3.1. File immagine¶
Il file master di output consiste in un pacchetto di file comprendente:
- Il file TIFF 6.0 non compresso a 16 o 48 bit (scala di grigi* o RGB), a seconda della cromia del bene;
- Il file RAW non compresso, con allegato il file collaterale XMP.
Per la consegna dei file RAW è preferibile il formato DNG. La risoluzione spaziale minima del file master dipende da molteplici fattori quali, ad esempio, la tipologia del sensore della fotocamera o dello scanner, la dimensione del bene, ecc. Per esigenze di conservazione di positivi e negativi fotografici in bianco e nero* è necessario eseguire comunque la digitalizzazione in RGB a 48 bit.
Le specifiche tecniche dei pacchetti dei file master possono essere adattate in base a documentate esigenze specifiche del progetto di digitalizzazione. Alcuni fattori che possono condizionare la scelta del numero dei file componenti il pacchetto “master” e la tipologia del formato di ciascuno di questi file sono la tipologia dei materiali analogici da digitalizzare, le caratteristiche dei macchinari e delle tecniche di digitalizzazione più appropriate in relazione agli oggetti analogici, il numero degli oggetti da digitalizzare nell’ambito del progetto e i costi di storage connessi all’archiviazione digitale dei file master.
Nel caso, ad esempio, della digitalizzazione bidimensionale di documenti cartacei, quali periodici a stampa, come giornali e quotidiani, è possibile richiedere come file master unicamente il file TIFF secondo le specifiche sopra indicate. Infatti, il considerevole numero di oggetti digitali prodotti nell’ambito del progetto di digitalizzazione di ambito bibliotecario si traduce in un maggiore costo di storage del gran numero di file RAW prodotti in fase di digitalizzazione. In ogni caso, la scelta dei componenti del pacchetto dei file master, delle loro caratteristiche e formati deve essere adeguatamente documentata e argomentata nel piano di gestione dei dati (DMP, cfr. Linee guida per la redazione del piano di gestione dei dati).
I file derivati da richiedere dipendono dalla specificità del progetto di digitalizzazione: sono consigliabili file compressi in formato JPG con lato lungo di almeno 3000 pixel, con qualità di compressione non inferiore al 75%, aventi spazio colore sRGB o scala di grigi [13], a seconda della tipologia di scansione effettuata. In alternativa al “classico” JPG può essere richiesto il formato contenitore HEIF (High Efficiency Image Format) o HEIC (High Efficiency Image Coding) [14].
Si segnala anche il formato standard FITS, definito dallo IAU FITS Working Group, Commission B2 Data and Documentation (Definition of the Flexible Image Transport System (FITS)). Il formato FITS è alla base della norma UNI 11845 2022 (Processi di gestione della conservazione a lungo termine di immagini digitali con l’uso del formato FITS), pubblicata nel catalogo nazionale UNI il 20 gennaio 2022, che definisce caratteristiche e requisiti funzionali che un archivio basato sull’uso del formato FITS deve soddisfare per l’idoneità a lungo termine della conservazione delle immagini digitali.
3.1.1. Master RAW¶
La scelta di conservare il file in formato RAW ha due principali motivazioni:
- Rendere il processo di digitalizzazione reversibile, permettendo di risalire al file nativo pre-editing. Nonostante il file TIFF (seppur prodotto a regola d’arte) rappresenti un prodotto di qualità, questo potrebbe non soddisfare esigenze estetiche da parte dell’utente finale (esempi: eliminazione di maschere di contrasto, selezioni dei soggetti, profili colore output, ecc.);
- Il file RAW è un file aperto che ci consente di operare sull’immagine acquisita partendo dalla sua genesi fotografica.
Considerando quest’ultima caratteristica, il file RAW consente di risalire a informazioni in merito alle scelte di ripresa fotografica che possono risultare utili in campo di ricerca e studio (per esempio nello studio degli archivi digitali).
3.1.1.1. Caratteristiche di un file RAW¶
- Profondità di bit. Un file RAW, demosaicizzato in un programma di conversione RAW quando viene salvato in un altro formato (per esempio TIFF) può essere esportato anche a 16 bit per canale. Se invece si decide di generare con lo scatto un file in formato JPEG, questo sarà creato automaticamente dal software della macchina (partendo sempre da una cattura RAW) a 8 bit di profondità, ossia a 256 livelli di luminosità per canale, cioè poco più di 16,7 milioni di colori. Avere a disposizione un file ricco di informazioni (quindi con una maggiore profondità di bit) è molto utile quando l’immagine richiede regolazioni particolarmente profonde e complesse. Una grande profondità in bit permette di intervenire notevolmente sull’immagine senza incappare nella posterizzazione, ossia nella mancanza di una transizione morbida di colori e toni che compromette la qualità complessiva dell’immagine.
- Imparzialità del contenuto. RAW in inglese significa «allo stato grezzo»: il RAW contiene tutti i dati provenienti dal sensore, senza esclusioni, senza cioè nessuna compressione. Il file RAW racchiude anche le impostazioni della macchina (ad esempio contrasto, saturazione, temperatura colore, nitidezza, ecc.): per ogni RAW, infatti, la fotocamera crea un file di intestazione contenente le impostazioni della macchina. Questi parametri non cambiano l’immagine, essendo delle pure istruzioni allegate ai dati del file grezzo. Con lo stesso principio vengono salvati anche i metadati, ossia i dati EXIF* relativi alle impostazioni di scatto (ad esempio l’apertura del diaframma utilizzata, la lunghezza focale*, eccetera). Per questo motivo sono in molti a vedere nei file RAW un’analogia con il negativo della fotografia analogica, dal momento che le informazioni raccolte vengono riproposte esattamente come tali.
- Flessibilità e controllo delle regolazioni. Il fatto che le impostazioni della macchina non vengano direttamente applicate all’immagine generata (proprio perché non esiste ancora un’immagine ma solamente un insieme di dati) presuppone che ciò avvenga in un secondo momento e apre un mondo di possibilità. In pratica il file grezzo richiede uno «sviluppo», ossia la sua conversione. E lo sviluppo consiste proprio nell’applicare, successivamente allo scatto, tutta una serie di impostazioni senza minimamente inficiare il risultato che si sarebbe ottenuto applicandole al momento stesso dello scatto. Così, durante il processo di sviluppo è possibile applicare, ad esempio, le regolazioni della temperatura del colore senza pregiudicare la qualità dell’immagine (la modifica della temperatura colore durante la conversione RAW dà esattamente gli stessi risultati di uno scatto impostato con una diversa temperatura del colore). Naturalmente questo vale anche per gli altri parametri fondamentali, come ad esempio il controllo della saturazione, del contrasto, della nitidezza e dell’esposizione. In generale quindi è possibile, scattando in RAW, avere un notevole controllo su tutti i parametri di scatto non meccanici (intendendo questi il diaframma, l’otturatore, ecc.) che influiscono sulla resa dell’immagine finale.
[13] | Nel caso dei file derivati in formato JPEG è sufficiente l’utilizzo dello spazio colore sRGB in quanto le modalità di fruizione dell’immagine digitale, mediata da un monitor o comunque da un altro dispositivo non professionale, non rendono necessario l’utilizzo di specifiche più performanti. |
[14] | Si segnala che sono in corso iniziative per la standardizzazione di formati immagine, come ad esempio JPG XL o il JBIG2; in questo documento ci si limita a segnalare la loro esistenza in attesa di verificarne il livello di diffusione e di standardizzazione. |