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D. Come

La trasformazione di un oggetto analogico in oggetto digitale è un processo tecnico che prevede l’uso di una specifica strumentazione hardware e software. La restituzione digitale può essere bidimensionale e/o tridimensionale a seconda della natura del bene e del mezzo con cui lo si digitalizza. Mentre per alcuni beni la scelta è quasi obbligata (per esempio un originale cartaceo o fotografico viene digitalizzato bidimensionalmente tramite scanner o fotocamera), per altri tipi di beni la scelta va fatta in funzione del risultato atteso. Un oggetto tridimensionale può essere digitalizzato in 2D – attraverso una fotocamera, semplicemente fotografandone ogni lato – o in 3D con l’ausilio di un laser scanner. Inoltre, questo può anche diventare, attraverso le metodiche della computational photography, un Object VR (altrimenti detto Object 3D o 360), con il solo ausilio di una serie di fotografie realizzate appositamente.

Oggetti di cui solitamente si apprezzano le qualità bidimensionali possono essere correttamente digitalizzate sia in 2D che in 3D. Ad esempio, una moneta – o una medaglia – può essere considerata allo stesso tempo come un oggetto bidimensionale (ha due facce) o tridimensionale (ha uno spessore e, soprattutto, ha un rilievo sulle facce) e può essere pertanto acquisita in due o tre dimensioni.

È importante garantire una completa digitalizzazione del bene anche nelle parti in cui apparentemente non vi sono informazioni, intendendo con questo, ad esempio, la scansione di fronte e retro di un positivo fotografico, la ripresa di un quadro compreso il retro (e compresa la cornice laddove non sia possibile smontarla e digitalizzarla a parte), la ripresa di ogni lato compresi quelli superiore e inferiore (per un totale di almeno 6 fotografie se l’oggetto è facilmente maneggiabile, 4 o 5 in caso contrario) di un oggetto tridimensionale, la digitalizzazione di entrambe le facciate di un disco a 78 giri di cui sia incisa solo una facciata etc. In tal senso, la riproduzione di un negativo deve mantenere un piccolo margine in modo da rendere l’intero fotogramma, dato che sui bordi dello stesso possono essere presenti informazioni. Nel caso di riproduzioni di volumi e documenti, manoscritti e a stampa, la digitalizzazione deve comprendere tutto l’oggetto, comprese carte di guardia, carte bianche (sia interpolate che consecutive), anche se prive di informazioni, e tutte le parti componenti la legatura: i piatti, il dorso, i tagli significativi, capitelli, fermagli, borchie, cantonali; in questi casi l’acquisizione deve comprendere un’area minima dello sfondo scuro a margine dell’oggetto, in modo tale che comunque non venga mai esclusa nessuna parte del bene.

Nella produzione di immagini digitali è buona pratica inserire un riferimento colorimetrico e metrico in una zona a margine del bene. Tali riferimenti possono essere inseriti in tutte le digitalizzazioni prodotte o, come nel caso della digitalizzazione di volumi, solo in alcune di esse ( cfr. par. D.1.B).

Le attività di acquisizione digitale devono essere eseguite in ambiente adatto, con illuminazione costante e, laddove si operi in ambienti interni, sempre uguale nelle diverse ore del giorno.

È fondamentale conoscere le molteplici possibilità oggi offerte dalle diverse metodologie e tecnologie di acquisizione in modo da progettare una campagna di digitalizzazione modellata sulle proprie esigenze e aspettative. La definizione degli obiettivi (conservazione, fruizione, diagnosi etc.) e del target di utenti è un requisito indispensabile su cui basare la scelta della modalità di scansione.

Partendo dalle caratteristiche della strumentazione individuata, si deve tenere conto della quantità di originali che possono essere mediamente digitalizzati in una giornata lavorativa così da programmare la movimentazione delle opere.

Di seguito si fornisce una sintetica descrizione dei principali strumenti di acquisizione digitale, rammentando che il loro uso può essere combinato e che essi possono a volte essere utilizzati sia per le digitalizzazioni 2D che 3D.

D.1. Digitalizzazione 2D

D.1.A. Strumenti e metodologie in relazione alle tipologie dei beni

D.1.A.1. Scanner: tipologie e caratteristiche

Principali strumenti di digitalizzazione di oggetti bidimensionali, gli scanner sono di diversi tipi e offrono un’articolata varietà di soluzioni. È fondamentale, nella scelta delle strumentazioni, tenere conto dell’aspetto conservativo degli originali prima di procedere: le apparecchiature scanner dovranno essere scelte in base al tipo di bene da trattare e avere caratteristiche tecniche e progettuali di fascia professionale con particolare attenzione alla possibilità di salvare il file nel formato grezzo (RAW). Per la scelta degli scanner si può fare riferimento allo standard ISO 19264-1-2021.

D.1.A.2. Scanner piani

Generalmente disponibili sul mercato con formati che vanno dall’A4 all’A2+, gli scanner piani impiegano un gruppo optoelettronico che scorre parallelamente al documento mentre questo rimane immobile su un piano orizzontale. Il gruppo è composto da una lampada fredda che emette luce bianca. Il fascio luminoso, man mano che investe progressivamente il documento, viene raccolto da un sistema di lenti che lo suddivide nei tre componenti fondamentali RGB (il rosso, il verde e il blu). Queste vengono quindi indirizzate ai sensori che possono essere di due tipi: CCD (C*harge Coupled Device*) negli apparecchi di maggior pregio, o CIS (Contact Image Sensor), anche se questi ultimi sono sempre meno impiegati e stanno diventando rapidamente desueti.

Uso consigliato: la digitalizzazione di materiale bibliografico o archivistico (qualora dotati di piani basculanti o piani a “V” per il trattamento di materiale rilegato), digitalizzazione di negativi su lastre di vetro, di stampe e positivi fotografici, di pellicole con formati che non è possibile trattare con lo scanner piano a “tamburo virtuale”.

D.1.A.3. Scanner per pellicole

Si tratta di apparecchi appositamente dedicati alla scansione di pellicole: l’acquisizione delle immagini non avviene, come nel caso degli scanner tradizionali, a partire dalla luce riflessa, bensì in transilluminazione. La luce viene proiettata dallo scanner attraverso il supporto filmico e catturata da un gruppo optoelettronico, trasformata in formato digitale da un convertitore analogico-digitale e infine inviata al computer collegato allo scanner. Alcuni di questi scanner, soprattutto quelli professionali di alta fascia, usano tre luci LED – una rossa, una verde e una blu – che, oltre a non avere nessun indebolimento di intensità nel tempo, consentono un controllo maggiore sul bilanciamento del colore e la saturazione.

Uso consigliato: digitalizzazione film 135/120/220 e/o diapositive 24x36 (con e senza telaietto).

D.1.A.4. Scanner per pellicole cinematografiche e microfilm

[in corso di redazione]

D.1.A.5. Scanner a tamburo

Contrariamente agli altri, negli scanner a tamburo il gruppo optoelettronico è fermo rispetto al documento che viene disteso intorno a un rullo rotante. Un fascio di luce bianca viene proiettato sul documento e un sensore – al quale il raggio riflesso viene indirizzato – separa la luce riflessa dal documento nei tre componenti fondamentali RGB. Ciascuna componente viene poi inviata a un fotomoltiplicatore (PMT, Photo Multiplier Tube) che trasforma il raggio luminoso in un segnale elettrico, a sua volta inviato a un convertitore analogico-digitale e da qui al PC.

Questi scanner sono impiegati a livello industriale, soprattutto nelle tipografie che necessitano di acquisire immagini ad altissima risoluzione. Attualmente si tende a sostituirli sempre più frequentemente con degli scanner piani, che sono molto più semplici da usare e che nelle forme più tecnologicamente progredite hanno ormai raggiunto livelli qualitativi comparabili a quelli degli scanner a tamburo.

Uso consigliato: digitalizzazione materiale cartaceo di grande dimensione. Assolutamente sconsigliato per l’acquisizione digitale di beni culturali.

D.1.A.6. Scanner a tamburo virtuale

Particolarmente indicati nella scansione di originali fotografici, gli scanner a tamburo virtuale sono caratterizzati dal fatto che tra il sistema di ripresa (composto da obiettivo e sensore CCD) e originale non c’è contatto, rendendo di fatto impossibile la creazione di disturbi durante la scansione (quali gli “anelli di Newton” o le macchie dovute a polvere e/o graffi).

Inoltre, grazie all’impiego di speciali portapellicola magnetici, l’originale viene mantenuto perfettamente piano, mentre il passaggio durante la scansione su una superficie leggermente incurvata garantisce il mantenimento di una messa a fuoco perfetta sull’intera immagine.

Pertanto, contrariamente a quanto avviene negli scanner tradizionali (che usano piani in vetro o prismi) e quelli tipografici a tamburo (per i quali è necessario utilizzare gel o olio), lo scanner a tamburo virtuale permette di sfruttare il massimo del dettaglio senza che nulla si frapponga o debba essere applicato sulla pellicola originale.

Uso consigliato: digitalizzazione negativi su pellicola, diapositive e diacolor dal 135mm al 4x5».

Tra le più importanti caratteristiche da esaminare nella scelta del modello di scanner più adatto ai propri scopi vi sono i valori di risoluzione ottica (reale, non interpolata), di densità/gamma dinamica (vedi Glossario) e, a questa strettamente legati, di profondità di bit.

D.1.A.7. Fotocamere: tipologie e caratteristiche

La fotocamera, insieme o in sostituzione allo scanner, rappresenta lo strumento maggiormente idoneo al processo di digitalizzazione.

Essa può essere impiegata in diverse occasioni e con le più disparate tipologie di beni siano essi bi o tridimensionali.

Corpo macchina

È fortemente consigliato l’utilizzo di macchine fotografiche che abbiano sensori di grande dimensione (minimo 43x33 mm, il cosiddetto “medio formato” digitale) aventi una risoluzione spaziale nativa di almeno 8256×6192 pixel (pari a 51,4 Mp).

Le moderne fotocamere digitali di medio formato mirrorless (cioè senza specchio e pentaprisma) hanno dimensioni ridotte e una maneggevolezza tale da renderle idonee all’uso nelle più disparate condizioni di ripresa. Per molti modelli la risoluzione nativa del sensore è di 11648×8736 pixel (pari a 102 Mp), con file RAW di circa 200 MB cadauno. Attraverso la tecnica del Pixel Shift è possibile arrivare, laddove ve ne sia specifica necessità, ad avere un sensore equivalente a ben 400 MP di risoluzione - senza alcuna interpolazione - generando file RAW DNG di 23264x17448 pixel con un peso intorno ai 1,6 GB.

Per quei progetti di digitalizzazione in cui non è possibile utilizzare una fotocamera con sensore medio formato, si raccomanda l’uso di una DSLR (Digital Single Lens Reflex) o di una mirrorless avente un sensore di dimensioni minime uguali al cosiddetto «Full Frame» (24x36 mm) con una risoluzione nativa non inferiore a 6720x4480 pixel (pari ad un sensore di 30,4 Mp).

Ottica

Viene scelta in base al tipo di soggetto. Sono da prediligere obiettivi luminosi (con ampie aperture di diaframma), privi di distorsioni e aberrazioni ottiche e con alte curve MTF (modulation transfer function) [1]. Inoltre debbono avere una focale (e/o rapporto di ingrandimento) adeguata alla necessità di ripresa, per esempio ottiche macro con rapporto 1:1 per la digitalizzazione di originali fotografici di piccolo formato o beni di dimensioni estremamente ridotte.

Vantaggi nell’impiego della fotocamera

L’utilizzo della macchina fotografica in luogo dello scanner porta molteplici vantaggi tra cui versatilità di impiego, alta produttività, maggiore qualità, tempi di acquisizione più rapidi, maggiori opportunità di sviluppo dei file RAW anche con software di terze parti, gestione del colore più semplice e precisa, assenza di contatto dello strumento con le opere, ridotta occupazione degli spazi operativi, minor impatto nell’ambiente di conservazione/lavorazione dei beni, maggiore facilità di sostituzione dell’apparecchiatura in caso di guasti durante il processo di digitalizzazione.

Laddove vi sia la necessità di riprendere beni bidimensionali, la cui immagine deve essere misurabile ed esente da distorsioni prospettiche e/o anamorfosi volumetrica, si richiede una metodologia di ripresa simile a quella adottata per la documentazione fotografica di tipo architettonico utilizzando fotocamere od ottiche a corpi mobili, capaci quindi di operare movimenti di decentramento e/o basculaggio.

D.1.B. Esempi di flusso di lavoro

Una volta individuato il corpus di opere da digitalizzare e i relativi mezzi di riproduzione da impiegare (macchina fotografica, scanner), va sviluppato un workflow per rendere i processi di acquisizione efficienti e valutabili. Occorre, cioè, prevedere, nel dettaglio, i processi di lavorazione in relazione alla tipologia del bene.

A titolo esemplificativo, nel caso di digitalizzazione di documenti, per una pagina significativa (ad esempio il frontespizio), è richiesta una doppia scansione: la prima deve contenere i riferimenti metrici, colorimetrici e il target test per la riproduzione dei dettagli, la messa a fuoco e le distorsioni delle immagini e va collocata in fondo al volume. La scala millimetrica deve essere posizionata lungo il bordo inferiore con lo “zero” allineato al bordo verticale della carta/pagina. La scansione, che procede per documento aperto, produrrà due file separati (due pagine o un verso e un recto). Infatti, quello che di norma, tranne per casi specifici, viene considerato come singolo oggetto digitale fa riferimento al verso o al recto di ciascuna carta per i manoscritti o alla singola pagina per testi a stampa. Le carte/pagine nella zona della cucitura dovranno essere tagliate con un margine per mostrare anche una piccola parte della pagina a fianco.

La scansione deve portare all’organizzazione della directory del documento nel seguente ordine: piatto anteriore, dorso, contropiatto anteriore, carte di guardia anteriori, corpo del testo, carte di guardia posteriori, contropiatto posteriore, piatto posteriore e, in fondo alla directory, scala cromatica e millimetrica. Nel caso delle pubblicazioni periodiche, invece, la scansione riguarderà i soli fascicoli e non la legatura in volume. Soltanto nel caso di periodici in cui la rilegatura ha motivazioni editoriali, questa dovrà essere oggetto di scansione. Questa eccezione richiede una definizione in fase progettuale.

In caso di presenza di lacerazioni, di fori di tarlo e ossidazione degli inchiostri o qualora le carte/pagine da riprendere fossero più piccole di quelle sottostanti, porre al disotto del foglio in ripresa una carta giapponese (non un comune foglio bianco), di spessore tale che consenta la visibilità delle pagine sottostanti e non interferisca con la lettura del foglio scansionato e di dimensione pari alle misure del documento.

I dispositivi di acquisizione utilizzati dovranno seguire le specifiche tecniche rispondenti ai parametri richiesti nel capitolato tecnico inerenti densità, profondità di bit e risoluzione spaziale (non interpolata).

Per ogni diversa attività di digitalizzazione deve essere realizzato un prototipo; delle verifiche periodiche consentiranno di eliminare eventuali errori di lavorazione.

Workflow con la fotocamera

Occorre definire il set-up della postazione di ripresa (posizionamento della fotocamera, del bene e delle luci). Durante lo scatto la fotocamera deve essere montata su colonna o cavalletto, in bolla. Nel caso di ripresa zenitale con fotocamera su colonna si consiglia l’uso di un inclinometro al fine di assicurare la perfetta planarità tra sensore e soggetto: la ripresa va fatta sempre in asse, con sensore parallelo e centrale rispetto al piano oggetto.

Prima di iniziare la sessione di scatto è fondamentale caratterizzare la coppia fotocamera/ottica usata in relazione alla specifica illuminazione utilizzata sul bene al momento della ripresa (profilazione colore); è pertanto necessario fotografare – sotto le stesse luci – un riferimento colorimetrico quale il ColorChecker di X-Rite (l’unico in grado di poter generare profili .DCP - anche a doppio illuminante - oltre che .ICC).

Per ogni bene o lotto di beni è opportuno effettuare un primo scatto con dei riferimenti: del bene stesso (inventario, denominazione, ecc.), dimensionali (metrici) e, ove necessario, geografici (eventuale US o USM, freccia del NORD). Quindi, si può procedere con gli scatti successivi privi di riferimenti.

Le impostazioni di base da applicare per la fotocamera sono: sensibilità ISO nativa del sensore (le amplificazioni del segnale portano ad una minor qualità dell’immagine); spazio colore Adobe RGB; registrazione file di tipo RAW non compresso.

Workflow con lo scanner piano e con il planetario

Tutte le workstation di digitalizzazione debbono essere corredate da idoneo piano di appoggio per la movimentazione in sicurezza degli originali da trattare.

Ogni scanner, una volta installato, deve essere configurato e calibrato. Inoltre, a seconda dei formati o delle caratteristiche fisiche del materiale, deve essere settato con frequenza periodica, per non perdere le configurazioni già definite o adeguarle di volta in volta a nuove esigenze.

Per ogni scanner, a inizio lavori, va creato un profilo .ICC di classe input – con l’ausilio degli appositi target colorimetrici (quello di riferimento è il ColorChecker Digital SG) – al fine di assicurare una corretta restituzione cromatica degli originali.

Per ogni originale è richiesto un file RAW DNG. Laddove lo scanner / planetario non sia nativamente in grado di generare formati RAW, esso deve essere integrato con un driver di terze parti che consenta la digitalizzazione in RAW.

Interventi di post-produzione

Ogni postazione di trattamento di post-produzione deve essere dotata di monitor avente una lookup table (LUT) per ogni primario RGB, accessibile da software e con profondità di bit maggiore di 8. Tali monitor, inoltre, dovranno essere opportunamente calibrati per il punto di bianco e il gamma a intervalli regolari con l’uso di uno spettrofotometro o, in subordine, colorimetro al fine di garantire un corretto flusso di gestione del colore tra le diverse apparecchiature usate. È altresì importante approntare sistemi di backup giornaliero del lavoro in corso.

Le eventuali correzioni ai file, minime e solo se necessarie, vanno stabilite all’inizio del progetto. Esse vengono eseguite esclusivamente sul secondo file master, il TIFF ottenuto dal master RAW DNG, lasciando così quest’ultimo inalterato. In genere, l’immagine non deve subire manipolazioni, se non in relazione ad un miglioramento della sua leggibilità.

Le eventuali correzioni, fatta salva l’applicazione del profilo colore e del successivo bilanciamento del bianco, devono essere effettuate solo per curve dei livelli, luminosità, contrasto e l’eventuale applicazione di una leggera maschera di contrasto. Il profilo colore, generato con apposito software prima di ogni sessione giornaliera, e il successivo bilanciamento del bianco (linearizzazione dell’asse dei grigi) devono essere applicati, attraverso l’uso di un’automazione, su tutti i file inerenti quella specifica sessione di scatto/scansione.

Di ogni correzione apportata alle immagini deve essere tenuta traccia tramite un file descrittore in formato aperto e modificabile (es. file XMP o METS non protetti).

Laddove la digitalizzazione riguardi originali fotografici negativi si procede, nella realizzazione del secondo master, alla curva di inversione negativo/positivo e al ritaglio dell’immagine lungo i bordi della finestra di esposizione originale. La profondità di bit dei suddetti master TIFF deve restare la stessa del master RAW.

Infine, in accordo con le politiche di naming e metadatazione stabilite nel progetto, si procede alla rinomina dei file e alla creazione dei metadati per tutti i file prodotti durante la sessione giornaliera.

D.2. Digitalizzazione 3D

Ogni tecnologia laser può avere diverse modalità di impiego. Oltre alla classica postazione fissa su treppiedi – la più usata per gli scanner a tempo di fase o a tempo di volo – negli ultimi anni si sono sviluppati scanner a brandeggio manuale o che incorporano basi a rotazione, permettendo di risolvere problemi pratici di ripresa soprattutto con oggetti di piccole dimensioni, quali monete e pietre, o a elevata complessità, quali statue, bassorilievi e altorilievi, strumenti musicali.

L’acquisizione fotogrammetrica dei beni culturali deve avere requisiti minimi per poter offrire la precisione dello sviluppo geometrico e della restituzione visiva, sia per dettaglio sia per cromie. Questa pratica, attraverso la procedura di ripresa, porta alla generazione di una nuvola di punti prima, di un modello 3D poi, utilizzando l’accoppiamento di almeno tre fotogrammi dove si ritrova lo stesso punto fotografato.

Lo schema di lavoro deve avere come obiettivo l’individuazione del posizionamento delle stazioni di acquisizione in relazione alla grandezza del bene. La pianificazione delle scansioni deve ridurre al minimo il numero di stazioni (qualora sia necessario averne più di una o qualora non si adotti un’unica stazione grazie all’uso di una base girevole su cui è appoggiato il bene) e individuare quali viste possano ottimizzare il tempo di acquisizione e l’accuratezza delle acquisizioni proposte. Occorre assicurare inoltre la presenza tra più scansioni di aree di sovrapposizione (pari al 30%), in modo da ricoprire interamente le superfici scansionate.

Gli strumenti basati su principi ottici che sfruttano la triangolazione risultano quelli più idonei per il campo di digitalizzazione dei beni di piccole dimensioni.

In base alle dimensioni e al materiale di cui è composto il bene mobile, si possono utilizzare la tecnica e le strumentazioni più adeguate (e.g. fotogrammetria con reflex digitale e drone, acquisizione con due tipologie di scanner, quello a laser o quello a luce strutturata, etc.).

Una volta acquisite le informazioni digitali tridimensionali, devono essere effettuate opportune operazioni di post-produzione attraverso lo svolgimento di alcune attività manuali o automatizzate, al fine di elaborare l’informazione digitale acquisita.

Durante le attività di post-produzione, saranno necessarie delle azioni sulla nuvola di punti prima che venga trasformata in mesh 3d.

Tali interventi riguardano prevalentemente l’eliminazione del “rumore” dei dati acquisiti, cioè la riduzione della ridondanza di punti e, qualora necessario, la realizzazione del modello tridimensionale texturizzato (per esempio nei formati OBJ e PLY), attraverso l’utilizzo di immagini che rispondano a caratteristiche di qualità. Tali immagini devono poi essere processate con software dedicati per ottimizzarle, in modo da garantire sia un risultato visivo ottimale sia la possibilità di navigazione attraverso i più comuni browser web.

L’elaborazione dei dati acquisiti richiede workstation dalle elevate potenzialità in termini di processore, RAM, scheda video e capacità di archiviazione.

Per quanto riguarda la digitalizzazione tridimensionale di manufatti di grandi dimensioni, vista la elevata eterogeneità di tali beni, si consiglia di valutare l’utilizzo di diverse tipologie di tecniche laser scanner e di tecniche fotogrammetriche, da usare in aggiunta o indipendentemente alla tecnologia laser, con macchine fotografiche fisse, teste panoramiche o su drone. La variabilità delle dimensioni dei manufatti e delle necessità di dettagli su scale di approfondimento diverse consente l’uso specifico di laser a tempo di fase o a tempo di volo su postazioni fisse o mobili o su drone, che – unite al dato fotogrammetrico – possono dare grandi risultati di precisione e rapidità d’esecuzione, contribuendo a contenere i costi. La fotogrammetria o l’uso di laser con integrazioni di fotocamere digitali sono indispensabili dove è necessario il dato cromatico. In questo caso l’informazione digitale sarà costituita da un modello tridimensionale digitale a nuvola di punti ad alta densità texturizzata, consultabile ed esportabile. Il risultato ottenuto, elaborato sotto forma di mesh e texturizzato, può essere esportato come modello tridimensionale in formato adatto (per esempio OBJ o 3DS).

Nel caso di beni di piccola dimensione può essere sufficiente la realizzazione di un unico modello tridimensionale. Nel caso di beni di notevoli dimensioni o caratterizzati da geometria complessa la redazione di modelli OBJ interessa solitamente porzioni del bene; pertanto è opportuno procedere con processi di elaborazione distinti per ciascuna porzione del bene, così da unire i singoli modelli ad alto livello di dettaglio in un secondo momento grazie alle azioni di merge e allineamento in un’unica mesh 3d, scalata metricamente, georiferita e se necessario texturizzata.

La scelta di utilizzare nella digitalizzazione di manufatti di grandi dimensioni la strumentazione laser scanner 3D permette di estrarre i dati necessari per ottenere la morfologia del manufatto nei punti ritenuti significativi. L’interrogazione delle nuvole di punti, opportunamente calibrate e parametrizzate, permette infatti di visualizzare anche quelle informazioni non facilmente rilevabili a occhio nudo con gli strumenti tradizionali e di mettere in evidenza elementi di particolare criticità.

Anomalie costruttive, discontinuità materiali, aggiunte, sottrazioni o modifiche divengono in questo modo chiaramente leggibili e sono dunque funzionali alla comprensione effettiva del manufatto nella sua complessità, nel suo essere palinsesto di segni stratificati nel corso del tempo.

Le digitalizzazioni con tecniche laser scanner e fotogrammetriche devono essere scalabili metricamente secondo l’unità di misura metrica e georeferenziate con strumentazione topografica di precisione mediante l’acquisizione di poligonali chiuse. Pertanto, occorre stabilire se collocare il dato in un sistema locale di riferimento oppure in un sistema globale o, preferibilmente, in entrambi. Eventualmente la quota altimetrica del sistema locale può essere calcolata da un punto quota noto sul posto, oppure da grafici già rilevati in precedenza. È buona norma che il sistema locale sia georeferenziato, se possibile, al sistema di riferimento geodetico nazionale ETRF2000 [2]_o almeno al più diffuso sistema di riferimento geodetico mondiale WGS84.

Le numerose modifiche tecnologiche hanno reso i supporti audiovisivi sempre più complessi e soggetti alla obsolescenza dei sistemi. Data la natura, unica e comune a tutti i documenti audiovisivi, di essere leggibili esclusivamente attraverso un apparato di intermediazione specifico per ogni categoria di supporto e per ogni epoca di produzione, è necessario, oltre alla corretta conservazione degli originali, anche una approfondita conoscenza delle macchine necessarie al loro corretto utilizzo. Attualmente si possono individuare alcune categorie di supporti audiovisivi in base agli aspetti tecnici di scrittura e lettura utilizzati:

  • supporti meccanici (cilindri fonografici, dischi etc.)
  • supporti magnetici (fili metallici, nastri, cassette, video nastri etc.)
  • supporti ottici (videodischi, CD, DVD, BD etc.)

All’interno di ognuna di queste categorie esistono numerose varianti che devono essere di volta in volta individuate, riconosciute e considerate per gli opportuni adeguamenti dei processi di digitalizzazione.

Infine, esistono attualmente numerosi documenti audiovisivi “nativi digitali” che non presentano le caratteristiche tecniche richieste per la conservazione e che pertanto devono essere analizzati e convertiti per adeguarli alle specifiche delle presenti linee guida e della conservazione digitale.

Le linee guida dell’International Association of Sound and Audiovisual Archives (IASA - TC-04, seconda edizione) [3] raccomandano la rappresentazione digitale del segnale analogico con il metodo PCM (Pulse Code Modulation) lineare (interlacciato per stereo) in un file .WAV o preferibilmente BWF.WAV (EBU Tech 3285) per tutto l’audio a due tracce. L’uso di qualsiasi codifica percettiva (“compressione con perdita”) è fortemente sconsigliato. Si consiglia di digitalizzare tutto l’audio a 96 kHz o superiore e con una profondità di almeno 24 bit.

La conversione da analogico a digitale (A/D) è un processo di precisione e i convertitori a basso costo integrati nelle schede audio dei personal computer non sono in grado di soddisfare le esigenze dei programmi di conservazione digitale.

Oltre alla corretta conservazione dei supporti audio e video originali, è necessaria anche una approfondita conoscenza degli strumenti di riproduzione ai fini della loro consultazione e digitalizzazione.

Nel processo di digitalizzazione dei supporti audio e video è indispensabile documentare con precisione ogni intervento effettuato sui supporti e tutte le scelte tecniche adottate (pulitura del supporto, presenza e ripristino di giunzioni sui supporti magnetici, marca e tipo del lettore utilizzato, specifiche tecniche del sistema di lettura – tipo di pick-up di lettura dimensioni dello stilo per i dischi, etc.).

Per la digitalizzazione è opportuno fare riferimento ai seguenti documenti della IASA:

  • IASA-TC 04 (2009, 2nd edition), Guidelines on the Production and Preservation of Digital Audio Objects [4]
  • IASA-TC 05 (2016), Gestione e archiviazione dei supporti audio e video [5]
  • IASA-TC 06 (2019), Guidelines for the Preservation of Video Recordings [6]

È importante, ai fini della conservazione dell’audio, che i formati, le risoluzioni, i supporti e i sistemi tecnologici utilizzati rispettino i principi di standard condivisi a livello internazionale e appropriati agli scopi di archiviazione previsti.

Le caratteristiche fondamentali del formato digitale prodotto devono rispecchiare i seguenti parametri:

  • Sampling Rate: la frequenza di campionamento stabilisce il limite massimo della risposta in frequenza del segnale audio; le linee guida internazionali richiamate consigliano l’utilizzo di una frequenza di campionamento minima di 48 kHz con una preferenza per frequenze superiori (96 kHz)
  • risoluzione (Bit Depth): il numero di bit stabilisce l’estensione della codifica della gamma dinamica di un evento o di un brano sonoro; la codifica a 24 bit permette la rappresentazione di ogni evento sonoro udibile
  • formato file audio: lineare PCM (P*ulse Code Modulation*), interleaved stereo wave (estensione del file .WAV).

Nel processo di digitalizzazione occupa una parte importante l’ottimizzazione del recupero del segnale dei supporti originali, e questo per due ordini di motivi:

  1. il supporto originale potrebbe deteriorarsi e la riproduzione futura potrebbe non raggiungere la stessa qualità o addirittura non essere più praticabile
  2. l’estrazione del segnale potrebbe costituire un’attività onerosa e lunga, tanto da far preferire un’ottimizzazione al primo tentativo.

Altri aspetti importanti di cui tenere conto sono la selezione della copia migliore, la pulitura e il restauro del supporto originale. Il metodo di pulitura più appropriato dipende dal supporto specifico e dalle sue condizioni.

La riproduzione dei supporti audio e video prevede l’utilizzo di una catena di apparecchiature. La combinazione degli strumenti di riproduzione, cavi di segnale, mixer e altri apparecchi di elaborazione audio e video devono avere specifiche di qualità pari o superiori a quelle delle apparecchiature audio e video digitali, sia per la frequenza di campionamento sia per la risoluzione.

La qualità delle attrezzature per la riproduzione, dei collegamenti audio, dei formati digitali di destinazione deve essere migliore di quella del supporto originale.

È utile tenere presente che tutta l’attrezzatura richiede una manutenzione continua e regolare per mantenerla in buono stato di funzionamento. Tuttavia, poiché le apparecchiature di riproduzione analogica diventano velocemente obsolete, è necessario pianificare l’approvvigionamento dei pezzi di ricambio, considerato che la loro disponibilità è limitata nel tempo.

Infine, per richiamare un principio generale presente nelle linee guida della IASA, occorre tenere presente che «le strategie sulla gestione, l’archiviazione a lungo termine e la conservazione dell’audio e il video codificati digitalmente si basano sulla premessa che non esiste un supporto di memorizzazione definitivo e permanente, né ci sarà nel prossimo futuro. Invece, coloro che gestiscono archivi audio digitali devono pianificare l’implementazione di sistemi di gestione e archiviazione della conservazione progettati per supportare processi che prevedano l’inevitabile cambiamento di formato, supporto o altre tecnologie. L’obiettivo principale nella conservazione digitale è quello di costruire sistemi sostenibili piuttosto che supporti permanenti» [7].

[1]Le curve MTF restituiscono parametri tecnici che ci permettono di giudicare le qualità di una lente in maniera oggettiva. Tali parametri sono: la risoluzione e il contrasto dell’ottica, il suo astigmatismo e l’aberrazione cromatica laterale, il campo di curvatura e lo spostamento di messa a fuoco. Essi aiutano a comprendere la resa di un obiettivo e in molti casi, a fronte di riproduzioni in cui gli originali hanno un elevato dettaglio fine (per esempio, le incisioni), ne guidano la scelta.
[2]Nel 2011, con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Adozione del Sistema di riferimento geodetico nazionale, 10.11.2011), per agevolare la fruibilità e lo scambio di dati e di informazioni territoriali fra le amministrazioni centrali, regionali e locali, è stato adottato il Sistema di riferimento geodetico nazionale, costituito dalla realizzazione ETRF2000 del Sistema di riferimento geodetico europeo ETRS89, basato sull’ellissoide GRS80 (sostanzialmente coincidente con il successivo WGS84).
[3]https://www.iasa-web.org/.
[4]https://www.iasa-web.org/tc04/audio-preservation.
[5]https://www.iasa-web.org/tc05-it/gestione-e-archiviazione-dei-supporti-audio-e-video.
[6]https://www.iasa-web.org/tc06/guidelines-preservation-video-recordings https://www.iasa-web.org/tc06/guidelines-preservation-video-recordings.
[7]IASA-TC 04 (2009, 2nd edition), Guidelines on the Production and Preservation of Digital Audio Objects, p. 90.