.
[15]La direttiva europea (UE) 2019/1024, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, rifonde in un unico testo le precedenti direttive 2003/98/CE e 2013/37/UE.
[17]“La strategia europea in materia di dati mira a fare dell’UE un leader in una società basata sui dati. La creazione di un mercato unico dei dati consentirà a questi ultimi di circolare liberamente all’interno dell’UE e in tutti i settori a vantaggio delle imprese, dei ricercatori e delle amministrazioni pubbliche. Le singole persone, le imprese e le organizzazioni dovrebbero essere messe in grado di adottare decisioni migliori sulla base delle informazioni derivate da dati non personali”. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/european-data-strategy_it.
[18]Il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione è uno strumento elaborato da AgID (Agenzia per l’Italia digitale) per promuovere la trasformazione digitale del Paese e, in particolare, quella della Pubblica Amministrazione italiana. La versione del Piano 2021-2023 è disponibile all’indirizzo https://www.agid.gov.it/it/agenzia/piano-triennale.
[19]Douglas McCarthy, Andrea Wallace, Survey of GLAM open access policy and practice, 2018 to present, CC BY 4.0, https://docs.google.com/spreadsheets/d/1WPS-KJptUJ-o8SXtg00llcxq0IKJu8eO6Ege_GrLaNc/edit#gid=1216556120.
[20]Su 934 soggetti dell’ecosistema GLAM europeo che mettono a disposizione dati della cultura in accesso aperto per mezzo dei loro siti web e/o di piattaforme esterne, come Europeana e Wikimedia Commons, solo 24 sono italiani, contro 178 della Germania, 89 del Regno Unito, 82 della Svezia, 75 della Polonia, 62 di Francia e Olanda, 45 di Spagna, 39 di Portogallo, 36 di Svizzera e Norvegia, 33 di Belgio.
[21]Il sistema di livelli proposto descrive il modello organizzativo del Ministero della cultura ma può essere facilmente adattato anche alle amministrazioni regionali e comunali.
[22]Art. 53-ter del Codice dell’amministrazione digitale.
[23]Profilo italiano dei metadati richiesti per descrivere tutti i dati disponibili presso la pubblica amministrazione. Il profilo è elaborato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Il profilo nazionale, denominato anche “Profilo italiano di DCAT-AP” (DCAT-AP_IT), si inserisce nel contesto del framework europeo di interoperabilità. È una estensione della specifica DCAT-AP (Data Catalog Vocabulary – Application Profile) rilasciata a novembre 2015. Per approfondimenti cfr. https://dati.gov.it/content/dcat-ap-it-v10-profilo-italiano-dcat-ap-0.