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Documenti pubblici, digitali.

2. Contesto di riferimento

Il contesto degli istituti culturali in Italia è ampio e articolato, sia in termini quantitativi che rispetto alla diversità di missione e organizzazione. Incrociando i dati dell’Istat [1] con quelli derivanti dalle diverse banche dati del Ministero [2], si arriva a contare oltre 27.700 luoghi della cultura [3] tra pubblici e privati, a cui si aggiungono circa 1.000 istituzioni attive nell’ambito dello spettacolo e delle arti performative [4]. Una fotografia, approssimativa ma realistica, che restituisce una articolazione così suddivisa: più di 6.200 tra musei, monumenti e aree archeologiche; oltre 9.500 archivi; quasi 12.000 biblioteche; circa 1.000 enti dello spettacolo. In questo panorama, solo il Ministero della cultura conta 770 istituti di tutela e conservazione del patrimonio culturale.

La digitalizzazione dei beni culturali si è avviata in modo sistematico negli anni Novanta del Novecento, sia in ambito statale che regionale, ed è stata condotta negli anni sulla base di un ricco sistema di strumenti metodologici, elaborati in primis dagli Istituti centrali del Ministero, che hanno via via coperto praticamente ogni articolazione del patrimonio culturale. Ad oggi non si dispone di un dato complessivo che restituisca in termini qualitativi e quantitativi l’entità di questo lavoro svolto da tutte le istituzioni del territorio; tuttavia un’analisi dei sistemi nazionali di catalogazione/descrizione può fornire un utile parametro di riferimento. Complessivamente i sistemi informativi gestiti dagli Istituti centrali del Ministero, che costituiscono oggi il principale punto di riferimento in termini metodologici e tecnologici, contengono oltre 37 milioni di descrizioni catalografiche a cui sono associate circa 26 milioni di immagini; questo patrimonio informativo è stato consultato da oltre 100 milioni di visitatori unici negli ultimi cinque anni. A questo si somma quanto ancora gestito a livello territoriale, dai sistemi informativi regionali o da applicativi locali, e non confluito nelle banche dati nazionali; un patrimonio sicuramente considerevole ma frammentato, di cui risulta difficile anche dare non solo una interpretazione, ma addirittura una quantificazione attendibile.

L’articolazione settoriale e territoriale dei sistemi informativi non è di per sé un disvalore; al contrario restituisce vitalità culturale e ricchezza di contenuti. È infatti intuitivo considerare come sia possibile garantire più facilmente profondità scientifica in contesti circoscritti e omogenei disciplinarmente.

Tuttavia oggi un tale sistema così granularmente articolato mostra alcuni punti di debolezza che vanno affrontati con una strategia che sia in grado di mitigarne i limiti connessi:

  • scarsa sostenibilità nel tempo dovuta alla rapida obsolescenza di dati, applicativi e infrastrutture non pensati in termini di reti di soggetti interconnessi;
  • impossibilità di sviluppare servizi digitali avanzati che si basino su un efficace scambio e interrelazione dei dati;
  • limitata condivisione dei risultati, in termini sia di competenze sia di prodotti realizzati, con conseguente aumento dei costi dovuti alla moltiplicazione degli strumenti tecnologici e metodologici in uso;
  • scarsa possibilità di seguire gli utenti nelle diverse forme di fruizione del patrimonio culturale, che precedono e seguono la visita presso il luogo della cultura.

Poiché l’interoperabilità e il dialogo di centinaia di sistemi informativi esistenti, diversi tra loro per livello tecnologico e modelli dati, non potrà raggiungersi se non condividendo alcuni livelli applicativi, il PND definisce le condizioni abilitanti affinché possa strutturarsi e crescere un ecosistema digitale del patrimonio culturale.

È necessario inoltre tenere conto del contesto europeo; nell’ambito del programma Horizon Europe è prevista una specifica misura per il biennio 2023-2025 finalizzata alla creazione di un Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale [5], che prosegue e consolida le numerose iniziative europee per la digitalizzazione. La Commissione Europea parte dalla constatazione che “le istituzioni culturali, insieme alla costruzione dell’identità europea, stanno vivendo un cambiamento di paradigma cruciale, caratterizzato dall’accelerazione della digitalizzazione e da nuovi modelli di governance stimolati dalla scienza co-creativa e dalla partecipazione di un’ampia gamma di stakeholder. Il risvolto concettuale di questo cambio di paradigma è l’attuale nozione di patrimonio culturale, che integra la diversità del secolare patrimonio culturale europeo (storico-artistica, naturale, immateriale, ecc.) con i diversi livelli di governo (locale, regionale, nazionale, europeo, universale). In virtù di questa nozione che si sta configurando, il patrimonio culturale: 1) fornisce le prospettive per abbracciare la transizione verde, reinterpretando il rapporto tra patrimonio culturale e naturale; 2) sostiene la coesione sociale coinvolgendo cittadini, ricercatori ed esperti all’interno delle comunità del patrimonio; 3) tutela e trasmette al futuro i beni culturali materiali. In altre parole, questo patrimonio culturale europeo è verde (sostenibile), innovativo (che fornisce occupazione nelle ICC – Imprese Culturali e Creative) e digitale. Il patrimonio culturale digitale contemporaneo non è solo tecnologicamente prevalente, ma apre anche la strada a un nuovo mondo digitale incentrato sull’uomo, in cui il Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale svolgerà un ruolo chiave” [6].

L’esigenza di dotarsi di un Piano è quindi anche funzionale alla piena adesione da parte italiana, quale Stato membro dell’Unione, all’impianto della cooperazione culturale a livello europeo. La costruzione di un patrimonio culturale digitale nazionale, composto da oggetti collocabili nello spazio informativo dell’infosfera *, può rappresentare per l’Italia l’occasione per recuperare e interpretare un ruolo rilevante sulla scena culturale globale, senza rinunciare alla propria storica tradizione di tutela.

In sintesi si può affermare che la digitalizzazione del patrimonio culturale è una realtà acclarata da tempo, ma non ha prodotto quel salto culturale – in termini di conoscenza specialistica e diffusa, valore sociale, immagine del Paese, organizzazione degli Istituti – che è possibile ottenere grazie al nostro immenso patrimonio. Appare necessario, quindi, condividere una linea cooperativa d’azione, in grado di valorizzare al meglio tutto ciò che territorialmente si è prodotto e si produrrà in questo ambito. Se essa non esiste, qualsiasi tentativo di innovazione rischia di esaurirsi in un’operazione temporanea, più o meno efficace.

[1]Cfr. Censimenti ISTAT ai seguenti indirizzi web: https://www.istat.it/it/cultura-comunicazione-viaggi?dati; https://www.istat.it/it/archivio/cultura.
[2]Cfr. le diverse fonti del MiC suddivise per settore: DB Unico dei luoghi della cultura (https://dati.beniculturali.it/lodview/resource/datasetLuoghiDellaCultura.html); SAN – Sistema archivistico nazionale (http://san.beniculturali.it/web/san/ricerca-negli-archivi); ICCU - Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche, Anagrafe delle biblioteche italiane https://anagrafe.iccu.sbn.it/it/statistiche/statistiche-al-31-12-2020).
[3]Secondo il Codice dei Beni culturali e del paesaggio si definiscono Istituti e Luoghi della Cultura le seguenti tipologie: Museo “una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”; Biblioteca “una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio”; Archivio “una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca”; Area archeologica: “un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica”; Parco archeologico “un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto”; Complesso monumentale “un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme, un’autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica”.
[4]Calcolo effettuato sugli enti che ricevono contributi dal FUS – Fondo Unico per lo Spettacolo.
[5]Entro il 2025, la Commissione Europea investirà 110 milioni di euro per finanziare progetti connessi a realizzare un’infrastruttura cloud collaborativa che fornirà tecnologie per la digitalizzazione di manufatti, la ricerca scientifica e la documentazione dei dati. Ciò permetterà una collaborazione transdisciplinare e su larga scala tra studiosi del patrimonio culturale, curatori, archivisti e conservatori, consentendo alle istituzioni più piccole e remote di partecipare a progetti congiunti.
[6]European Commission, Directorate-General for Research and Innovation, Brunet, P., De Luca, L., Hyvönen, E., et al., Report on a European collaborative cloud for cultural heritage: ex – ante impact assessment, 2022, https://data.europa.eu/doi/10.2777/64014