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Documenti pubblici, digitali.

2.2. La direttiva 2019/1024 (PSI) e il d.lgs. 200/2021 di recepimento [7]

La direttiva 2019/1024 sul riuso dei dati prodotti dalla pubblica amministrazione (Public Sector Information) fornisce riferimenti che non possono essere ignorati nel trattare il tema della riproduzione del bene culturale pubblico, il quale si qualifica come dato pubblico a tutti gli effetti. Si tratta della terza direttiva PSI in ordine di tempo: la direttiva del 2013, rispetto alla prima del 2003, aveva incluso per la prima volta nel proprio ambito di applicazione i dati detenuti da musei, archivi e biblioteche, anche se di fatto rimase in buona parte priva di effetti su questi istituti per la mancata emanazione del decreto ministeriale che avrebbe dovuto definire i criteri di tariffazione legati al riuso dei dati detenuti dagli istituti di conservazione.

Il principio generale della direttiva è quello di favorire al massimo il riutilizzo dei dati della pubblica amministrazione, a eccezione dei dati esclusi dal diritto di accesso ai sensi di specifiche norme nazionali e nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali. Tale principio muove dalla convinzione, ribadita di recente dalla raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione Europea del 10 novembre 2021, che il libero riutilizzo dei dati, anche per fini commerciali, possa essere un potente moltiplicatore di ricchezza e un asset strategico per lo sviluppo sociale, culturale ed economico dei Paesi membri. In una fase di forte crescita dei settori che si occupano dell’elaborazione di dati disaggregati per lo sviluppo di nuovi servizi digitali, tanto maggiore è la qualità e quantità degli Open Data messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni, quanto maggiori saranno le probabilità che i dati vengano riutilizzati nella creazione di servizi innovativi contribuendo al benessere della società.

Per tali ragioni già la direttiva del 2013 prescriveva per le amministrazioni l’obbligo - e non più la mera facoltà - di rendere riutilizzabili per fini commerciali o non commerciali i dati in loro possesso, ove possibile per via elettronica e in formati aperti, leggibili meccanicamente, accessibili, reperibili e riutilizzabili, insieme ai rispettivi metadati. La regola è la gratuità del dato, anche se può essere prevista una tariffa limitata al recupero dei costi cosiddetti “marginali”, identificabili con quelli sostenuti dall’amministrazione per la riproduzione, fornitura e diffusione dei dati.

La direttiva introduce tuttavia un’eccezione per i dati detenuti da musei, archivi e biblioteche, i quali possono richiedere il pagamento di tariffe superiori ai costi marginali al fine di poter acquisire un congruo utile sull’investimento pubblico richiesto per finanziare le attività di digitalizzazione, pur rimanendo liberi di non richiederne affatto [8]. Gli Stati membri hanno perciò la facoltà di normare la tariffazione in ordine alla cessione e/o il riutilizzo dei dati degli istituti di tutela.

Il decreto legislativo 18 novembre 2021, n. 200 che recepisce la più recente direttiva PSI andando a modificare il decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, presenta alcuni elementi di novità su cui è bene soffermarsi: mentre il decreto legislativo 18 maggio 2015, n. 102, che recepiva la precedente direttiva PSI, vincolava esplicitamente qualsiasi forma di riutilizzo commerciale dei dati di musei, archivi e biblioteche al pagamento di tariffe [9], il decreto attuale di recepimento si limita invece a stabilire come mera eventualità l’imposizione di costi aggiuntivi, con un rinvio espresso alla disciplina sulle riproduzioni presente nel Codice dei beni culturali [10]. Ciò, come si vedrà, ha importanti riflessi sul piano delle licenze di rilascio delle immagini in rete da parte degli istituti culturali pubblici (cfr. cap. Principi per il riuso delle riproduzioni digitali del patrimonio culturale e dei relativi metadati; Modalità di pubblicazione online delle riproduzioni digitali e scelta delle licenze d’uso da adottare).

Alla data di emanazione delle presenti Linee guida, sono in corso di redazione da parte di AgID le nuove Linee Guida recanti regole tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e s.m.i. relativo all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico [11]. Nella redazione del documento AgID recepisce i contenuti delle Linee Guida per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, il cui ultimo aggiornamento risale al 2017 in quanto non più previste dal CAD, mantenendo le indicazioni pertinenti e ancora valide.

[7]D.lgs. 200/2021 - Attuazione della direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico.
[8]“I limiti massimi per i corrispettivi di cui alla presente direttiva non pregiudicano il diritto degli Stati membri di imporre costi inferiori o di non imporne affatto” (Direttiva 2019/1024, considerando 39).
[9]“La Direttiva 2013/37/UE è stata recepita in Italia con il d.lgs. 102/2015, che ha aggiornato il d.lgs. 36/2006 di recepimento della prima Direttiva PSI del 2003. L’Italia ha così accolto il principio tariffario della normativa europea, precisando che musei, archivi e biblioteche di appartenenza pubblica, laddove chiedano un corrispettivo per mettere a diposizione del pubblico i propri dati, non sono tenuti a limitare l’importo di tale corrispettivo ai costi effettivi sostenuti. I criteri tariffari sono fissati con un decreto del Mibac, che a oggi, però, non è ancora stato adottato” (L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I “pieni” e i “vuoti normativi, in Aedon, 3, 2018).
[10]La nuova formulazione dell’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 36/2006, chiarisce che sono inclusi nell’ambito di applicazione della norma i documenti i cui diritti di proprietà intellettuale sono detenuti da biblioteche, comprese le biblioteche universitarie, i musei e gli archivi, qualora il riutilizzo di questi ultimi documenti sia autorizzato in conformità alle disposizioni di cui alla Parte II, Titolo II, Capo I (art. 107 e 108) e Capo III, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Inoltre all’ 7 rispetto alla precedente - e ben più restrittiva - formulazione introdotta dal d.lgs. 102/2015 di ricezione della direttiva 2013/37/UE, fa salva la facoltà per gli istituti di tutela di non richiedere alcun corrispettivo sul riuso delle riproduzioni (come nel caso delle policy di Open Access citate nel cap. 4), pur ammettendo la possibilità di generare utili mediante l’imposizione di corrispettivi. Questi ultimi, pertanto, possono essere messi in relazione a forme di riutilizzo commerciale già normate dall’art. 108 del Codice dei beni culturali ma anche, eventualmente, alla semplice acquisizione di riproduzioni digitali pubblicate nei siti web degli istituti (cfr. par. Modalità di acquisizione delle riproduzioni, A8. Riproduzioni acquisite da soggetti pubblici o privati dai siti web istituzionali del MiC mediante download).
[11]Le Linee guida, redatte da AgID in ottemperanza all’art. 13 del d.lgs. 36/2006, alla data attuale in consultazione pubblica, sono disponibili all’indirizzo https://docs.italia.it/AgID/documenti-in-consultazione/lg-opendata-docs