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Documenti pubblici, digitali.

5.1. Valori

I valori fondativi della visione del PND ruotano attorno ai concetti chiave di paesaggio culturale*, patrimonio culturale digitale* e relazioni*. Questi valori creano un terreno comune su cui operare e costituiscono la premessa per il raggiungimento di specifici obiettivi di cambiamento all’interno di un progetto di ampio respiro. In questa prospettiva, la pubblica amministrazione ha un ruolo fondamentale nel preservare l’eredità culturale, comunque essa venga declinata, e nel renderla accessibile a tutti nel lungo periodo.

Il PND rappresenta, dunque, un’opportunità per valorizzare le “cose” e i “beni” che sono il portato di una selezione plurisecolare, ponendoli all’origine di un ambito di fruizione nuovo, fino ad oggi dominato in via quasi esclusiva dagli algoritmi delle big tech commerciali. Esistono, in particolare a livello accademico, piattaforme internazionali, anche molto avanzate, per la condivisione di dati relativi a specifiche tipologie di patrimonio: ma esse sono state progettate e sono tuttora alimentate per finalità appunto di ricerca, mentre l’obiettivo del PND è la disseminazione culturale presso un pubblico vasto.

5.1.1. Contesti come paesaggi culturali

Accanto alla concezione attuale di patrimonio culturale, che scaturisce dal sistema di tutela così come si è consolidato dall’inizio del secolo scorso nel sistema statale - e latu sensu “pubblico” - è cresciuta negli ultimi anni una visione incentrata sulle pratiche sociali sotto l’impulso di organismi sovranazionali (Unesco e ICOM prima, Commissione Europea poi). La prima lettura si focalizza sui beni culturali, sulla loro selezione, gerarchizzazione e legittimazione; la seconda si fonda sui processi di riconoscimento sociale e di patrimonializzazione condivisa operati dalle comunità su scala tanto locale quanto globale. L’Italia ha recepito la convenzione di Faro solo nel settembre del 2020 [12], a testimonianza delle difficoltà incontrate nell’armonizzarne l’inquadramento giuridico con la gestione dell’espansione dei processi di patrimonializzazione, intrapresi liberamente a livello territoriale dalle amministrazioni locali e dai soggetti privati senza finalità di lucro.

Oggi come in passato, il patrimonio culturale è frutto di un processo di riconoscimento critico, attribuzione di senso e gerarchizzazione che sempre si rinnova, in funzione delle mutate sensibilità intellettuali, politiche e disciplinari; per questo contempla interpretazioni e letture plurime derivanti dalle opinioni e dalle attitudini di generazioni, gruppi sociali e individualità differenti, che mutano nei diversi contesti storici. Nell’attuale cultura globalizzata, i confini del patrimonio culturale, finora marcati in modo netto per effetto del processo di individuazione dei beni in funzione della tutela, tendono a sfumare nello scenario del “paesaggio”, costituito da luoghi in cui coesistono narrazioni e relazioni. La nozione di paesaggio culturale appare dunque più appropriata per integrare la visione istituzionale del patrimonio culturale con gli apporti che derivano dall’interazione fra territori, luoghi, cose e sguardi soggettivi, dunque suscettibile di potenziamenti e valorizzazioni grazie alle contaminazioni occorrenti nell’ecosistema digitale. Ciò, naturalmente, non implica l’abbandono della visione consolidata, in base alla quale il potenziale narrativo degli oggetti si arricchisce attraverso i riscontri puntuali sulle fonti, la comparazione, le analisi critiche e le ricostruzioni proposte dagli studiosi. È vero semmai il contrario, e cioè che il portato del lavoro intellettuale sulle “cose”, fino ad ora confinato ad ambiti specialistici, può trovare nel paesaggio culturale un’ulteriore opportunità per essere comunicato e compreso.

All’interno di questo paesaggio culturale, il patrimonio italiano si contraddistingue per le seguenti caratteristiche:

  • eredità culturale: con la sua pluralità di origini culturali sedimentate nel tempo, il patrimonio culturale italiano è presente nei contesti territoriali e nelle tradizioni locali, formando il cosiddetto “patrimonio diffuso”, spesso declinabile sia in termini di “radici” (identità), sia in termini di “trasmissibilità” (i beni sono ancorati ai territori e vengono trasmessi di generazione in generazione). Esistono anche i beni “nomadi”, provenienti da luoghi remoti, che collezionisti o studiosi possono aver situato in istituzioni culturali del territorio nel corso del tempo; anch’essi contribuiscono a comporre l’eredità culturale;
  • capillarità: vi è un nutrito presidio di istituzioni culturali disseminate su tutto il territorio (monumenti, siti archeologici, musei, archivi, biblioteche, istituti culturali), che insieme costituiscono una rete di competenze che detiene conoscenze rilevanti, da non disperdere nei passaggi intergenerazionali;
  • conoscenza: le istituzioni esprimono una solida e antica tradizione catalografica, che ha dato vita a una altrettanto solida comunità di professionisti del patrimonio e di studiosi, aggiornatasi nel tempo. Essa rappresenta tuttora la colonna vertebrale che regge l’impianto della ricerca, soprattutto in ambito umanistico;
  • riconoscibilità: i prodotti della creatività italiana vantano forti radici storico-culturali, tanto da essere riconoscibili e apprezzati a livello internazionale, anche in ambiti diversi da quelli specifici del patrimonio culturale.

In questo scenario, la digitalizzazione del patrimonio culturale deve assicurare vitalità narrativa e pluralismo interpretativo, affinché gli “oggetti culturali”, nei loro corrispettivi digitali, possano convivere con visioni differenti e con connessioni storicamente profonde e geograficamente ampie del patrimonio italiano, da cui derivano interpretazioni e costruzioni di senso rispondenti a diversi usi sociali, a partire da una corretta “ricostruzione digitale” del contesto* di provenienza (cfr. par. Estensione del patrimonio culturale per nuovi pubblici ).

5.1.2. Patrimonio culturale digitale

Il Consiglio dell’Unione Europea [13] ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali*, nella duplice accezione di digitale nativo* e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica o copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili e non solo “pensabili”.

Il patrimonio culturale digitale è costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base delle relazioni informative che sono in grado di generare. Essi, anche quando collegati ai beni culturali fisici, possiedono un’autonomia ontologica, come ormai attestato da un’ampia letteratura. Sono disponibili e accessibili, non ponendo alcuna barriera geografica e temporale alla libera fruizione. Sono dispositivi di potenziamento: il patrimonio, nelle società contemporanee, è strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra diversità, e pluralità. Gli oggetti del patrimonio culturale digitale, inoltre, ambiscono a saldare tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione*. Infine, uniscono tempi, beni (materiali o immateriali), luoghi e persone, perché l’originale significato patrimoniale di cui sono latori si situa sempre all’interno di percorsi concettuali e di senso.

D’altronde, è ormai acquisito dagli esperti di settore che il digitale non debba essere considerato un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo. Per sfruttare le potenzialità del digitale, occorre quindi comprenderne le logiche, i modelli, le funzionalità e i dispositivi, evolvendo da una rappresentazione limitata alla fruizione passiva tipica delle piattaforme commerciali, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività. L’ambiente digitale è dunque un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione. L’oggetto culturale rischia infatti di perdere significato nella decontestualizzazione, come sa chiunque si sia confrontato con le problematiche poste dai limiti intrinseci degli spazi espositivi tradizionali; nello spazio della rete la frattura con i contesti originari può essere parzialmente sanata dalla ridefinizione di significato derivante dalle relazioni tra risorse digitali. In questo percorso, peraltro, nulla va perduto: la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa infatti uno degli elementi salienti del patrimonio digitale.

Tuttavia, questa complessa operazione non può essere affidata solo alla tecnologia. La descrizione e il racconto attribuiti agli oggetti del patrimonio, anche nella loro dimensione sociale, necessitano della cooperazione tra esperti di dominio che possano pensare i contenuti e valorizzarne la rappresentazione attraverso il corretto trattamento dei dati correlati e lo sviluppo di prodotti interattivi (interaction design). Il patrimonio culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse. In questo scenario, la cultura digitale è una pre-condizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale: è possibile immaginare il futuro come un ecosistema nel quale tutti gli attori e le professionalità del settore possano relazionarsi.

5.1.3. Il capitale semantico delle relazioni

L’ambiente digitale trova la propria essenza costitutiva nelle relazioni, ovvero nella possibilità di generare e rigenerare connessioni reciproche tra le informazioni, facilitando la produzione di nuovi significati. Accettare il valore delle relazioni comporta la transizione verso nuovi modelli di rappresentazione della conoscenza, non più coincidenti con la visione generata dall’istituzione che ha in consegna il bene culturale, ma integrati e potenziati da una pluralità di punti di vista, spesso inediti e originali. Il web è il luogo in cui si manifestano le relazioni semantiche fra le risorse digitali dei diversi domini del patrimonio culturale: i beni culturalidiventano così i nodi di una rete di relazioni alla cui costruzione tutti possono contribuire. I dati dovranno quindi essere organizzati e modellati per essere correlati ad altri dati, anche in modo automatizzato; gli ambiti di dominio possono così diventare l’uno il contesto dell’altro, arricchendo reciprocamente il portato informativo della risorsa digitale.

Nel merito, la ricostruzione dei contesti, in senso tanto disciplinare quanto culturale, sarà una delle sfide più impegnative che gli specialisti si troveranno ad affrontare: sul piano metodologico, per definire standard descrittivi idonei alla generazione di relazioni semantiche; sul piano logico e tecnologico, per avere strumenti di ricerca e integrazione dei dati trasversali ai diversi domini; sul piano comunicativo, per poter costruire efficaci architetture dell’informazione adeguate alla restituzione.

[12]La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005, è stata ratificata con la legge 1° ottobre 2020, n. 133 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, Anno 161° - Numero 263).
[13]Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti - materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo”; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014XG0614(08)&from=PL