Docs Italia beta

Documenti pubblici, digitali.

5.2. Licenze e termini d’uso

Mentre le licenze CC si prestano bene ad essere utilizzate per rilasciare fotografie, produzioni audio-video, contenuti editoriali e banche dati coperti da diritto d’autore [46], il loro utilizzo non è adatto per le riproduzioni fedeli di beni culturali pubblici in pubblico dominio. Come si è visto, la mera riproduzione di un’opera delle arti visive in pubblico dominio non può essere oggetto né di diritti d’autore né di diritti connessi che giustificherebbero il ricorso a licenze a base autoriale come le CC. Nemmeno gli strumenti per il pubblico dominio appaiono offrire una soluzione adeguata al panorama nazionale: se infatti lo strumento CC0 presuppone un’originaria titolarità di diritti (che invece è assente nelle mere riproduzioni visive in pubblico dominio), l’etichetta PDM (Public Domain Mark) viceversa non sembra essere uno strumento adeguato a rappresentare i vincoli di matrice pubblicistica sulle riproduzioni di beni culturali pubblici in pubblico dominio previsti dal Codice dei beni culturali [47].

Il ricorso a standard internazionali per il rilascio delle digitalizzazioni del patrimonio culturale è espressamente caldeggiato dalla Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione Europea del 10 novembre 2021, in base alla quale “gli istituti di tutela del patrimonio culturale dovrebbero aderire agli standard e ai quadri pertinenti, come quelli utilizzati dall’iniziativa Europeana per la condivisione di contenuti digitali e metadati, tra cui il modello di dati Europeana, RightsStatements.org e il quadro di pubblicazione di Europeana, al fine di conseguire l’interoperabilità a livello europeo”.

Le dodici dichiarazioni sui diritti fornite dal consorzio RightsStatements.org, interoperabili e standardizzate a livello internazionale, mettono a disposizione degli istituti di conservazione del patrimonio culturale uno strumento pensato per comunicare al pubblico l’eventuale sussistenza di diritti di riproduzione sugli oggetti digitalizzati [48]. Le dichiarazioni di diritti sono state progettate tenendo conto sia degli utenti umani che delle macchine (attraverso i motori di ricerca) facendo uso della tecnologia del web semantico. Esse offrono una soluzione agli istituti culturali che non possono applicare licenze Creative Commons perché non hanno il permesso del titolare dei diritti, oppure perché le risorse digitali, pur in pubblico dominio, sono soggette a restrizioni di natura estranea all’ambito del diritto d’autore che, come nel caso del Codice dei beni culturali, ne limitano il riutilizzo. È importante sottolineare che queste “dichiarazioni” (statements) non sono licenze, bensì si trovano associate a queste ultime intervenendo per chiarire quali sono i principali effetti di licenze o di strumenti che non risultano standardizzati a livello internazionale.

In particolare la dichiarazione “NoC-OKLR: No Copyright-Other Known Legal Restrictions” (“NO COPYRIGHT-ALTRE RESTRIZIONI LEGALI NOTE”) [49] è l’unica compatibile con le norme di tutela italiane. Tale dichiarazione sta infatti a indicare che l’uso dell’immagine non è limitato dal diritto d’autore e/o dai diritti connessi ma da altre norme nazionali, come appunto il Codice dei beni culturali, che impongono restrizioni all’uso dell’oggetto digitale.

A tale dichiarazione si dovranno associare le specifiche condizioni di pubblicazione delle riproduzioni di beni culturali in pubblico dominio di proprietà statale, utile per rendere immediatamente comprensibili al pubblico i termini di riutilizzo delle immagini in base a standard condivisi a livello ministeriale; tali condizioni sono esplicitate in una specifica “etichetta” contenente le condizioni d’uso per le riproduzioni di beni culturali come di seguito illustrato:

Beni Culturali Standard (BCS)

Questa etichetta non è una “licenza” bensì si limita a sintetizzare il contenuto delle norme vigenti in materia di riproduzione di beni culturali pubblici, definendone i termini d’uso legittimo.

L’associazione di questa etichetta alla riproduzione di un bene culturale statale in pubblico dominio a livello di metadati esterni e interni indicherà che la divulgazione del contenuto è libera per fini diversi dal lucro, ovvero, “per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale” ai sensi dell’art. 108, comma 3- bis del Codice dei beni culturali e, in particolare, nella dettagliata casistica di utilizzi gratuiti che figurano nel presente documento (cfr. par. Tipologie d’uso delle riproduzioni di beni culturali). Qualsiasi utilizzo commerciale della riproduzione contrassegnata da questa sigla dovrà di conseguenza essere preventivamente autorizzato dall’ente proprietario del bene culturale e potrà essere soggetto alla corresponsione di un corrispettivo economico da parte dell’utente. Chi riutilizza il contenuto contrassegnato dall’etichetta BCS è infine invitato a riportare correttamente la provenienza del bene, indicando l’istituto culturale che conserva il bene medesimo e, possibilmente, anche l’autore/titolo dell’opera o la segnatura archivistica del documento, così come indicato nei metadati che corredano l’oggetto digitale.

La qualifica di “standard” propria di questa etichetta si giustifica alla luce degli standard definiti nel presente documento. Di conseguenza gli Istituti che sceglieranno di introdurre eccezioni ai principi generali qui espressi, incluso quello della gratuità per gli usi editoriali (cfr. par. Tipologie d’uso delle riproduzioni di beni culturali, :U2. Usi editoriali) non potranno ricorrere a questo tipo di etichetta.

[46]Può essere utile, a titolo esemplificativo, citare l’opera di digitalizzazione dell’archivio fotografico di Paolo Monti intrapresa dalla biblioteca della Fondazione BEIC di Milano. Dopo la morte del fotografo, nel 1982, l’istituto ha acquisito la proprietà dell’intero fondo fotografico e dei relativi diritti di sfruttamento economico (che scadranno nel 2052) scegliendo di rendere disponibili in rete le riproduzioni digitali delle fotografie attraverso licenze CC BY-SA (https://www.beic.it/it/articoli/fondo-paolo-monti).
[47]PDM (Public Domain Mark) è uno strumento legale messo a disposizione da Creative Commons per contrassegnare le opere in pubblico dominio. In numerosi istituti culturali in tutto il mondo questa tipologia di etichetta individua risorse culturali digitali, e per questo, rese liberamente riutilizzabili per qualsiasi finalità. Il ricorso in Italia a questo tipo di etichetta, stante le limitazioni espresse dal Codice dei beni culturali, rischierebbe di ingenerare confusione di fronte al pubblico internazionale circa le corrette possibilità di riutilizzo delle immagini in pubblico dominio.
[48]Rights statements: https://rightsstatements.org/page/1.0/?language=it
[49]“L’uso di questo oggetto non è limitato dal diritto d’autore e/o dai diritti connessi. In una o più giurisdizioni è noto che leggi diverse dal diritto d’autore impongono restrizioni all’uso di questo oggetto. Si prega di fare riferimento all’organizzazione che ha messo l’oggetto a disposizione per maggiori informazioni” (https://rightsstatements.org/page/NoC-OKLR/1.0/?language=it).