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Documenti pubblici, digitali.

1.1 Valori

I valori fondativi della visione del PND ruotano attorno ai concetti chiave di paesaggio culturale, patrimonio culturale digitale e relazioni. Questi valori creano un terreno comune su cui operare e costituiscono la premessa per il raggiungimento di specifici obiettivi di cambiamento all’interno di un progetto di ampio respiro. In questa prospettiva, la pubblica amministrazione ha un ruolo fondamentale nel preservare l’eredità culturale, comunque essa venga declinata, e nel renderla accessibile a tutti nel lungo periodo.

1.1.a. Contesti come paesaggi culturali

Il patrimonio culturale è oggi contraddistinto da due letture prevalenti: la prima, di stampo tecnico-amministrativo, è incardinata nel sistema statale - e latu sensu “pubblico” - di tutela dei beni culturali; l’altra, incentrata sulle pratiche sociali, è stata sviluppata da organismi sovranazionali (Unesco e ICOM prima, Commissione Europea poi). La prima lettura si focalizza sui beni culturali, sulla loro selezione, gerarchizzazione e legittimazione; la seconda si fonda sui processi di riconoscimento sociale e patrimonializzazione condivisa operati dalle comunità locali e globali. L’Italia ha recepito la convenzione di Faro solo nel settembre del 2020 [2], a testimonianza delle difficoltà incontrate nell’armonizzarne l’inquadramento giuridico con la gestione dell’espansione dei processi di patrimonializzazione intrapresi a livello territoriale dalle amministrazioni locali e dai soggetti privati senza finalità di lucro. La costruzione di un patrimonio culturale digitale composto da oggetti collocabili in una infosfera, al di fuori quindi delle coordinate spazio/temporali del patrimonio tradizionale, può rappresentare per l’Italia l’occasione per recuperare e interpretare un ruolo rilevante sulla scena culturale globale, senza rinunciare alla propria storica tradizione di tutela.

Il patrimonio culturale è frutto di un processo di riconoscimento critico, attribuzione di senso e gerarchizzazione che sempre si rinnova, in funzione delle mutate sensibilità intellettuali, politiche e disciplinari; per questo fronteggia interpretazioni e letture plurime derivanti dalle opinioni e dalle attitudini di generazioni, gruppi sociali e individualità differenti, che mutano nei diversi contesti storici. Nell’attuale cultura globalizzata, i confini del patrimonio culturale, finora marcati in modo netto per effetto del processo di individuazione dei beni in funzione della tutela, tendono a sfumare nello scenario del “paesaggio”, costituito da luoghi in cui coesistono narrazioni e relazioni. La nozione di paesaggio culturale appare dunque più appropriata per integrare la visione istituzionale del patrimonio culturale con gli apporti che derivano dall’interazione fra territori, luoghi, cose e sguardi soggettivi, dunque suscettibile di potenziamenti e valorizzazioni grazie alle contaminazioni occorrenti nell’ecosistema digitale. All’interno di questo paesaggio culturale, il patrimonio italiano si contraddistingue per le seguenti caratteristiche:

  • Eredità culturale: è presente nei contesti territoriali e nelle tradizioni locali, formando il cosiddetto “patrimonio diffuso”, spesso declinabile sia in termini di “radici” (identità), sia in termini di “trasmissibilità” (i beni sono ancorati ai territori e vengono trasmessi di generazione in generazione);
  • Capillarità: vi è un nutrito presidio di istituzioni culturali disseminate su tutto il territorio (monumenti, siti archeologici, musei, archivi, biblioteche, istituti culturali), che insieme costituiscono una rete di competenze che detiene conoscenze rilevanti, che non vanno disperse nei passaggi intergenerazionali;
  • Conoscenza: le istituzioni esprimono una solida e antica tradizione catalografica;
  • Riconoscibilità: i prodotti della creatività italiana vantano forti radici storico-culturali, tanto da essere riconoscibili e apprezzati a livello internazionale.

In questo contesto, la digitalizzazione del patrimonio culturale deve assicurare vitalità narrativa e pluralismo interpretativo, affinché gli “oggetti culturali”, nei loro corrispettivi digitali, possano convivere con una pluralità di visioni e costruzioni di senso rispondenti a diversi usi sociali, a partire da una corretta ricostruzione del contesto di provenienza. (cfr. par. 1.3.a).

1.1.b. Patrimonio culturale digitale

Il Consiglio dell’Unione Europea [3] ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali, nella duplice accezione di nativamente digitali e prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica/copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili e non solo “pensabili”.

Il patrimonio culturale digitale è costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base di alcune qualità accertate. Essi sono collegati ai beni culturali fisici, ma possiedono un’autonomia ontologica. Sono disponibili e accessibili, non ponendo alcuna barriera geografica e temporale alla libera fruizione. Sono dispositivi di potenziamento: il patrimonio, nelle società contemporanee, è strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra diversità, alterità e pluralità. Gli oggetti del patrimonio culturale digitale, inoltre, saldano tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione. Infine, uniscono tempi, beni (materiali o immateriali), luoghi e persone, perché l’originale significato patrimoniale di cui sono latori si situa sempre all’interno di percorsi concettuali e di senso.

D’altronde, è ormai acquisito dagli esperti di settore che il digitale non debba essere considerato un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo. Per sfruttare le potenzialità del digitale, occorre quindi comprenderne le logiche, i modelli, le funzionalità e i dispositivi, evolvendo da una rappresentazione limitata alla fruizione passiva tipica delle piattaforme commerciali, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività. L’ambiente digitale è dunque un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione. L’oggetto culturale rischia infatti di perdere significato nella decontestualizzazione, come sa chiunque si sia confrontato con le problematiche poste dai limiti intrinseci degli spazi espositivi tradizionali; nello spazio della rete la frattura con i contesti originari può essere parzialmente sanata dalla ridefinizione di significato derivante dalle relazioni tra risorse digitali. In questo percorso, peraltro, nulla va perduto: la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa infatti uno degli elementi salienti del patrimonio digitale.

Tuttavia, questa complessa operazione non può essere affidata solo alla tecnologia. La descrizione e il racconto attribuiti agli oggetti del patrimonio, anche nella loro dimensione sociale, necessitano di esperti di dominio che possano pensare i contenuti e valorizzarne la rappresentazione attraverso il corretto trattamento dei dati correlati e lo sviluppo di prodotti interattivi (interaction design). Il patrimonio culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse. In questo scenario, la cultura digitale è una pre-condizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale: è possibile immaginare il futuro come un ecosistema nel quale tutti gli attori e le professionalità del settore possono relazionarsi.

1.1.c. Il capitale semantico delle relazioni

L’ambiente digitale trova la propria essenza costitutiva nelle relazioni, ovvero nella possibilità di generare e rigenerare connessioni reciproche tra le informazioni, producendo nuovi significati. Accettare il valore delle relazioni comporta la transizione verso nuovi modelli di rappresentazione della conoscenza, non più coincidenti con la visione generata dall’istituzione che ha in consegna il bene culturale, ma integrati e potenziati da una pluralità di punti di vista, spesso inediti e originali. Il web è il luogo in cui si manifestano le relazioni semantiche fra le risorse digitali dei diversi domini del patrimonio culturale: i beni culturali diventano così i nodi di una rete di relazioni alla cui costruzione tutti possono contribuire. I dati dovranno quindi essere organizzati e modellati secondo metodi che esaltino la possibilità di essere correlati ad altri dati, anche in modo automatizzato.

Non si tratta di una questione esclusivamente tecnologica: le entità dell’ecosistema del patrimonio culturale che popolano l’ambiente digitale sono molteplici, e solo in parte delimitate e delimitabili nell’acronimo MAB (Musei, Archivi, Biblioteche) o GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museum); all’interno di questo universo possiamo infatti individuare in modo schematico:

  • Un segmento “consolidato”, rappresentato dagli istituti che detengono il patrimonio culturale e producono dati e informazioni su di esso.
  • Un segmento “operativo”, costituito dagli studiosi e dai diversi operatori che a vario titolo agiscono attorno al patrimonio culturale.
  • Un segmento “aperto”, cioè un universo dinamico e mutevole di utenti generalisti, studenti, associazioni, turisti e imprese culturali e creative operanti nella filiera produttiva.

Ciascun segmento è in grado di produrre ambiti di conoscenza differenti, ma ciò che tiene insieme l’ecosistema è la possibilità di creare valore a partire dai dati del patrimonio culturale, sfruttando la potenzialità generativa delle relazioni.

[2]La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005, è stata ratificata con la legge 1° ottobre 2020, n. 133 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, Anno 161° - Numero 263).
[3]Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti - materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo”; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014XG0614(08)&from=PL