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Documenti pubblici, digitali.

2.4. Tipologie di beni culturali in relazione alla tipologia di riproduzione

Sui beni culturali oggetto di digitalizzazione hanno rilievo diritti di diversa natura (tutela pubblicistica, tutela del diritto d’autore, tutela della riservatezza), i quali sono da porre in relazione alle due principali tipologie di riproduzione sul piano del diritto d’autore (riproduzione fedele e creativa del bene culturale).

Di seguito vengono analizzate tali componenti, incrociandole tra loro. In particolare con “B1-B3” si indica lo status dei diritti sui Beni culturali da riprodurre e con “R1-R2” le tipologie di Riproduzione. Si rinvia infine al quadro di sintesi riportato in fondo al presente paragrafo.

2.4.1. B1. Beni culturali pubblici in pubblico dominio

Sui beni culturali in pubblico dominio [15] (B1) non gravano per definizione privative di tutela del diritto d’autore. Le riproduzioni in questo caso soggiacciono esclusivamente al Codice dei beni culturali e, eventualmente, alle norme sulla tutela della riservatezza (cfr. B3. Beni archivistici pubblici caratterizzati da problematiche di riservatezza).

Le riproduzioni fedeli o mere riproduzioni (R1), prive di carattere creativo, di beni culturali non protetti da diritto d’autore costituiscono la stragrande maggioranza delle attuali fattispecie nell’ambito degli istituti di tutela ministeriali e, per questa ragione, anche l’oggetto principale del presente documento. Il semplice atto di digitalizzazione (la conversione di un dato da analogico a digitale) di un documento d’archivio, di un dipinto, di un’opera architettonica o scultorea richiede certamente il possesso di competenze tecniche qualificate da parte dell’operatore ma non costituisce un apporto creativo e originale tale da poter prefigurare la costituzione di un’opera creativa; trova quindi applicazione l’art. 32-quater della LdA [16], che stabilisce che le riproduzioni fedeli di opere per le quali siano scaduti i termini della protezione del diritto d’autore non sono soggette a loro volta al diritto d’autore (cfr. par. La direttiva 2019/790 (Copyright) e il d.lgs. 177/2021 di recepimento 12). Non appare dunque più congruente la pratica adottata da molti istituti culturali di rilasciare in rete le riproduzioni dei beni culturali sotto © Copyright (tutti i diritti riservati), dal momento che tale dicitura non solo non è applicativa della disciplina del Codice dei beni culturali, ma non trova presupposti nemmeno nella LdA; per lo stesso motivo, si ritengono non applicabili le licenze Creative Commons per la circolazione delle riproduzioni fedeli di beni culturali pubblici in pubblico dominio, giacché tali licenze agiscono esclusivamente nella sfera del diritto d’autore e dei diritti connessi (cfr. cap. Principi per il riuso delle riproduzioni digitali del patrimonio culturale e dei relativi metadati; par. Cosa sono le licenze).

Le riproduzioni creative (R2) di beni culturali sono invece riproduzioni alle quali l’autore è riuscito a imprimere un livello di creatività tale da renderle meritevoli di tutela sotto il profilo della disciplina del diritto d’autore. Spetta all’autore dell’opera il diritto di sfruttamento economico dell’opera, che si qualifica – tra gli altri aspetti - come il diritto esclusivo di “moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia e ogni altro procedimento di riproduzione” (LdA, art. 13).

Nella riproduzione creativa (R2) di un bene culturale pubblico in pubblico dominio (B1) è necessario dunque far riferimento a due diverse normative: da un lato quella riferita all’autore dell’opera fotografica, dall’altro quella riferita al bene culturale pubblico oggetto di riproduzione ai sensi dell’art. 108 del Codice dei beni culturali. È questo il caso, ad esempio, del concorso fotografico annuale promosso da Wikimedia Italia e denominato “Wiki Loves Monuments” [17], in occasione del quale fotografi professionisti e dilettanti ritraggono i monumenti italiani alimentando una banca dati di immagini online a disposizione per il riuso. Il fatto che i fotografi pubblichino le immagini con licenza aperta (nella fattispecie CC BY-SA), consentendo quindi anche ad altri di sfruttare economicamente l’opera fotografica di cui sono autori, non implica il venir meno della disciplina del Codice dei beni culturali. Quindi, in tutti i casi in cui le immagini siano sfruttate economicamente, dal fotografo stesso o da terzi, si applicano i corrispettivi di riproduzione del Codice. È quindi opportuno in questi casi procedere preliminarmente alla stipula di chiari accordi tra il fotografo/artista e il luogo della cultura che ha in consegna il bene al fine di disciplinare la gestione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera creativa e degli eventuali corrispettivi previsti dal Codice dei beni culturali in presenza di forme di riutilizzo commerciale delle riproduzioni del bene.

Le fotografie realizzate da professionisti dei beni culturali che documentano lo svolgimento di attività di tutela (ricognizioni paesaggistiche, campagne di documentazione scavi archeologici, ecc.) quali “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo” rientrano nel novero delle “fotografie semplici” (LdA, art. 87), come tali tutelabili esclusivamente a livello di diritti connessi fino a vent’anni dalla data dello scatto. Pertanto, particolarmente in questa fattispecie è necessario prestare attenzione nel momento della contrattualizzazione con il fotografo, o con il soggetto che ha commissionato la documentazione, in modo che siano regolate le condizioni di uso e riuso delle immagini consegnate all’amministrazione.

Un’ultima considerazione riguarda la fotografia di documentazione del patrimonio culturale, visto nella sua componente sia materiale sia immateriale (legata agli usi, costumi e tradizioni popolari) che si sviluppa gradualmente in Italia nel corso della seconda metà del XIX secolo. Essa si afferma come attività professionale a iniziativa originariamente privata in un’epoca in cui la distinzione teorica tra documentazione del patrimonio e pratica artistica appariva più sfumata rispetto a oggi. Gli esiti di tali campagne fotografiche possono essere oggi considerati fuori dall’ambito del diritto d’autore e dei diritti connessi per il decorso dei termini di protezione autoriale, ma anche fuori dalla disciplina del Codice dei beni culturali. Poiché la richiesta di corrispettivi per la riproduzione di monumenti e oggetti d’arte per fini commerciali venne introdotta per la prima volta nell’ordinamento giuridico nel 1902, per effetto dell’entrata in vigore della legge 12 giugno 1902, n. 185 (cd. legge Nasi) [18], le fotografie realizzate prima di tale anno possono infatti essere considerate estranee alla disciplina codicistica per quanto attiene la riproduzione del monumento (cfr. par. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio), mentre vi rientrano a pieno titolo se le medesime fotografie, materialmente intese, sono, in quanto tali, beni culturali pubblici.

2.4.2. B2. Beni culturali pubblici protetti da diritto d’autore

Nel caso di beni culturali protetti dal diritto d’autore (B2), qualsiasi attività di digitalizzazione di opere detenute negli istituti culturali dovrà essere preventivamente concordata con i titolari dei diritti di sfruttamento economico delle opere medesime. Tuttavia, come anticipato nel par. 2.3, per gli istituti culturali esistono sia alcune importanti eccezioni introdotte dalla direttiva europea 2019/790 (“Copyright”) che legittimano la riproduzione digitale delle opere per finalità di conservazione [19], sia misure che facilitano la pubblicazione in rete di riproduzioni di opere fuori commercio [20] presenti in modo permanente nelle raccolte degli istituti culturali. In particolare, se l’opera di proprietà dell’istituto risulta fuori commercio da almeno dieci anni può essere digitalizzata e la sua immagine può essere pubblicata in rete, per fini non commerciali, previo accordo di licenza con le relative società di gestione collettiva dei diritti d’autore [21].

Qualsiasi riproduzione fedele (R1) - vale a dire non creativa - di un bene culturale pubblico protetto da diritto d’autore dovrà essere autorizzata espressamente dal titolare dei diritti, il quale a sua volta dovrà autorizzare qualsiasi ulteriore riproduzione della fotografia realizzata [22]. Tale autorizzazione è necessaria anche se il MiC sia divenuto proprietario o depositario del bene, a meno che l’avente diritto non abbia stabilito diversamente nell’atto di disposizione (compravendita o donazione; deposito o prestito). Il bene ancora sotto diritto d’autore può comunque essere riprodotto dall’istituto di tutela se si qualifica come opera fuori commercio, ma anche per finalità di conservazione in base alle eccezioni recepite nella LdA a seguito dell‘implementazione della direttiva 2019/790 (cfr. par. La direttiva 2019/790 (Copyright) e il d.lgs. 177/2021 di recepimento 12). La LdA prevede anche eccezioni (art. 70) quali la possibilità di effettuare il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico per uso di critica o di discussione; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali. Nell’ipotesi infine in cui la riproduzione dell‘opera protetta dovesse essere riutilizzata a scopi commerciali, all’autorizzazione dell’autore dovrà aggiungersi l’autorizzazione dell’ente pubblico proprietario del bene culturale pubblico per effetto della disciplina del Codice dei beni culturali.

Nella riproduzione creativa (R2) di un bene culturale protetto dal diritto d’autore è necessario, infine, tener conto di tre diversi profili giuridici, che andranno regolati da aspecifici accordi: i diritti dell’autore dell’opera, i diritti dell’autore delle riproduzioni e la disciplina del Codice dei beni culturali.

2.4.3. B3. Beni archivistici pubblici caratterizzati da problematiche di riservatezza

Il rapporto problematico tra riproduzione digitale e tutela della riservatezza è particolarmente evidente nel caso dei beni archivistici. Com’è noto la consultabilità della documentazione archivistica è regolata dagli artt. 122-127 del Codice dei beni culturali, mentre le categorie di dati personali che meritano speciale protezione sotto il profilo della riservatezza sono definite dal Regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione dei dati personali (GDPR). I documenti conservati negli archivi di Stato sono liberamente accessibili fatta eccezione per i seguenti documenti:

  • atti relativi alla politica interna ed estera dello Stato, dichiarati di carattere riservato dal Ministero dell’Interno d’intesa con il MiC, che diventano consultabili 50 anni dopo la loro data;
  • documenti contenenti dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, che diventano consultabili 40 anni dopo la loro data;
  • documenti contenenti dati personali idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o i rapporti riservati di tipo familiare, che diventano consultabili 70 anni dopo la loro data;
  • documenti contenenti dati relativi a condanne penali, reati e connesse misure di sicurezza, che diventano consultabili 40 anni dopo la loro data.

Il Ministero dell’Interno può, tuttavia, autorizzare la consultazione per scopi storici di documenti di carattere riservato conservati negli archivi di Stato anche prima della scadenza dei termini sopra indicati, fermo restando che i documenti per i quali è autorizzata la consultazione anticipata conservano il loro carattere riservato e non possono essere ulteriormente utilizzati da altri soggetti senza la relativa autorizzazione (Codice dei beni culturali, art. 123).

Il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) distingue, infatti, fra “comunicazione” e “diffusione” dei dati personali (art. 2-ter). Restano in capo al soggetto conservatore le responsabilità derivanti da eventuali violazioni della norma rispetto alla “comunicazione” dei documenti contenenti dati personali. Ciò può verificarsi nel caso in cui non siano rispettati i termini di consultabilità della documentazione previsti dall’art. 122 del Codice dei beni culturali.

Per “diffusione” si intende la pubblicazione, o comunque una condivisione indiscriminata nei confronti di una comunità di utenti indeterminata e ampia. La diffusione dei dati personali, anche a mezzo di riproduzione, non è permessa a meno che essa non rientri in una delle eccezioni previste dal Regolamento (UE) 2016/679 e dagli altri atti normativi di livello nazionale coordinati, quali il decreto legislativo n. 196/2003 e le Regole deontologiche ad esso allegate, che definiscono criteri di valutazione per la diffusione di documenti contenenti dati personali in base all’ambito o disciplina in cui si trova l’utente si trova ad operare [23]. Questo tipo di attività è precisamente normato dalle Regole deontologiche che suggeriscono anche quali siano gli strumenti da utilizzare e i criteri da seguire.

Le responsabilità correlate a una diffusione illegittima di dati personali stanno in capo all’autore della diffusione individuabile, di norma, nell’utente o in qualunque altro soggetto sia venuto in possesso, a qualsiasi titolo e in qualunque momento, della riproduzione effettuata dall’utente medesimo. Occorre però considerare che in alcuni casi può essere il soggetto conservatore a farsi promotore della diffusione dei documenti e ad essere quindi responsabile di eventuali violazioni di dati (data breach). La responsabilità in capo all’utente non esime in ogni caso l’istituto di tutela dall’assumere ogni accortezza e misura atta a prevenire a monte l’accesso da parte del pubblico a serie archivistiche o fondi che potrebbero, presumibilmente, contenere dati personali. In questi casi è infatti l’accesso, prima ancora che la riproduzione stessa, a dover essere preventivamente regolato.

La riproduzione con mezzo proprio della documentazione liberamente consultabile nelle sale di studio degli archivi di Stato è disciplinata dalla circolare n. 33/2017 della Direzione Generale Archivi, la quale detta prescrizioni anche in merito alla riproducibilità della documentazione riservata. In questo caso la riproduzione può essere effettuata, su richiesta degli interessati, esclusivamente a cura dell’istituto, il quale può non autorizzare la riproduzione qualora la documentazione contenga “categorie particolari di dati personali” o “dati personali relativi a condanne penali e reati” di cui agli artt. 9-10 del GDPR [24].

Qualora la documentazione archivistica sia oggetto di progetti di digitalizzazione intrapresi da soggetti pubblici o privati sarà necessario adottare ogni accortezza per tutelare la riservatezza del titolare del dato esaminando accuratamente la documentazione da riprodurre al fine di regolamentarne la fruizione in rete anche nel caso in cui la documentazione risulti liberamente consultabile ai sensi del Codice dei beni culturali. Le regole deontologiche per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca storica sono fondate sul principio che i dati personali debbono essere utilizzati nel rispetto della dignità delle persone interessate. Da questo principio, discende una serie di norme di comportamento che vincolano sia gli archivisti che l’utenza degli archivi e che vanno osservate non solo in riferimento ai documenti dell’ultimo settantennio, ma anche a quelli di data anteriore, nel caso in cui contengano dati personali la cui divulgazione può ledere la dignità di persone viventi.

Pertanto, nell’eventualità in cui dall’esame della documentazione da digitalizzare possano emergere problemi di riservatezza tali da costituire una potenziale minaccia alla tutela della dignità di individui potrà essere utile elaborare un adeguato sistema di metadatazione delle riproduzioni per governare le modalità di accesso alla documentazione da remoto. La regolamentazione degli accessi potrà fare capo a un sistema di registrazione online dell’utenza mediante SPID che sia in grado di riconoscere con certezza l’identità del richiedente e di informarlo adeguatamente in merito al contenuto delle regole deontologiche per il trattamento dei dati e dunque alle responsabilità derivanti da un utilizzo illegittimo di dati personali altrui.

2.4.4. Quadro sinottico (B-Beni culturali/R-Tipi di Riproduzione)

L’incrocio delle casistiche sopra analizzate può essere riassunto nella matrice che segue:

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[15]Opere non più coperte da diritto d’autore per esplicita rinuncia da parte dei titolari dei diritti oppure per scadenza dei termini temporali previsti dalla LdA.
[16]LdA, art. 32-quater: “Alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arti visive, anche come individuate all’articolo 2, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non è soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, salvo che costituisca un’opera originale. Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto d.lgs. 42/2004”.
[17]Wiki loves monuments: https://www.wikimedia.it/wiki-loves-monuments/
[18]”La riproduzione dei monumenti e degli oggetti d’arte e di antichità di proprietà governativa sarà permessa con le norme e alle condizioni da stabilirsi nel Regolamento e verso il pagamento di un adeguato compenso“ (art. 19). Cfr. in proposito il regio decreto 28 giugno 1906, n. 447 che modifica il Capo V (Delle riproduzioni di oggetti di antichità e d’arte), Sez. III (Riproduzioni fotografiche) del regolamento 17 luglio 1904, n. 431 riguardante la conservazione dei monumenti e degli oggetti d’antichità e d’arte (artt. 32-40). Nelle norme e nei regolamenti precedenti la riproduzione di monumenti per uso commerciale non era vincolata alla corresponsione di un corrispettivo economico da parte del fotografo.
[19]L’eccezione a favore della conservazione, attraverso l’art. 1, comma 1, lettera g) del d.lgs. 177/2021, è stata trasposta all’art. 68, comma 2-bis della LdA nei termini seguenti: ”2-bis. Gli istituti di tutela del patrimonio culturale di cui all’articolo 70-ter, comma 3, per finalità di conservazione e nella misura a tal fine necessaria, hanno sempre il diritto di riprodurre e realizzare copie di opere o di altri materiali protetti, presenti in modo permanente nelle loro raccolte, in qualsiasi formato e su qualsiasi supporto. È nulla qualsiasi pattuizione avente ad oggetto limitazioni o esclusioni di tale diritto”.
[20]L’eccezione relativa alle opere fuori commercio, attraverso l’art. 1, comma 1, lettera o) del d.lgs. 177/2021, è stata trasposta agli artt. 102-undecies-102-septiesdecies della LdA.
[21]“Con decreto del Ministro della cultura possono essere individuati ulteriori requisiti specifici ai fini della definizione delle opere fuori commercio, previa consultazione con i titolari dei diritti, gli organismi di gestione collettiva e gli istituti di tutela del patrimonio culturale” (LdA, art. 102-undecies).
[22]Sulla riproduzione fedele dell’opera sotto tutela del diritto d’autore insiste anche il diritto connesso del fotografo di cui all’art. 87 e ss. LdA, a meno che la riproduzione non venga realizzata dall’istituto di tutela stesso. Se la fotografia è stata commissionata i diritti di sfruttamento economico spettano al committente, salvo patto contrario. Per gli utilizzi commerciali successivi è comunque previsto un equo corrispettivo a favore del fotografo. Su questi aspetti cfr. anche ICOM Italia, FAQ diritto d’autore, copyright e licenze aperte per la cultura nel web (11/03/2021).
[23]Si segnalano in particolare le Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica, le Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica e, soprattutto, le Regole deontologiche per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca storica pubblicate ai sensi dell’art. 20, comma 4, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9069661).
[24]A seguito dell’abrogazione dell’art. 22 ad opera del d.lgs. 101/2018 il riferimento ai dati sensibili e giudiziari e sulla salute (cd. dati sensibilissimi o supersensibili) presente nella circolare n. 33/2017 della Direzione generale Archivi va ora messo in relazione alle “categorie particolari di dati personali” e ai “dati personali relativi a condanne penali e reati” definite agli artt. 9 -10 del GDPR.