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Documenti pubblici, digitali.

5.1. Processo 1 | Servizi di consumo - Modello a fruizione pubblica

Nel corso degli ultimi anni numerose istituzioni culturali in ogni parte del mondo hanno promosso la fruizione pubblica dei propri contenuti digitali, consentendone la consultazione, navigazione e talvolta il download, per garantirne la piena accessibilità, promuoverne la conoscenza e incoraggiare le pratiche di condivisione attiva dei patrimoni culturali.

Per quanto riguarda il contesto italiano, esiste una specifica disciplina d’uso delle riproduzioni dei beni culturali, per la cui disamina si rimanda al Quadro sinottico U1-U5 contenuto nell’allegato Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale, in cui sono riportate le discipline applicabili in relazione alle tipologie d’uso in caso di una riproduzione fedele (digitalizzazione) di un bene culturale pubblico in pubblico dominio. Inoltre, si fa riferimento ai capitoli Principi per il riuso delle riproduzioni digitali del patrimonio culturale e dei relativi metadati e Modalità di pubblicazione online delle riproduzioni digitali e scelta delle licenze d’uso da adottare delle medesime Linee guida per gli aspetti riguardanti l’adozione dei principi per il riuso di dati e contenuti digitali e le modalità di pubblicazione online delle riproduzioni digitali e di scelta delle licenze d’uso da adottare.

Ciò premesso, il modello della “libera fruizione pubblica” è il più appropriato per la gestione dei Servizi digitali di consumo, in funzione degli scopi istituzionali di apertura inclusiva e di libero accesso ai contenuti messi a disposizione degli utenti dai luoghi della cultura. In questo caso il concetto di “fruizione pubblica” è da intendersi come accesso libero e gratuito, che prevede la possibilità di consultare e riutilizzare i contenuti digitali per fini non direttamente commerciali (a differenza di quanto avviene con il modello “Open Access” che invece lo consente [23]), in coerenza con le disposizioni normative vigenti in materia [24].

La capacità di garantire un accesso esteso e libero a tutti gli utenti implica l’impossibilità di raggiungere un’autonoma sostenibilità economica di questo cluster di servizi, che non generano alcun ricavo. Il criterio di valutazione applicabile deve essere il medesimo impiegato nei modelli gestionali dei servizi pubblici d’utilità sociale: trattandosi di un servizio pubblico grazie al quale i luoghi della cultura consentono, accrescono e promuovono la fruizione del patrimonio culturale digitale, la sostenibilità economica va ricercata tra i modelli di gestione per tipologia di servizi delineati nella Tabella 5.

Tuttavia, dal punto di vista della convenienza economica, è stato riscontrato che spesso le entrate derivanti dalla vendita delle riproduzioni o dall’incasso dei canoni applicati sul riuso commerciale delle stesse sono irrisorie e quasi sempre inferiori agli effettivi (basti pensare al personale interno) costi di erogazione in house del servizio e/o di gestione amministrativa delle procedure di affidamento della concessione. Per contro, gli istituti che hanno adottato un approccio aperto godono di importanti benefici in termini di marketing, comunicazione, promozione commerciale, afflusso ed engagement dei visitatori e, in generale, di maggiore capacità di attrarre finanziamenti pubblici e privati.

Vanno pertanto considerati con attenzione i ritorni non economici e indiretti (il cui valore monetario, almeno in parte, può essere puntualmente stimato ricorrendo alle metodologie impiegate nella valutazione dei progetti ad alto impatto sociale e in generale nell’impact investing) associabili all’applicazione del modello in questione per la gestione dei Servizi digitali di consumo:

  • conseguimento degli obiettivi di democratizzazione e inclusione sociale e piena attuazione del mandato costituzionale a fornire il più ampio accesso possibile al patrimonio;
  • rafforzamento della reputazione, creando un’immagine positiva delle istituzioni culturali presso i pubblici, i media nazionali e internazionali e le industrie creative (benefici reputazionali);
  • possibilità di incrementare la vendita complessiva di immagini, attraverso una maggiore diffusione e consapevolezza del patrimonio culturale digitalizzato;
  • possibilità di accesso a progetti di sponsorizzazione e partenariato monetari e tecnici più convenienti per gli enti;
  • capacità di stimolare nuove professioni creative con il patrimonio reso pubblico (effetto di promozione/esposizione delle istituzioni culturali su vasta scala).

Si può pertanto affermare che investire su avanzati sistemi di accesso al patrimonio culturale digitale, promuovendo la ricerca e le attività educative e creative, valorizza la missione delle istituzioni culturali e ne aumenta la reputazione (con possibilità di aumentare la capacità di attrare capitale umano), fa emergere la consapevolezza del valore del patrimonio conservato (con possibili ritorni nell’attrazione di finanziamenti), migliora le procedure di gestione interne (con possibili riduzione dei costi di funzionamento) e facilita la creazione di servizi digitali ad alto valore aggiunto (come stimolo per l’indotto).

[23]Per “Open Access” si intende l’accesso libero e senza barriere al sapere scientifico, come dichiara nel 2002 la Budapest Open Access Initiative, i cui principi sono stati in seguito riaffermati dalla Berlin Declaration on open access to knowledge in the Sciences and Humanities.
[24]Come previsto all’art. 108, comma 3-bis del Codice dei beni culturali. Cfr. inoltre Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale, allegato 3 del PND.