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8. Parole chiave

I termini che seguono sono stati selezionati dal testo del PND in quanto rappresentano dei concetti chiave necessari per comprendere il contesto culturale e tecnico da cui trae origine il documento. Questa sezione Parole chiave non vuole dunque offrire un “vocabolario” esaustivo o un elenco di definizioni, ma una disambiguazione dei termini e approfondimento dei concetti per aiutare il lettore nella comprensione del significato complessivo del Piano.

Accessibilità

L’accessibilità è considerata, in generale, come il facile accesso da parte di un numero quanto più ampio di persone, rappresentative della società, a un oggetto, un servizio o un ambiente. In base ai diversi ambiti e contesti di utilizzo la definizione si arricchisce nei significati.

In relazione al contesto culturale, il concetto di accessibilità compare già nell’ Art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, dove si legge: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici” [55]. La cultura, l’arte e la scienza appaiono già in questa definizione come beni necessari per la comunità. L’accessibilità culturale significa dunque garantire pari opportunità di accesso alla cultura tramite l’abbattimento di molteplici barriere, siano esse fisiche, sociali, intellettuali, sensoriali, culturali, economiche o tecnologiche (Da Milano, 2014). Il termine accessibilità, infatti, è profondamente legato al riconoscimento del concetto di barriera e di privilegio, l’uno inteso come qualsiasi tipo di ostacolo che impedisce la completa fruizione di un bene o servizio, e l’altro come qualsiasi rapporto gerarchico fra individui in una società.

In questo senso, i paradigmi espressi nel PND hanno l’obiettivo di superare qualsiasi tipo di barriera, visibile o invisibile, per abbracciare invece il concetto di accessibilità diffusa, ovvero: la fruizione del patrimonio culturale - pubblico e privato - senza dislivelli sociali e marginalità territoriali; il superamento delle barriere linguistiche e del divario scolastico; il coinvolgimento di diverse fasce di pubblico e target generazionali e multiculturali; l’accesso, sia allo spazio fisico che a quello digitale, da parte di persone con esigenze di accesso specifiche [56]; la disponibilità di risorse culturali; l’usabilità e l’accessibilità a lungo termine degli oggetti digitali attraverso l’adozione di nuove strategie di conservazione (approccio cloud); un’adeguata metadatazione attraverso protocolli standard rilasciati in formato aperto.

L’obiettivo è quello di considerare l’accessibilità in ogni forma, così da avviare un cambio di paradigma sia culturale che sociale, attuando i principi espressi nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 [57]. La Convenzione, fondata sul concetto non solo di accessibilità ma anche di inclusività, ha introdotto il concetto di “utenza ampliata” secondo cui è necessario considerare le differenti caratteristiche individuali, dal bambino all’anziano, includendo tra queste anche la molteplicità delle condizioni di disabilità, al fine di trovare soluzioni inclusive valide per tutti e non dedicate esclusivamente alle persone con disabilità (Del Zanna, 2015). Il tema dell’inclusività è stato ripreso anche dall’Agenda ONU 2030, declinato nell’obiettivo numero quattro, ”Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

Application Programming Interface (API)
Un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (API) è un insieme di protocolli, funzioni e/o comandi che i programmatori usano per facilitare l’interazione tra servizi e software distinti; sono dunque interfacce con cui le macchine si relazionano. Le API permettono a un servizio software di accedere ai dati di un altro servizio software senza che lo sviluppatore debba sapere come funziona l’altro servizio. A livello tecnico, esse permettono ad agenti eterogenei di accedere dinamicamente e riutilizzare gli stessi set di dati e flussi di lavoro standardizzati. Attraverso le API i dati possono dunque essere interrogati, estratti, scambiati, arricchiti; integrare e diffondere la conoscenza, invece di limitarsi a catturarla e incapsularla, è l’obiettivo dei moderni sistemi informativi culturali. Questo cambiamento tecnico e intellettuale può essere visto come la «svolta infrastrutturale» nelle Digital Humanities (Tasovac et al., 2015) e della trasformazione digitale.
Big Data

Si definiscono big data quei dati, siano essi strutturati, semi strutturati e non strutturati, che abbiano almeno una delle seguenti caratteristiche:

  • Volume: ovvero un grande volume di dati distribuiti in diversi ambienti che non è possibile raccogliere con tecnologie tradizionali.
  • Velocità: si fa riferimento alla velocità con cui molti dati vengono generati, raccolti ed elaborati, con l’obiettivo di analizzare grandi volumi di dati in tempo reale.
  • Varietà: Si fa riferimento alle differenti tipologie di dati provenienti da un numero crescente di fonti eterogenee.

Oltre a queste tre caratteristiche fondamentali, i big data si contraddistinguono anche per:

  • Veridicità: la qualità e l’integrità dei dati dovrebbe essere sempre garantita. I dati devono essere affidabili nonostante la velocità con la quale vengono raccolti in relazione ad una varietà di fonti diverse.
  • Variabilità: si fa riferimento ai diversi formati di dati, ai differenti contesti di provenienza e ai significati mutevoli in relazione al contesto.
  • Valore: in base alle diverse metodologie di Big Data Analytics è possibile estrarre valore dai dati, ovvero informazioni consapevoli utili nei diversi domini di appartenenza.

La crescente trasformazione digitale, unita all’evoluzione tecnologica e allo sviluppo della potenza computazionale, stanno plasmando una società cibernetica i cui meccanismi di lavoro sono basati sempre più sulla produzione, l’impiego e lo sfruttamento di grandi volumi di dati (Kaplan, 2015). Grazie al passaggio da un web informativo a un web più profondamente interconnesso, con il conseguente emergere di una grande quantità di dati senza precedenti spesso non strutturati, si stanno trasformando le modalità con cui creiamo, interpretiamo, valorizziamo, gestiamo, analizziamo e visualizziamo le risorse digitali e di conseguenza anche le informazioni e i contenuti inerenti al patrimonio culturale (Rojas, 2017 e Jocker, 2016). Il fenomeno dei big data sta rimodellando i modi in cui le istituzioni della cultura selezionano i materiali da raccogliere, conservare e condividere nell’interesse pubblico e quali futuri vengono creati attraverso queste pratiche di raccolta.

Nel dominio culturale, tuttavia, la nozione di big data è ancora nella sua fase embrionale, e solo negli ultimi anni si è iniziato a indagare, esplorare e sperimentare l’impiego e lo sfruttamento dei big data e a comprendere le possibili forme di collaborazione e di opportunità basate su di essi. L’uso dei big data all’interno dell’ecosistema della cultura può dare gli strumenti per capire alcune tendenze, per cogliere le opportunità di intercettare nuovi pubblici e ottimizzare la pianificazione di progetti facilitando forme di accessibilità. L’analisi di questi dati può prevedere le esigenze future e innovative per la creazione di valore e la partecipazione sociale attiva.

Cloud

Cloud, letteralmente “nuvola informatica”, è il termine con cui si fa riferimento alla tecnologia che permette di gestire e processare dati in rete. Secondo la definizione fornita dalla National Institute of Standards and Technology, il cloud computing è un modello per abilitare, tramite la rete, l’accesso diffuso, agevole e a richiesta, ad un insieme condiviso e configurabile di risorse di elaborazione (ad esempio reti, server, memoria, applicazioni e servizi) che possono essere acquisite e rilasciate rapidamente e con minimo sforzo di gestione o di interazione con il fornitore di servizi (Grance e Mell, 2011) [58]. Le risorse condivise, elaborate in server cloud situati in un datacenter, sono caratterizzate da rapida scalabilità e dalla misurabilità puntuale dei livelli di performance.

Tale modello cloud è caratterizzato da tre modalità di servizio (SaaS, Software as a Service; PaaS, Platform as a Service; IaaS, Infrastructure as a Service) e quattro modelli di distribuzione (cloud privato, comunitario, pubblico e ibrido).

Dunque, il cloud computing si riferisce a un nuovo paradigma per la fornitura di infrastrutture informatiche e di architettura di sistemi basati su servizi che possono essere alla base dell’ecosistema digitale della cultura (Regalado, 2011). Questa tecnologia comporta lo spostamento della localizzazione di infrastrutture nella rete con l’obiettivo di aumentare la sostenibilità e ridurre i costi per la gestione delle risorse hardware e software, permettendo dunque non solo di accogliere gli oggetti digitali ma di usufruire di servizi per il loro processamento, invocandoli a richiesta in modo scalabile.

In coerenza con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è stata elaborata dal Dipartimento per la trasformazione digitale e dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) la Strategia Cloud Italia [59]. Tale strategia, che ha avviato la migrazione dei dati della Pubblica Amministrazione verso il cloud dei dati nazionale e i servizi digitali, risponde a tre sfide principali: 1. assicurare l’autonomia tecnologica del Paese; 2. garantire il controllo sui dati; 3. aumentare la resilienza dei servizi digitali.

Co-creazione

Con il termine “co-creazione” si intende un’attività di progettazione partecipativa, in cui rientrano anche la “co-produzione” e il “co-design”. Non vi è una definizione chiara e univoca di tale termine, sia perché è spesso usato in contesti e discipline differenti, sia perché afferisce al concetto di progettazione partecipativa che fa uso di termini interscambiabili o correlati. Alcuni autori hanno identificato la co-creazione come la composizione di co-produzione e co-progettazione, mentre altri hanno indicato la co-creazione come un particolare caso di co-progettazione. (Dudau et al., 2019, Grönroos 2011, Sanders 2008).

Nel contesto del PND, ci si riferisce al processo di co-creazione che si basa sul coinvolgimento attivo degli utenti finali nelle diverse fasi del processo produttivo di un prodotto o servizio. Si tratta di una “cultura partecipativa” (Uricchio, 2004) in cui il processo di diffondere, condividere e mettere in relazione contenuti è reso possibile dall’attuale rivoluzione digitale e diffusione transmediale (video games, Internet, piattaforme mobile, social networks, ecc.), secondo un modello di produzione di contenuti orizzontale e dominato dalle “user generated stories”.

Conservazione digitale

Archiviazione, preservazione e conservazione degli oggetti digitali sono termini che spesso vengono utilizzati nel linguaggio corrente in modo alternativo, ma nel contesto specifico dei documenti tecnici assumono significati precisi e non coincidenti. I tre termini identificano procedure distinte, ma interconnesse, del ciclo di vita dei dati.

Per archiviazione si intende il processo che consente di immagazzinare dati e metadati su idonei supporti di memorizzazione, che possono essere di varia natura (hard disk, NAS, repository cloud, ecc.) e accessibili mediante strumenti informatici. Si tratta di un processo tecnico di cui occorre valutare le implicazioni pratiche e tecnologiche nei confronti delle future fasi del ciclo di vita della risorsa digitale. I dati da archiviare devono essere preventivamente incapsulati in un pacchetto di archiviazione (noto con la sigla AIP, Archival Information Package) capace di supportare il versioning dei dati e del software, ovvero la gestione di multiple versioni dei medesimi documenti, in genere distinte da un suffisso incrementale.

La conservazione digitale è un termine che assume un diverso significato a seconda del contesto di applicazione. Nell’ambito del patrimonio culturale digitale, essa consiste nell’insieme dei processi e delle attività volte a garantire la permanenza a lungo termine delle informazioni in formato digitale. La conservazione digitale deve garantire la continua accessibilità degli oggetti digitali nel tempo, cercando di evitare i rischi connessi all’obsolescenza degli hardware e dei software, all’incompatibilità dei formati e alla duplicazione dei file. Secondo la definizione dell’Agenzia per l’Italia Digitale, la conservazione è “l’attività volta a proteggere e custodire nel tempo gli archivi di documenti e dati informatici” [60].

Nella lingua inglese è invece più diffuso il termine “digital preservation”, che talvolta viene tradotto in italiano con il corrispettivo “preservazione digitale”: il significato della locuzione è analogo a quello di conservazione digitale (vedi sopra) come dimostrano alcuni casi d’uso concreti, che di fatto pongono “conservazione digitale” e “preservazione digitale” sul piano dei sinonimi (si veda, a tal proposito, il par. 7.7.3 “Preservazione dei dati” delle Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati) [61].

Diverso è il caso della conservazione digitale “a norma” (detta anche “conservazione sostitutiva”), procedura informatica regolamentata dalla legge e volte a garantire, nel tempo, la validità dei documenti informatici (cfr. Art. 44 del CAD, “Requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici”). Questa deve assicurare l’integrità, l’affidabilità, la leggibilità e l’autenticità dei documenti digitali.

Contesto
Il contesto, nel campo informatico, è fondamentale per ricavare un dominio di conoscenza. L’elemento minimo del contesto è il dato inteso come un’informazione grezza, spesso costituita o codificata da simboli che devono essere elaborati e contestualizzati. Il dato, quando arricchito di un contesto, diventa informazione. Il contesto viene determinato da diversi altri aspetti, quali, ad esempio, i metadati; quindi un dato può essere visto come informazione o un sistema informativo solo quando inserito in un contesto (Tomasi, 2022). Un dato è un fatto distinto che viene rappresentato in un certo modo e che si verifica sempre con delle precise circostanze che ne determinano il significato. Un dato avulso dal contesto può non essere interpretabile, e diventa informazione attraverso l’elaborazione di più dati che lo collocano in un determinato valore semantico o conoscenza. Il contesto può essere visto come un insieme di variabili i cui valori possono creare dei cambiamenti nella rappresentazione dell’informazione e del significato. Non si può dunque prescindere dal contesto nel quale un’informazione si trova a operare perché composto da relazioni fra entità, da strutture, regole, sintassi e logiche ben determinate. I metadati hanno un ruolo fondamentale nella descrizione dei contenuti e nella determinazione di un contesto; per questo per i dati della cultura, la scelta dei modelli di metadati si collega a un atto di preservazione, interpretazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Crowdsourcing

Il neologismo crowdsourcing è stato introdotto nel 2005e significa appaltare un compito (il tradizionale outsourcing) a un gruppo di persone(crowd, folla) attraverso con una “chiamata aperta” di collaborazione a progetti rivolta a chiunque voglia partecipare. Questa pratica collaborativa, oltre a ottimizzare i costi di produzione, crea meno separazione fra chi è un professionista e chi non lo è. In questo quadro sono state sviluppate diverse piattaforme e progetti che hanno permesso di contribuire alla costruzione di contenuti in rete da parte degli stessi utenti e, come nel caso di Wikipedia, in vari ambiti della cultura. Il crowdsourcing rappresenta uno strumento di partecipazione, e può essere un modo per coinvolgere un pubblico più ampio in attività che sono state tradizionalmente appannaggio degli esperti di settore (Van Hyning, 2019). Queste pratiche portano quindi a nuove modalità di interazione e confronto con il patrimonio culturale e creano le possibilità di apprendere e misurarsi in modo diverso da come tradizionalmente si è abituati, coinvolgendo potenzialmente un pubblico più ampio.

Infatti, diversi sono i progetti provenienti dalle Digital Humanities in cui compiti molto complessi, tradizionalmente svolti da studiosi, sono stati affidati a persone non esperte, producendo così un cambio di approccio e di valore ai documenti del patrimonio culturale. Un esempio è Transcribe Bentham [62]_ un progetto sviluppato presso l’University College London (UCL) sui manoscritti del filosofo inglese, per il quale è stata richiesta la collaborazione degli utenti nella correzione delle trascrizioni prodotte attraverso l’ausilio di software HTR (vedi Linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale). In progetti di questo tipo le istituzioni sono obbligate a trovare una chiave interpretativa alternativa di fruizione del patrimonio culturale, in cui l’utente diventa protagonista della stessa trasmissione culturale.

Cultura digitale
Con il termine cultura digitale si intende il corpus delle conoscenze e competenze di natura digitale fruite attraverso il web, la cui accessibilità è strettamente legata alla pervasività delle nuove tecnologie nella società. La cultura digitale comincia a prendere forma a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, quando negli Stati Uniti si avviano i primi progetti relativi alla rete internet. Il concetto si sviluppa in relazione al diffondersi delle Information and Communication Technologies (ICT), ovvero alla grande capacità di processare dati e informazioni e alla capacità di muovere e relazionare dati e informazioni attraverso la rete. La cultura digitale si caratterizza per tre elementi: partecipazione, digitalizzazione e riuso dell’informazione (Miller, 2020). Basata su rapporti decentrati dove la trasmissione del sapere avviene nella forma della rete, essa appare come un vero e proprio ecosistema, capace di riformulare i saperi del passato e contemporaneamente di proiettarsi nel futuro; una ‘intelligenza collettiva’ che può essere valorizzata grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi media (Lévy, 1996). La cultura digitale è anche connessa alla necessità di preservare l’accessibilità ai diversi formati nel tempo, soprattutto per quelli nativamente digitali, e per questo promuove l’utilizzo di standard nella produzione e archiviazione dei contenuti.
Data as a Service
Il Data as a Service (DaaS, “Dati come servizio”) è un modello di fornitura e distribuzione delle informazioni in cui i file di dati (inclusi testo, immagini, suoni e video) sono resi disponibili agli utenti attraverso una rete, tipicamente Internet. Il modello utilizza una tecnologia di base fondata sul cloud computing che supporta servizi web e la SOA (Service Oriented Architecture, “architettura orientata ai servizi”). Le informazioni reperibili mediante un DaaS sono memorizzate nel cloud, e accessibili attraverso diversi dispositivi. Come tutte le tecnologie “as a service” (aaS), DaaS si basa sul concetto per cui il servizio erogato mediante tale tecnologia possa essere fornito all’utente «su richiesta» (Agrawal et al., 2009). L’architettura orientata ai servizi (SOA) e l’uso sempre più diffuso delle API permettono di interrogare direttamente le banche dati, prescindendo dalle piattaforme di presentazione delle informazioni. Esempi comuni di DaaS includono, a titolo esemplificativo, i servizi di georeferenziazione, che forniscono dati geografici agli utenti.
Dati aperti

I dati o, altri tipi di contenuto connessi a questi, sono aperti se chiunque ha la libertà di usarli, riutilizzarli e ridistribuirli per qualsiasi finalità. A seconda delle licenze con cui i dati vengono pubblicati, possono essere soggetti a requisiti di attribuzione e di condivisione tramite le stesse licenze con cui sono stati originariamente rilasciati. Secondo la Open Knowledge Foundation il concetto di “apertura” si declina secondo i seguenti principi:

  • Disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili nel loro insieme e a non più di un costo di riproduzione ragionevole, preferibilmente scaricando su internet. I dati devono anche essere disponibili in una forma conveniente e modificabile.
  • Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a condizioni che consentano il riutilizzo e la ridistribuzione, inclusa la commistione con altri set di dati.
  • Partecipazione universale: tutti devono essere in grado di usare, riutilizzare e ridistribuire. non ci dovrebbero essere discriminazioni contro campi di attività o contro persone o gruppi.

Per avere una panoramica completa delle regole tecniche e del riutilizzo dei dati aperti nel contesto della pubblica amministrazione, è possibile consultare le Linee guida “Open Data” redatte da Agid [63].

Digital library

Il termine digital library, utilizzato per la prima volta nel 1987, vanta una molteplicità di definizioni e interpretazioni. La declinazione più usata del termine digital library è legata al dominio delle biblioteche, ma sono comuni anche descrizioni che si riferiscono a progetti dell’intero ecosistema GLAM (Galleries, Libraries, Archives and Museums). Ci sono stati vari tentativi di giungere ad una visione comune. Uno tra questi è stato quello della Digital Library Federation (DLF) nel 1998 (“A working definition of digital library”), secondo cui le digital library sono organizzazioni che forniscono risorse, compreso il personale specializzato, per selezionare, strutturare, offrire accesso, interpretare, distribuire, preservare l’integrità e assicurare la persistenza nel tempo delle collezioni di oggetti digitali, in modo che siano facilmente disponibili per l’uso e fruibili all’esterno da parte di un insieme di comunità.

Questa definizione si è arricchita di nuovi significati con la successiva evoluzione del web e dei cambiamenti tecnologici, dominati dalle relazioni semantiche, dall’interoperabilità e dal riutilizzo delle risorse digitali (Salarelli e Tammaro, 2006).

Nelle varie accezioni, si identifica con digital library il progetto World Digital Library della Library of Congress, le cui collezioni includono varie tipologie di beni traversali all’universo GLAM. In questo contesto si condivide il significato di digital library che si riferisce ad una struttura unica e coerente, in cui le risorse digitali sono messe in relazione fra loro in base all’ambito di appartenenza (biblioteche, archivi, musei), alla tipologia di formati (es. immagini, testo, audio, ecc.) e alla natura degli oggetti digitali (digitali nativi o risultati di campagne di digitalizzazione). Questa declinazione di digital library supera il concetto di “teca digitale”, visto come un aggregatore di risorse, per abbracciare quello di ecosistema governato da relazioni semantiche, cross-disciplinarietà, interscambio e relazioni, sia fra le risorse stesse, sia fra le risorse e gli utenti finali.

In ambito italiano si richiama infine il Nuovo manifesto delle biblioteche digitali redatto nel 2020 dal Gruppo di lavoro sulle biblioteche digitali (GBDIG) dell’Associazione italiana biblioteche [64].

Digitale nativo

Si dicono digitali nativi i documenti che hanno origine in una forma digitale, in inglese born digital, e non sono una riproduzione di beni analogici. I materiali nativamente digitali sono al centro del dibattito odierno sia per la raccolta e la gestione ma anche per le problematiche che sussistono ad archiviare tale materiale in relazione all’obsolescenza di hardware e software e alla mole dei documenti che viene prodotta, in costante aumento. La definizione di un oggetto born digital include diverse tipologie di documenti digitali e di archivi, che possono essere sia archivi personali sia di istituzioni della cultura (Jaillant, 2022). Gli archivi nativamente digitali comprendono una varia tipologia di materiali che includono siti web, documenti informatici, fotografie, interviste audio, video creativi o di documentazione, informazioni di eventi, materiale di riproduzioni digitali pregresse, copie di siti e di social network, ecc. Un esempio di archivio di documenti digitali di scrittori contemporanei in Italia è PAD (Pavia Archivi Digitali) (Weston e Carbé, 2015).

Seppur l’Italia figura tra i Paesi europei che ancora non hanno regolamentato il deposito legale delle risorse native digitali e il Web archiving, il progetto “Magazzini Digitali”, avviato nel 2006 dalla Fondazione Rinascimento Digitale, dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, a cui successivamente si è aggiunta la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, è un primo tentativo di mettere a regime un sistema per la conservazione permanente di oggetti nativamente digitali e diffusi tramite rete informatica, in attuazione della normativa sul deposito legale (L. 106/2004, D.P.R. 252/2006), che estende l’obbligo del deposito legale anche al digitale. Questo servizio affronta la conservazione nel lungo periodo distinta su più livelli: vitalità (un salvataggio affidabile dei dati); traducibilità (i formati di oggi devono essere interpretabili anche da un elaboratore di domani); autenticità (considerare metadati specifici per assicurare identità e integrità delle risorse); fruibilità (considerare metadati specifici per garantire l’accesso nel lungo periodo) [65].

Ecosistema digitale

Il termine ecosistema ha diversi significati a seconda delle declinazioni d’uso. Si parla di ecosistema naturale in riferimento ad una comunità che svolge interazioni, flussi e scambi in un equilibrio dinamico e che si evolve continuamente nel contesto circostante. Tale termine è spesso usato anche nella sua declinazione “digitale”, per descrivere un fenomeno che si è avviato con le prime campagne di digitalizzazione e che è esploso con lo sviluppo del web 2.0, la diffusione di dispositivi mobile e la cross-medialità (Marinelli, 2020). Come in natura, anche nell’ecosistema digitale si creano “ambienti” complessi in cui entità diverse tra loro per origine, struttura, funzionamento e scopo, risultano interdipendenti all’interno di una infrastruttura (organizzativa, logica o semantica). Caratteristiche predominanti dell’ecosistema digitale sono (Rosati, 2010):

  • Le relazioni: all’interno di un ecosistema non è possibile concepire nessun item come entità a sé stante, ma come parte di un ambiente in cui ciascun elemento intrattiene molteplici rapporti con tutti gli altri e con l’utente.
  • Gli utenti: essi sono parte dell’ecosistema e contribuiscono attivamente alla sua costruzione o ri-mediazione. L’utente (sia esso autore, fruitore, produttore e/o consumatore), partecipa attivamente al processo produttivo stabilendo nuove relazioni fra items/contenuti (aggregatori, social network, ecc.), suggerendo nuove proposte e collaborando al processo di produzione (wiki, blog, community, ecc.).
  • L’architettura: essa è dinamica, aperta ed estendibile. Da un lato aggrega (o ri-aggrega) contenuti che fisicamente risiedono altrove e che sono stati concepiti in modo indipendente. Dall’altro, il ruolo attivo degli utenti-intermediari rende tale architettura continuamente in divenire, aperta a continue manipolazioni non prevedibili.
  • L’ibridazione: l’ecosistema accoglie differenti domini (fisico, digitale, misto), entità (informazioni, oggetti, persone) e media.
  • La dimensione orizzontale: in queste architetture, la dimensione orizzontale – ovvero la correlazione fra elementi - prevale su quella verticale, che invece fa riferimento alla subordinazione gerarchica fra gli oggetti propria delle tassonomie tradizionali. All’interno di questa struttura, aperta e mobile, i modelli gerarchici lasciano spazio alla correlazione spontanea, estemporanea e multidimensionale degli utenti-intermediari.
  • Il design dei processi: la progettazione non è più incentrata sul singolo elemento (contenuti, prodotti, servizi) ma sulla rete degli elementi.

All’interno dell’ecosistema digitale cambia il modo in cui le risorse culturali vengono create, cercate, trovate, analizzate ed elaborate, risultando sempre più disponibili in modalità “diffusa” e partecipata. In questo scenario qualunque artefatto culturale (prodotto, informazione, servizio) si muove all’interno di un sistema complesso in cui ogni elemento intrattiene fitte relazioni con altri elementi del sistema, e come tale è concepito e fruito, trasformando l’esperienza di fruizione finale.

Edutainment
Il termine edutainment, coniato nel 1973 dal documentarista Bob Heyman, è un lemma composto dalla crasi di due sostantivi: education, che si riferisce alla fase educativa e di apprendimento, ed entertainment, che connota invece il carattere di divertimento e di svago (Cervellini et al., 2011). Questo approccio è stato inizialmente utilizzato come formula classica nella produzione di video-game educativi che si basano sulle teorie dell’apprendimento. Il termine è stato in seguito declinato nell’ambiente dell’educazione e considerato come un ramo dell’e-learning che consente di apprendere nozioni scolastiche ed extrascolastiche in modo ludico, attraverso contenuti formativi multimediali resi disponibili attraverso supporti informatici (Valentino et al., 2004). Nel corso dei decenni, per la duttilità che questo termine ha in numerosi contesti d’utilizzo, vi sono state associate molteplici altre definizioni: a un primo accostamento al settore dell’educazione scolastica è seguita l’estensione a ogni forma di intrattenimento che abbia al contempo lo scopo di far acquisire conoscenza. Attualmente, l’edutainment si riferisce a tutte le attività volte a integrare due obbiettivi della comunicazione culturale, quali “apprendimento” e “divertimento” (Ippoliti et al., 2011, p.49), tra cui il patrimonio culturale. Diverse istituzioni museali e luoghi della cultura hanno adottato il tema dell’edutainment quale forma di intrattenimento ed educazione, con l’obiettivo di promuovere una diversa modalità di partecipazione basata sull’economia dell’esperienza, e stimolare la fruizione da parte di pubblici eterogenei per età e formazione.
Infosfera

Col termine infosfera (composto da “informazione” e “sfera”), nella filosofia dell’informazione, si intende la globalità dello spazio delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso; l’habitat finale per la mente umana, generato dalle tecnologie digitali, in cui gli utenti si trovano immersi e condizionati dalle logiche di influenza degli algoritmi di funzionamento. Pertanto, essa include sia il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali) sia i mass media classici (Amicucci 2021, Peyron 2019).

Il filosofo etico Luciano Floridi ha definito l’infosfera come «lo spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni», dove per «documenti» si intende qualsiasi tipo di dato, informazione e conoscenza, codificata e attuata in qualsiasi formato semiotico; per «agenti», qualsiasi sistema in grado di interagire con un documento indipendente (ad esempio una persona, un’organizzazione o un robot software sul web); per «operazioni» qualsiasi tipo di azione, interazione e trasformazione che può essere eseguita da un agente e che può essere presentata in un documento (Floridi 2017, Floridi 2020).

Secondo il filosofo Maurizio Ferraris l’infosfera è uno spazio di pura informazione, ma questa non è che la minima parte di ciò che ci circonda; l’infosfera poggia su una “docusfera”, ossia su documenti che registrano le azioni umane senza necessariamente portare informazioni, e quest’ultima a sua volta poggia su una biosfera, ossia sul mondo della vita (Ferraris, 2021). Secondo questa visione, quella che noi concepivamo come infosfera è in realtà una docusfera, cioè un gigantesco oceano fatto di documenti e questi documenti sono l’accumulo di tutti gli atti dell’umanità depositati nel web. La sfida che ci aspetta nell’attuale processo di trasformazione digitale dei beni culturali non sarà l’innovazione tecnologica ma la gestione della complessità, la governance del digitale.

Knowledge as a Service
Con Knowledge as a Service (KaaS, “conoscenza come servizio”) si indica un servizio informatico che fornisce agli utenti informazioni organizzate da uno o più combinazioni di modelli di conoscenza. Assieme a Data/Software/Infrastructure as as Service (D/S/Iass) fa parte dei principali modelli di cloud computing (Chrysikos e Ward, 2014). Termine recentemente entrato nell’uso degli addetti ai lavori, un KaaS si differenzia in modo sostanziale da un DaaS: mentre quest’ultimo è volto principalmente a fornire dati, un Kaas mette a disposizione “conoscenza”, intesa come una rete di relazioni di dati e informazioni riguardo a un ambito di conoscenza oggetto di interesse dell’utente (18th International Semantic Web Conference). Per mezzo di un sistema Knowledge as si può accedere, mediante uno specifico servizio erogato tramite internet, a elementi di conoscenza strutturata sotto forma di grafi di conoscenza (knowledge graphs). In questo modo, un KaaS è in grado di trarre informazioni dal contesto relativo sia all’utente, sia all’informazione richiesta dall’utente stesso: sfruttando le potenzialità del web semantico, questa nuova forma di servizio si configura come un processo di conoscenza dinamico e interrelato.
Licenza d’uso
La licenza d’uso è un contratto, redatto in genere in forma elettronica, con il quale un autore concede ad altri la “la facoltà di utilizzo di un’opera o di altri materiali protetti” (Orlandi et al., 2021); in un contratto di licenza i diritti, quindi, non vengono ceduti ma rimango del titolare che stabilisce le modalità di utilizzo dei contenuti licenziati. Le licenze si dicono “aperte” quando consentono permetta l’utilizzo dei contenuti da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato. Alcuni esempi di licenze aperte standard sono: Creative Commons (CC), Open Government Licence (OGL), Open Data Commons (ODC), Italian Open Data License (IODL).
Machine-to-machine
L’espressione machine-to-machine è nata in campo industriale per definire processi di controllo in cui le macchine aiutano a gestire le attrezzature. In informatica, si intende una tecnologia che collega dispositivi in rete per scambiare informazioni, per eseguire azioni automaticamente o fornire servizi (Verma et al., 2016).
Maturità digitale
La maturità digitale (digital maturity) è definita come la capacità di un’istituzione di utilizzare, gestire, creare e comprendere il digitale, in modo contestuale (adatto al proprio ambiente e alle proprie esigenze specifiche), olistico (che coinvolge la visione, la leadership, il processo, la cultura e l’organizzazione) e propositivo (costantemente allineato alla missione dell’istituzione) (Finnis, 2020). Nel caso specifico degli istituti culturali, la valutazione del grado di maturità digitale (maturity assessment) consente di comprendere e misurare la propria capacità digitale, stabilendo delle strategie e dei piani di miglioramento in funzione degli obiettivi di trasformazione digitale.
Metadati

I metadati sono informazioni strutturate che descrivono dati o insiemi di dati. Indistricabilmente legati e necessari per la corretta gestione del ciclo di vista di una risorsa digitale, i metadati sono in genere sviluppati per mezzo di pratiche e metodologie di comunità scientifiche di specifici domini di conoscenza, e fanno ampio uso di standard nazionali e internazionali, schemi e vocabolari controllati specifici per ciascun ambito del sapere (Tomasi, 2010).

Vengono spesso definiti come dati che descrivono altri dati, o come insiemi di dati associati a un determinato documento informatico che permettono di identificarlo, di descriverne il contenuto e il contesto, garantendone la sostenibilità nel tempo. I metadati sono informazioni che descrivono, spiegano e rappresentano i dati facilitandone l’uso, la gestione e il recupero. Esistono diverse tipologie di metadati che appartengono a fasi diverse di produzione, gestione e pubblicazione dei dati. I file di metadati possono essere esterni o interni agli oggetti digitali. Descrivere una risorsa attraverso i metadati ne permette la comprensione da parte di persone e macchine in modo da facilitare e promuovere l’interoperabilità. A seconda della tipologia di informazione veicolata, i metadati sono distinti in diverse categorie: metadati descrittivi, gestionali, amministratici, tecnici, di conservazione, sui diritti, strutturali.

Modelli

Il termine modello può assumere diversi significati a seconda del contesto. I modelli possono essere: le strutture con cui si rappresentano e si formalizzano, nell’ambiente digitale, gli oggetti del patrimonio culturale nella loro riproduzione dall’analogico; il modo in cui vengono ridisegnati nella struttura di un sistema più ampio delle tecnologie che lo accompagnano nella realizzazione; i modelli di fruizione che vengono offerti all’utente per coinvolgerli e catturarne l’attenzione; i modelli gestionali del lavoro che richiedono competenze trasversali e ibride (Faioli, 2018). Dunque, il concetto di modello può essere declinato non soltanto per ciò che pertiene il digitale, l’aspetto informatico o di scienze dell’informazione, ma anche per quanto concerne l’organizzazione del lavoro, la formazione, l’organizzazione della conoscenza e dei servizi creati agli utenti.

Nelle Digital Humanities il concetto di modellizzazione rappresenta una delle attività principali e può essere inteso come un processo creativo e di formalizzazione di un ragionamento o di rappresentazione di un dominio di interesse (McCarty, 2005 – Flanders e Jannidis, 2015). Il modello concettuale permette l’interpretazione e la restituzione della conoscenza (Ciula et al., 2018). Questo modello, che precede generalmente il modello dei dati, si basa sempre su un’interpretazione di cui dovrebbe farsi carico un esperto di dominio e su cui si instaurano le fondamenta di un quadro metodologico ampio, costituito dai campi disciplinari molto diversi.

Nel campo informatico, i modelli includono diverse attività di architettura del software (ma anche dell’hardware), il modo di organizzazione delle informazioni e di disegni di sistemi. Possiamo includere a questa panoramica generale: la modellizzazione dei dati, di scenari, orientata verso il flusso dei dati o approcci che riguardano l’architettura software (applicazioni, infrastruttura di rete, gestione dei dati, ecc.).

Open Access
L’Open Access (“accesso aperto”) si afferma come movimento, con una sua definizione e una programmazione di attività, a partire dal 2001 con la Conferenza di Budapest organizzata dall’Open Society Institute (OSI), seguita nel 2002 dalla Budapest Open Access Initiative (BOAI), che ne segna l’atto di nascita ufficiale. La dichiarazione conclusiva dell’incontro contiene una prima definizione di contributo ad accesso aperto e l’individuazione delle due vie principali dell’Open Access (“green” e “gold” Open Access). Per «accesso aperto» si intende la disponibilità libera su Internet, con rete pubblica, permettendo a qualsiasi utente di leggere, scaricare, copiare, distribuire, stampare, cercare o collegare i testi completi di questi articoli, strisciarli per l’indicizzazione, passarli come dati al software o usarli per qualsiasi altro scopo legale, senza barriere finanziarie, legali o tecniche diverse da quelle inseparabili dall’accesso a Internet stesso (Orlandi et al., 2021). L’unico vincolo alla riproduzione e alla distribuzione, e l’unico ruolo del copyright in questo campo, dovrebbe essere quello di dare agli autori il controllo dell’integrità del loro lavoro e il diritto di essere adeguatamente riconosciuti e citati.
Paesaggio culturale

Il termine paesaggio culturale identifica un sistema di valori connotato dalla relazione fra beni culturali, cittadini/comunità e contesti fisici/virtuali. Il campo determinato da tali relazioni consente di superare lo storico isolamento degli oggetti culturali nelle istituzioni di conservazione, per intercettare nuovi pubblici e promuovere nuovi significati, anche di natura sociale.

L’ordinamento italiano ha storicamente ben definito la natura individuale dei beni: antichità, monumenti, belle arti, cose, bellezze naturali, ecc. (Parpagliolo L., 1913). L’attenzione riservata alle istituzioni destinate a contenerle e/o a tutelarle è sempre stata relativamente secondaria; basti pensare alla faticosa gestazione di una nozione standardizzata di museo, che in parte trova un punto di arrivo nella costituzione del Sistema museale nazionale, ed alla attenzione posta al tema dei rapporti tra museo e territorio [66]. Dalla Convenzione di Faro (2005) in poi (Gualdani A., 2020), l’interesse delle istituzioni internazionali è ulteriormente slittato verso i contesti, mettendo in luce la natura fluida e negoziale (su base “comunitaria”) delle azioni formali deputate ad intercettare i processi di patrimonializzazione. ICOM, nel 2014, con la Carta di Siena (perfezionata a Cagliari nel 2016), ha tentato d’interpretare l’impianto di Faro, mediandone l’impatto con la “tradizione” italiana.

Patrimonio culturale digitale

Per Patrimonio culturale digitale si intende l’insieme di oggetti digitali prodotti dalla modellizzazione di dati informativi o dalla organizzazione di contenuti nativamente digitali, per conseguire obiettivi più avanzati di conoscenza, attraverso lo sviluppo del potenziale relazionale che ne connota la disseminazione. La disponibilità di tali oggetti nell’ambito di un ecosistema che li valorizzi, insieme all’uso o il riuso degli stessi in forma creativa, contribuiscono alla formazione, al pari dei beni materiali e immateriali, del patrimonio culturale (Bertini et al., 2020).

I dati grezzi e le riproduzioni digitali non costituiscono di per sé elementi di valore culturale, se non latamente. Essi lo diventano solo attraverso una forma elaborata e organizzata, quella degli oggetti digitali, in grado d’interagire con altre simili e di produrre nella relazione elementi connotativi patrimoniali, ritenutati rilevanti e quindi selezionati dal punto di vista culturale e sociale. Rispetto alla patrimonializzazione dei beni tradizionali, imperniata sul riconoscimento formale da parte di istituzioni, la patrimonializzazione degli oggetti digitali, derivando dalle relazioni e non dalle cose, trae la sua legittimazione dalla capacità d’interpretare una qualità o un bisogno di senso non episodico o puntuale, ma radicato in un’esperienza di conoscenza, da parte di una comunità, più strutturale e identitaria.

Piattaforma
Una piattaforma è qualsiasi sistema hardware e software utilizzato per ospitare applicazioni o servizi e serve come base per lo sviluppo o la gestione di altre applicazioni, processi o tecnologie. Le piattaforme possono essere distinte a seconda della loro funzionalità, e dell’obiettivo e dei servizi per cui sono state realizzate. Possono avere diversi sistemi operativi e software sviluppati ad hoc, oppure utilizzare software multi-piattaforma. Inoltre possono essere dotate di diverse interfacce sia per l’esposizione dei dati sia per l’interscambio con altre piattaforme.
Processo di patrimonializzazione

Per processo di patrimonializzazione si identifica l’insieme delle azioni, promosse su istanze sociali di tipo culturale, tecnico-scientifico e giuridico-amministrativo, attraverso le quali un qualsiasi oggetto, materiale, immateriale o digitale, viene considerato degno di sopravvivere al deperimento naturale per essere conservato nel tempo come testimonianza di civiltà.

La patrimonializzazione è un processo intenzionale che interessa, fin dalle origini, oggetti destinati a perdere gli originari attributi funzionali per assumere uno statuto nuovo, all’interno del perimetro definito dal valore culturale (Hartog, 2021, Fabre, 2013). La patrimonializzazione in realtà non è irreversibile: un bene così come è entrato a far parte del patrimonio, può uscirne per i più vari motivi. Lo studio dei percorsi d’inclusione e di esclusione toccano ambiti diversi, fra i quali quelli del potere simbolico, dei paradigmi culturali, delle istituzioni, della gestione/destinazione delle risorse, della partecipazione/mobilitazione delle comunità, dell’efficacia della tutela e della conservazione (Balzani, 2007).

Processo end-to-end
Il concetto di end-to-end fa riferimento a una logica secondo cui si analizzano i processi dall’inizio fino alla loro conclusione, in maniera trasversale rispetto all’assetto organizzativo dell’azienda, superando così la frammentazione in “silos” creata dell’organizzazione per funzioni.
Relazione
L’ambiente digitale, e in particolare il web, sono il luogo in cui si manifesta un ecosistema basato su molteplici relazioni e scambi di dati, di reti, utenti e risorse digitali interconnesse “tanto eterogenee quanto ramificate” (Tomasi, 2022). Le tecnologie e gli standard del web attuale hanno contribuito a creare nuove forme di rappresentazione delle informazioni e dei documenti storici (siano essi analogici o nativamente digitali), offrendo la capacità di avere più espressività degli oggetti digitali e di mettere in relazione sempre diversa le informazioni. L’utente, interagendo, manipolando e associando secondo un proprio criterio le risorse digitali, ne ridefinisce il contesto, che appare così arricchito da nuove prospettive di senso e stratificazione di significati. Questo insieme di relazioni sta così cambiando sia la produzione e fruizione del patrimonio culturale, sia l’accesso alle informazioni, sempre più accessibili nello spazio digitale.
Risorsa digitale
Le risorse digitali possono essere definite come materiali che sono stati concepiti e creati digitalmente, oppure ottenuti convertendo materiali analogici in un formato digitale. Quando si parla di risorsa digitale semantica, si tratta di un processo in cui alcune entità (documenti, contenuti web, servizi) sono ritracciabili o ricercati con caratteristica specifica del loro significato in un certo dominio della conoscenza umana (Tomasi, 2022).
Servizi

I servizi rappresentano attività svolte indirettamente attraverso beni economici, allo scopo di soddisfare bisogni, e sono generalmente definiti come «beni immateriali e istantanei che si possono consumare in presenza del cliente, da cui sono fisicamente inseparabili» (Dizionario di Economia e Finanza, 2012). I servizi, intesi come output di una attività, possono essere definiti quindi come «una prestazione o un complesso di prestazioni realizzate, di natura più o meno intangibile che normalmente, ma non necessariamente, hanno luogo nell’interazione tra il cliente e fornitore del servizio» (Zuffada, 2011).  In particolare, le principali caratteristiche che distinguono i servizi dai prodotti sono:

  • Intangibilità e immaterialità dell’output.
  • Congiunzione spazio-temporale dei processi di produzione e di consumo.
  • Non trasferibilità nel tempo e nello spazio.
  • Partecipazione degli utenti.
  • Eterogeneità.
  • Impossibilità di essere tenuti in magazzino.

Il termine “servizi” viene utilizzato nel PND in vari contesti e può assumere significati molto diversi. Possono essere individuate categorie che delineano delle caratteristiche comuni a seconda della funzionalità e del contesto digitale.

In campo informatico, un servizio può essere considerato come un componente hardware, software o architetturale. Questi possono dunque rispondere a diverse esigenze come operazioni di back-end, di esposizione dei dati (come ad esempio API), o di creazione di applicazioni per l’utente: dalle piattaforme di crowdsourcing al servizio di prenotazione dei biglietti, ecc.

Silos di dati
Con l’espressione silos di dati si intende una componente isolata di un sistema informativo che non condivide i dati, le informazioni e/o i processi con le altre componenti del sistema. I componenti di un’architettura a silos (o monolitica) sono integrati in un blocco compatto di codice, per cui la modifica anche di un solo componente può incidere sull’intera infrastruttura di base. Questo comporta problemi di manutenibilità e sostenibilità: ogni aggiornamento appesantisce la base del codice e un singolo componente dipende molto spesso dall’intera applicazione; un altro problema legato alla poca flessibilità della gestione dei dati è, ad esempio, il malfunzionamento o la scarsa performance di un solo componente che può mettere a rischio il funzionamento di tutto il sistema applicativo.  Un silos di dati si verifica ogni volta che un sistema di dati è incompatibile o poco integrato con altri sistemi di dati. Questa incompatibilità può verificarsi a tre livelli architetturali: tecnico, applicativo, dei dati in sé. È già stato dimostrato che le scelte alla base della modellazione sono la causa principale dei problemi di integrazione tra dati e, di conseguenza, la maggior parte dei sistemi di gestione sono incompatibili tra loro a partire dallo strato di base, quello della architettura dei dati stessi (O’Neill e Stapleton, 2022). I silos impediscono la condivisione dei dati, la possibilità di accederne e di riutilizzarli scoraggiando così il lavoro collaborativo e le incongruenze.
Sistema federato
Per sistema federato ci si riferisce a un tipo di sistema di gestione di basi di dati che integra più database autonomi preesistenti, che possono essere geograficamente decentrati e conservati in DBMS (Database Management System) eterogenei, in un unico sistema. Alla base del sistema federato (multi-database) vi è un server in grado di ricevere richieste di query e distribuirle ad origini dati remote (Atzeni et. al, 2002). Le tecniche per la gestione di basi di dati federate devono tenere conto delle eterogeneità di sistemi e applicazioni, consentendo uno scambio dei dati che superi le differenze di rappresentazione dei vari sistemi e permetta una opportuna integrazione, conversione e riconciliazione dei dati fra un’applicazione e l’altra. Un database federato può essere ad accoppiamento libero, che richiede quindi l’accesso ad altri componenti del database, ad accoppiamento stretto, che utilizza processi indipendenti per lavorare in un sistema federato, o un database blockchain, che gestisce le transizioni finanziarie e di altro tipo (Heimbigner et al., 1985).
Smart Contract
Un “contratto intelligente” è un accordo tra due persone o entità sotto forma di codice informatico programmato per essere eseguito automaticamente. L’idea è stata proposta nel 1996 da Nick Szabo, un pioniere della crittografia, che ha definito lo smart contract come un insieme di contratti virtuali con protocolli associati per farli rispettare (Mohanta et al., 2018). Il protocollo Bitcoin, che sostanzialmente registra la prova di un pagamento, può essere visto come una versione primitiva di smart contract. Questi sono eseguiti su tecnologie blockchain, il che significa che i termini sono memorizzati in un database distribuito e non possono essere modificati.
Teca digitale
Con termine teca digitale si indica un sistema in grado di acquisire, organizzare e archiviare risorse digitali multimediali e i relativi metadati gestionali. Viene spesso associata alle piattaforme di pubblicazione di collezioni di risorse digitali, e per questo viene ambiguamente associata all’idea di digital library. Molti istituti che conservano il patrimonio culturale si sono dotati negli anni di una teca digitale per archiviare oggetti digitali e per permettere la fruizione del loro patrimonio digitalizzato.
Trasformazione digitale
In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni (Calveri et al., 2021). La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è quindi un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, ecc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento.
User-Centered Design
Con User-centered design, in italiano progettazione centrata sulle persone o design antropocentrico, si fa riferimento ad un metodo progettuale iterativo che pone al centro del progetto una o più tipologie di persone, definite personas, individuate come fruitrici principali di un prodotto digitale (applicazioni e siti web o mobile, software, ecc.). Il termine è stato proposto dagli studiosi Norman e Draper nel 1986 e si basa sull’assunzione per cui, se i progettisti terranno in considerazione le caratteristiche, le abitudini, le preferenze e il comportamento degli utenti, saranno in grado di progettare sistemi più semplici da usare. Secondo la definizione ufficiale fornita dall’Organizzazione Internazionale per la Normazione con la norma ISO 9241-210 del 2019 (processo per la progettazione di sistemi interattivi utilizzabli), che segue lo standard ISO 13407 sulla progettazione orientata all’utente di sistemi interattivi, questo approccio alla progettazione prevede quattro fasi di sviluppo, quali: 1. capire e specificare il contesto d’uso; 2. definire l’utente e le sue esigenze; 3. proporre soluzioni progettuali; 4. valutare le soluzioni da un punto di vista tecnico-funzionale e della user experience.
User journey
Lo User journey, in italiano “percorso dell’utente”, è una tecnica utilizzata in particolare nei modelli di business e di marketing per conoscere e riprogettare l’esperienza dell’utente con un particolare brand, prodotto o servizio, soprattutto nell’analisi dei processi di acquisto. Si considera e analizza l’intero percorso dell’interazione: da quando viene a conoscenza di un determinato oggetto digitale alle esperienze che può avere (Kokins et al., 2021). L’attenzione non è posta sulle transazioni, ma su come l’utente si sente dopo aver interagito con quel particolare oggetto. Dunque, lo user journey documenta l’intera esperienza di un utente per costruire e garantire la fruizione del prodotto digitale (che sarà dinamico e cambierà a seconda dell’utente).
[55]Per la dichiarazione universale dei diritti umani cfr. https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/DICHIARAZIONE_diritti_umani_4lingue.pdf; per la convenzione ONU cfr. https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2016/07/c_01_convenzione_onu_ita.pdf
[56]Come ad esempio utenti con disabilità fisiche, cognitive o sensoriali. In merito all’accessibilità fisica in Italia sono stati emanati numerosi decreti e leggi, come il D.P.R. 384/1978, la Legge 41/1986, il D.L. 371/1987, la Legge Quadro 13/1989, il D.M. 236/1989, la Legge Quadro 104/1992, il D.P.R. 380/2001, il D.Lgs. 156/2006, infine anche le Linee Guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale, pubblicate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2008 (MiBAC, 2008), e le Linee guida per la redazione del Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (P.E.B.A) nei musei, complessi museali, aree e parchi archeologici, pubblicate nel 2018 dalla Direzione Generali Musei. In merito alle disabilità sensoriali e rimozione delle barriere comunicative, in Italia è stata approvata la Legge 136/2021. Di recente redazione è anche la Legge delega sulla disabilità 227/2021 che ha “L’obiettivo principale di modificare la legislazione sulle disabilità e promuovere la deistituzionalizzazione (vale a dire il trasferimento dalle istituzioni pubbliche o private alla famiglia o alle case della comunità) e l’autonomia delle persone con disabilità”.
[57]Per quanto riguarda le regole tecniche cfr.»Linee Guida sull’Accessibilità degli strumenti informatici» redatte da Agid nel 2020, che indirizzano la Pubblica Amministrazione all’erogazione di servizi accessibili ed informazioni fruibili, https://www.agid.gov.it/it/design-servizi/accessibilita
[58]Per la definizione di cloud computing fornita dalla National Institute of Standards and Technology si veda https://nvlpubs.nist.gov/nistpubs/legacy/sp/nistspecialpublication800-145.pdf.
[59]Per un approfondimento sulla strategia cloud nazionale si rimanda a quanto pubblicato dal Dipartimento per la trasformazione digitale: https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/strategia-cloud-italia/.
[60]https://www.agid.gov.it/it/piattaforme/conservazione
[61]https://bibliotecadigitale.cab.unipd.it/biblioteca-digitale/archivi-istituzionali/digital-preservation-preservazione-digitale
[62]http://transcribe-bentham.ucl.ac.uk/td/Transcribe_Bentham
[63]Linee Guida recanti regole tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e s.m.i. relativo all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico. Le linee guida in consultazione fino al 17 luglio 2022: https://docs.italia.it/AgID/documenti-in-consultazione/lg-opendata-docs/it/bozza/index.html. Per aggiornamenti le pagine delle Linee guida Agid: https://www.agid.gov.it/it/argomenti/linee-guida.
[64]https://www.aib.it/struttura/commissioni-e-gruppi/gruppo-di-lavoro-biblioteche-digitali/2020/82764-nuovo-manifesto-per-le-biblioteche-digitali/
[65]Un approfondimento sul progetto ”Magazzini Digitali” è disponibile al seguente indirizzo: https://www.bncf.firenze.sbn.it/biblioteca/magazzini-digitali/
[66]Decreto ministeriale 21 febbraio 2018, rep. 113 “Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale”, ed in particolare l’allegato “Livelli uniformi di qualità per i musei”, Ambito III” Comunicazione e rapporti con il territorio”; documentazione disponibile all’indirizzo internet http://musei.beniculturali.it/progetti/sistema-museale-nazionale.